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Kula Shaker, un rituale hippie e lisergico

La recensione del concerto di lunedì 13 maggio all'Alcatraz di Milano
Kula Shaker, un rituale hippie e lisergico

Pace, fratellanza, misticismo, psichedelia, Gandhi e Groucho Marx. Per i Kula Shaker, avviati ormai al quarto di secolo di attività - ma che a ben vedere potrebbero essere anche molti di più, se non infiniti, secondo gli ordinamenti di Krishna - il tempo, 2024, 1996 o 1967, sembra essere solo un trascurabile dettaglio. Al primo dei passaggi italiani per il tour dell’ultimo “Natural Magick”, pubblicato lo scorso febbraio, la band inglese si rende protagonista di un grande rituale collettivo, un po’ hippie e ampiamente lisergico, condiviso tra rock vintage e suggestioni visionarie.
 
Sul palco dell’Alcatraz di Milano è di scena la line up originale, quella che con il disco d’esordio “K” aveva frequentato le chart e venduto milioni di copie: Crispian Mills nel suo kurta color argento, Alonza Bevan al basso, Paul Winterhart alla batteria e lo “stregone bianco” Jay Darlington alle tastiere, rientrato in formazione dopo un’assenza più che decennale. Si alternano quindi episodi dal lontano passato a brani del nuovo lavoro, per dare forma a momenti di abbandono catartico e vibrazioni positive in mezzo a riff del tutto trascinanti.
 
La serata si apre con “Gaslighting” per macinare subito, uno dietro l’altro, brani che in un’ora e mezza snocciolano un repertorio in grado di mescolare l’intero cosmo Kula Shaker, con il frontman Mills nel ruolo del grande incantatore illuminato e Darlington in quello dello sciamano dall’aura prodigiosa. Arrivano quindi canti liberatori ed echi immancabilmente trascendentali, da “Indian record player” a “Infinite sun”, passando per numeri travolgenti come “Hey dude”, “Grateful when you’re dead/Jerry was there” e poi ancora, “Shower your love” e  “303”, fino alle note conclusive per liberare la migliore luce interiore di cui si può disporre con “Tattva” e l’immancabile cover di Joe South “Hush” che all’epoca fu il primo singolo dei Deep Purple, per arrivare infine all’inno “Govinda”, con il suo misterioso testo in sanscrito cantato da tutti i presenti in un impeto di contagiosa trascendenza.
 
Senza mai essere preda di nessuna delle mode del momento, i Kula Shaker restano così saldamente fedeli al proprio credo, con le collane di fiori al collo e le Stratocaster variopinte. Seguendo quella già strada tracciata dai Beatles in ritiro a Rishikesh così come dai Kinks, il gruppo di Crispian Mills e soci dal vivo sprigiona tutta la sua magica spiritualità, smuovendo soprattutto divertimento, energia e reminiscenze orientali con una tavolozza sonora che mescola garage, pop e folk e ciondolante euforia al cielo. Un ottimo risultato per chi non ha né la proboscide né quattro braccia.
 
 
Setlist
 
1. Gaslighting
2. Hey Dude
3. Waves
4. Natural Magick
5. Indian Record Player
6. Start It All Over
7. Infinite Sun
8. I’m Still Here
9. Grateful When You’re Dead/Jerry Was There
10. Bringing It Back Home
11. Shower Your Love
12. Happy Birthday
13. Idon’twannapaymytaxes
14. F-Bombs
15. 303
16 Tattva
17. Hush (Joe South cover)

18. Govinda

19. Groove Is In The Heart (Deee-Lite cover)

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