Il cantautorato pop di Colapesce e Dimartino

Nel dicembre 2019 sui suoi social network Dimartino annunciava l'inizio di una nuova avventura: "L’anno nuovo porterà un disco di inediti, scritto, suonato e cantato insieme a Lorenzo (colapesce). Nel 2020 saranno dieci anni dall’uscita dei nostri rispettivi dischi d’esordio e ci sembrava questo il modo migliore per festeggiare." Il 5 giugno 2020, quattro anni fa, fattisi duo Colapesce Dimartino pubblicavano il loro primo album "I mortali". L'anno successivo i due partecipano al festival di Sanremo con "Musica leggerissima" e, come si suole dire, nulla fu più come prima. Cogliamo l'occasione dataci dall'anniversario dell'uscita del loro primo disco per rileggere la recensione di "I mortali".
Pop d'autore o cantautorato pop? Non sono proprio sinonimi. Pop d'autore è un'espressione fin troppo generica. Cosa può voler dire? Fondamentalmente, tutto il pop è d'autore, se non altro perché dietro a una canzone c'è sempre il lavoro di uno o più autori - okay, certe firme sono più prestigiose e più rispettabili di altre, ma questo è un altro discorso e non è il caso di affrontarlo in una recensione. Cantautorato pop, invece, rimanda a un'idea di cantautorato che pur non rinunciando ai contenuti e ai messaggi "profondi" e "nobili" di quello tradizionale guarda per melodie e suoni al pop. È una formula che si presta bene a descrivere "I mortali", l'album congiunto di Colapesce e Dimartino, frutto di un'operazione che ricorda le collaborazioni su disco di certi giganti della tradizione cantautorale italiana (una rarità, considerando che a parte lavori come "I Cani non sono i Pinguini non sono I Cani", lo slipt Ep di Niccolò Contessa con i Gazebo Penguins, di sodalizi del genere con protagonisti esponenti della nuova leva cantautorale italiana non ne vengono in mente parecchi).
A pensarci bene, i due cantautori siciliani rappresentano nel nuovo cantautorato italiano, quello del giro "indie", la controparte (positiva? negativa? dipende dai punti di vista) di Tommaso Paradiso e Calcutta: con dischi come "Un meraviglioso declino" e "Egomostro" (del primo) e "Cara maestra abbiamo perso" e "Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile" (del secondo) sono diventati negli anni due punti di riferimento della scena, e quando l'indie è diventato un fenomeno mainstream (l'uno-due "Mainstream"-"Completamente sold out", tra il 2015 e il 2016) piuttosto che cedere alle tendenze del mercato hanno continuato a percorrere la loro strada, andando controcorrente (riempire i palasport e piazzare qualche tormentone in cima alle classifiche, evidentemente, non è tra le loro priorità). È proprio a certi colleghi che sembrano rivolgersi ne "Il prossimo semestre", il brano che apre il loro disco congiunto e che ne rappresenta per certi versi il manifesto: lì i due cantautori siciliani si divertono a raccontare tutti i luoghi comuni del nuovo (cant)autorato italiano, dalla tendenza a evitare temi scomodi ("E che faccio, parlo di migranti? Per carità, migranti no") alla necessità di piacere a tutti i costi "a una ragazza del 2000" (è il pubblico di riferimento dell'ItPop, quello al quale oggi si rivolge chi fino a quattro o cinque anni fa si esibiva sui palchi dei circoli Arci). Una parodia che suona come una contro-dichiarazione d'intenti, ma che nasconde anche un pizzico di sincerità.
Perché Colapesce e Dimartino sanno bene che il cantautorato stile Ciampi, Guccini o Claudio Lolli è démodé nella scena italiana del post-indie. Roba da sfigati. Ma piuttosto che guardare all'ItPop, nella loro coerenza musicale e stilistica preferiscono recuperare il cantautorato pop dei Baustelle, anello di congiunzione tra la scena indie degli Anni '90 e quella degli Anni Duemila, eredi a loro volta del Battiato pop - ma non per questo disimpegnato: tutt'altro - Anni '80. Gli echi della band toscana e del cantautore siciliano compaiono e ricompaiono qui e là nel corso del disco, da "Rosa e Olindo" (ispirata alla storia dei due coniugi ritenuti coinvolti nella strage di Erba) a "Adolescenza nera", passando per "Luna araba" (dedicata, come buona parte delle canzoni dell'album, alla loro Sicilia - c'è anche la conterranea Carmen Consoli), "Cicale" e "L'ultimo giorno" (ai cori c'è Adele Nigro, già frontwoman degli Any Other). Mischiandosi talvolta a produzioni più up-to-date: in "Parole d'acqua" c'è lo zampino di Frenetik&Orang3 e in "Majorana" quello di Mace, produttori già al fianco dei principali protagonisti della scena rap e urban italiana (gli altri brani sono stati invece prodotti da Federico Nardelli, Giordano Colombo e Mario Conte).
È così che tra melodie deliziosamente pop (le stesse "Rosa e Olindo" e "Luna araba" non avrebbero sfigurato sul palco dell'Ariston - i due avevano provato a partecipare con "Cicale", ma sono stati scartati) e atmosfere da Discoring che accompagnano testi che non scadono mai nel banale (più da cantastorie che da cantori della quotidianità - sullo sfondo c'è quasi sempre la Sicilia, della quale raccontano vizi e virtù), nella facile trovata o nelle trollate dell'ItPop (niente tachiprine 500, niente "love mio", niente vecchie che ballano), con "I mortali" Colapesce e Dimartino consolidano la loro posizione nella scena cantautorale contemporanea non allineata. Consegnando nelle mani dei suoi seguaci un disco che è già un piccolo cult.