Rockol30

Come è cambiato il racconto dei Beach Boys in 10 anni

Il documentario su Disney+ è molto differente dal film di Bill Pohlad del 2014
Come è cambiato il racconto dei Beach Boys in 10 anni

Dieci anni fa arrivava nella sale “Love & Mercy”, un film biografico diretto da Bill Pohlad che, col senno di poi, seppe anticipare molti trend attuali in come raccontiamo le biografie di artisti famosi e tormentati al cinema e in TV. “Love & Mercy” era un’opera di fiction interessata al racconto del genio musicale di Brian Wilson, carismatico ma fragilissimo leader della prima fase della lunghissima carriera dei Beach Boys.

Prima Paul Dano e poi John Cusack lo interpretavano nella pellicola che seguiva la sua incessante ricerca sperimentale in campo musicale. Pohlad esplorava un arco temporale di vari decenni: dai successi degli anni ‘60 ai momenti più oscuri delle due decadi successive. Non si risparmiava su droghe, depressione, disturbi mentali e tutta quella vita che ti pesa addosso mentre spingi la tua musica al limite. “Love & Mercy” finiva per essere anche il dietro le quinte di “Pet Sound”, il capolavoro della band, frainteso, incompreso all’uscita nel 1966, poi ritrovato, riscoperto, esaltato.

Dieci anni dopo Frank Marshall e Thom Zimny ripercorrono esattamente la stessa storia in un film che dura appena sette minuti in meno. L’approccio è però molto differente. Con “The Beach Boys” siamo in territorio biografico ma di stampo documentaristico, con i membri sopravvissuti della band a guidarci nella più classica delle parabole di gruppi così longevi: la nascita della formazione, la scalata al successo, la prima hit, la fama e i tour, seguiti da screzi, da fallimenti, dai ritocchi alla line up sul palco a causa di chi lascia o muore nel frattempo. Un discorso molto simile lo aveva affrontato appena qualche settimana fa “Thank You, Goodnight”, la serie sui Bon Jovi, nella quale il frontman del gruppo riconosce nella capacità di cambiare e reinventarsi della band l’elemento che ha mantenuto in vita e sulla cresta dell’onda il progetto per quarant’anni.

Negli ultimi dieci anni è cambiato, e molto, il modo di raccontare il genio musicale. Avere due opere come “Love & Mercy” e “The Beach Boys”, intente a raccontare la stessa storia, rende palese come ci aspettiamo oggi che una grande star della musica dall’indubbio talento compositivo si racconti.

Il genio musicale non si salva più da solo

La differenza più forte tra i due progetti sta in come viene spesa la parola “genio” nei riguardi di Brian Wilson. “The Beach Boys”, per esempio, si affretta subito a contestualizzare l’uso di questo termine, tirato fuori da un manager della casa discografica per produrre un po’ di buzz. “Love & Mercy” invece, in quanto film, dava per scontata e ampiamente meritata quest’etichetta. L’intera operazione era anzi volta a scomporre in elementi essenziali e comprensibili al grande pubblico l’avanguardistico, certosino lavoro musicale svolto da Wilson mentre la band era in tour in giro per il mondo, scrivendo e producendo “Pet Sound”, preparando l’intensa, ossessiva sessione di registrazione per tirare fuori un album perfetto nella sua mancanza di difetti.

“Pet Sound” occupa invece uno spazio ridotto nell’economia del racconto di “The Beach Boys”. Racconto che per giunta insiste sulla coralità di quella registrazione, lasciando anche un po’ perplessi, considerando che Wilson attese i membri della band con spartiti e testi alla mano, assegnando a ciascuno una tonalità ancor prima che il tour in Oriente fosse concluso. È il passaggio più debole del documentario e l’impressione è che lo sappiano anche Mike Love e Al Jardine. Quando te ne stai seduto lì a dire che il tuo ex membro della band “sentiva i suoni con una precisione a livello di udito canino” ma insistiti sul tasto del “è il capolavoro che è solo perché c’eravamo noi con tutta la nostra esperienza nell’armonizzare” chi ti ascolta percepisce una dissonanza.

Quello dei membri dei Beach Boys è un ragionamento errato, ma rende palese quanto oggi l’etichetta di genio venga raccontata come collettiva. Una band è geniale, non un singolo membro della stessa. I Bon Jovi sono geniali perché nel tempo hanno ribilanciato il peso del leader che dà il nome alla band nella loro economia di gruppo. È un racconto che però si scontra con la percezione popolare delle due band, che vede al centro le figure di Jon Bon Jovi e Brian Wilson, “Slippery When Wet” and “Pet Sound” come immediati punti di riferimento nelle due discografie.

Allora perché dedicare tanto minutaggio di “The Beach Boys” a ciò che è venuto dopo, agli anni senza Wilson, al progressivo sparire della band dalla cresta dell’onda, che ironicamente solo uno dei suoi membri cavalcava per davvero con la tavola da surf? Perché oggi il racconto mediatico del genio è un terreno scivoloso e richiede una certa qual collegialità.

Le crepe narrative di “The Beach Boys” sono evidenti

Non è di per sé un approccio erroneo, anzi: quando Love e Jardine dicono che Wilson ha potuto raggiungere certi risultati perché poteva contare su amici, parenti e professionisti con anni di concerti e performance dal vivo e in studio alle spalle dicono il vero, sottolineano un aspetto che la retorica del genio solitario tende sempre a sottovalutare. Quando si cerca però la collegialità a tutti i costi, il dare a ogni membro di una band la stessa rilevanza, lo stesso peso, si creano storture. Avviene anche in “The Beach Boys”, in cui da una parte si segue l’incredibile rilancio creativo tra Beatles e The Beach Boys sulle due sponde dell’Atlantico, le due band che si stimolano a vicenda a spingersi oltre, ammirate dalle capacità reciproche. Una battaglia che la storia ci racconta è stata vinta dagli inglesi ma, come sottolineano i Beach Boys “loro a un certo punto non si sono più esibiti, perché non potevano più cantare live i pezzi complessi che registravano in studio”. Sottointenso: noi sì.

Però dall’altra parte c’è un altro sottinteso che fiacca il documentario: i Beach Boys con l’allontanamento di Wilson diventano qualcosa d’altro, qualcosa di meno incisivo, meno geniale. Sopravvivono, ma non se la giocano più con i primi della classe. Il loro ritorno in scena, la seconda fiammata, è legata a un greatest hits pubblicato a loro insaputa, di cui non si vedranno riconoscere diritti perché nel frattempo il padre di Wilson ha ceduto il catalogo del figlio, gettandolo ancor di più nella depressione. Mentre i Beach Boys celebrano quel vinile che il fece conoscere a una nuova generazione, che li portò a esibirsi a Washington in un concerto di dimensioni epocali, rimane il non detto amarissimo: che la sopravvivenza della band per i decenni a venire è stata garantita dai pezzi scritti nel periodo di sodalizio tra Wilson e Love, musiche e testi.

È interessante e tutto sommato forse meritato che la storia di alcune band negli anni ‘20 di questo secolo venga riletta tenendo a freno gli individualismi, ridando importanza e peso al lavoro collettivo, al supporto del gruppo. “The Beach Boys” però spinge questo approccio in territori che distorcono la narrazione. Perché sì, il genio non si salva da solo, ma l’arte e la vita, crudelmente, danno diverso peso a contributi differenti. Tentando di livellare tutto sullo stesso piano, la narrazione si ribella, si creano crepe, si sente quasi una mancanza di sincerità.

“The Beach Boys” sarà disponibile su Disney+ a partire dal 24 maggior 2024.

La fotografia dell'articolo è pubblicata non integralmente. Link all'immagine originale

© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Policy uso immagini

Rockol

  • Utilizza solo immagini e fotografie rese disponibili a fini promozionali (“for press use”) da case discografiche, agenti di artisti e uffici stampa.
  • Usa le immagini per finalità di critica ed esercizio del diritto di cronaca, in modalità degradata conforme alle prescrizioni della legge sul diritto d'autore, utilizzate ad esclusivo corredo dei propri contenuti informativi.
  • Accetta solo fotografie non esclusive, destinate a utilizzo su testate e, in generale, quelle libere da diritti.
  • Pubblica immagini fotografiche dal vivo concesse in utilizzo da fotografi dei quali viene riportato il copyright.
  • È disponibile a corrispondere all'avente diritto un equo compenso in caso di pubblicazione di fotografie il cui autore sia, all'atto della pubblicazione, ignoto.

Segnalazioni

Vogliate segnalarci immediatamente la eventuali presenza di immagini non rientranti nelle fattispecie di cui sopra, per una nostra rapida valutazione e, ove confermato l’improprio utilizzo, per una immediata rimozione.