Rockol30

Kurt Cobain, l'"Unplugged" di MTV

Trent'anni fa fa moriva il leader dei Nirvana: cosa rappresentò lo show del '93, pubblicato postumo
Kurt Cobain, l'"Unplugged" di MTV

Leggi qui tutti gli articoli dello speciale su Kurt Cobain.

 

Questo testo è tratto dal libro “Sotto traccia - una storia indie contemporanea” di Hamilton Santià, in uscita per effequ, per gentile concessione dell’editore: il racconta ‘ventennio breve’ 1994-2012 attraverso la musica, a partire dalla morte di Kurt Cobain: dal volume pubblichiam le pagine dedicate all'MTV Unplugged dei Nirvana.

 

Fuck you all, this is the last song of the show

[…]

Ho provato a cercarle, quelle immagini. Quelle di una gioventù che il marketing – e Douglas Coupland – si è affrettata a impacchettare come “Generazione X che si riversa nelle strade degli Stati Uniti d’America per dimostrare vicinanza nel momento della mancanza. Mancanza di chi aveva indicato una via, la possibilità di un’alternativa, di poter incidere con il proprio alfabeto culturale, il proprio lessico, la propria sensibilità, segnando uno scarto netto rispetto alla generazione dei padri (che, ai tempi, voleva dire anche segnare uno scarto netto facendola finita una volta per tutte con la retorica degli anni Sessanta). Non ho trovato quell’immagine di cui ho un ricordo vividissimo, centinaia di persone sedute in un prato vicino alla casa sul lago dove Kurt Cobain si era sparato in faccia solo pochi giorni prima, che reggono una candela e piangono in silenzio. Qualcuna ha anche un cartello. Qualcuna appoggia dei fiori. Molte si abbracciano. Ho iniziato a pensare che si sia trattata di una suggestione autoindotta, una sorta di “overlap” di ricordi che si sono stratificati mettendo insieme immagini di repertorio di quella Mtv, l’immagine che la distanza, lo spazio e il tempo ha costruito della gioventù americana di quegli anni; l’idea che mi sono fatto del grunge che poi ritroverò in tantissimi libri e in tanti dialoghi con amiche e amici e soprattutto quelle candele che arrivano direttamente dal palcoscenico dell’“Unplugged” che i Nirvana hanno registrato per Mtv il 18 novembre 1993.

Anche quell’Unplugged” è stato uno dei momenti in cui la Storia ha preso un bivio. Il format di Mtv era chiaro: si prendevano alcune delle band e degli artisti più popolari del mondo e si faceva eseguire loro il repertorio in formato acustico. Se la faccenda sembrava poter funzionare bene è dovuto a una serie di motivi.

Prima di tutto l’elemento novità: dopo un decennio muscolare tutto all’insegna della velocità, non era scontato che artisti estremamente popolari si mettessero ‘a nudo’ in una veste molto colloquiale e confidenziale, spogliando le proprie canzoni di orpelli, arrangiamenti e riducendole all’osso. Se guardiamo l’elenco dal 1989 troviamo alcuni dei personaggi più rilevanti del pop e del rock anni Ottanta, e non solo: Aerosmith ed Elton John, Sinéad O'Connor e Poison, virtuosi della chitarra elettrica come Joe Satriani e Stevie Ray Vaughan fino ad arrivare al trionfale “Unplugged” di Eric Clapton.

Il secondo è senz’altro la volontà di potenza di Mtv. Quando è nata, negli anni Ottanta, Mtv rappresentava per la televisione quello che i garage rappresentavano per la Silicon Valley: un laboratorio. Al volgere del decennio, prima dell’exploit dei Nirvana, Mtv era uno dei più potenti attori sul mercato per determinare il successo o meno di un’operazione e la possibilità di fare degli unplugged identificandoli come un format proprio, che diventa qualcosa di immediatamente riconoscibile, è sicuramente segno di un periodo di onnipotenza della rete. Del resto, chi avrebbe pensato solo dieci anni prima di prendere le più grandi star di tutti i tempi e dettare le regole del gioco?

Terzo motivo è la sorpresa. Dobbiamo provare a immaginare gli anni Novanta – del resto non stiamo facendo altro in queste pagine, ma giova ribadirlo. Il panorama mainstream dominato da suoni puliti e laccati. Ci sono alcune eccezioni – i Guns N’ Roses, i Def Leppard e quel che resta dei Mötley Crüe per esempio – che hanno sì delle distorsioni ma precisissime e pulitissime. Così come la loro immagine è perfettamente studiata per rappresentare quell’elemento di trasgressione che il Grande Spettacolo del tardocapitalismo non solo sopporta, ma incoraggia per operare la sua eterna opera di sussunzione e vampirismo per costruire quello che definirei il supermarket dell’immaginario. Il rock comincia davvero a essere una ‘cosa morta’, una cosa da genitori. Quando arrivano i Nirvana è come se una mano avesse di nuovo alzato la manopola del volume, riportando in vita il suono sporco, un’immagine senza compromessi perché semplicemente non c’era niente su cui riflettere, un’attitudine autodistruttiva e al tempo stesso sinceramente, intimamente nichilista. Il tutto rovesciando il tavolo con una musica che ha rappresentato davvero il più grande e riuscito assalto sonoro al buon senso comune e piccolo borghese della sonnacchiosa – ma spendacciona – classe media globale dai tempi del punk e dei Sex Pistols. Pensate il colpo di genio degli executive di Mtv che chiedono ai Nirvana, agli Alice in Chains, ai Soul Asylum, agli Stone Temple Pilots di staccare i distorsori, di spegnere gli amplificatori e di far sentire le canzoni per quello che sono: brani di altissimo livello, che potevano piacere anche ai maledetti genitori.

Se possiamo riassumere l’esperienza degli Mtv Unplugged – che a quanto pare esiste ancora anche se non fa più trasmissioni con regolarità dal 2009 – io la racchiuderei nel dualismo ideale tra il disco di Eric Clapton e quello dei Nirvana.

Da un lato, un signore che pure con tutte le sue contraddizioni le sue tragedie mantiene il peso e la rispettabilità del ‘mostro sacro’ e sforna una performance poderosa, molto intensa ma trattenuta, facilmente decifrabile e assolutamente rispettosa delle aspettative del pubblico che infatti si precipiterà a comprare milioni (più di venti) di copie di quel disco. Eric Clapton è abbastanza elegante. Una camicia grigia e un completo di tweed.

Dall’altro lato, invece, c’è una band che non vuole dimostrare niente, al punto di presentarsi a uno dei più prestigiosi show musicali di tutti i tempi vestita come sempre. Cobain è in jeans, t-shirt e una giacca che sembra un golfino ma più che altro sembra l’adattamento di un tappeto di finto pelo di alpaca che probabilmente è stato trovato sul pavimento di qualche casa dei sobborghi di Seattle. Krist Novoselic, il bassista, è sostanzialmente in pigiama. Un giovanissimo Dave Grohl, lontano dal diventare la più grande rockstar del Ventunesimo secolo, indossa una sorta di dolcevita in pile. Sul palco insieme a loro, per l’occasione, c’è un altro chitarrista: si chiama Pat Smear e negli ultimi anni se l’è vista brutta. Ha fondato uno dei gruppi punk californiani più interessanti e di culto nell’underground, The Germs, autori di un unico album intitolato “Gi” nel 1979, e sciolti in seguito alla morte del leader Darby Crash, suicida con una overdose intenzionale di eroina. In seguito Smear ha provato a sbarcare il lunario in molti modi (ha fatto anche la comparsa in “Blade Runner”): qualcuno indovinato, qualche altro no, come quando ha rifiutato la chiamata dei Red Hot Chili Peppers per sostituire John Frusciante dopo “Blood Sugar Sex Magik”. Alla chiamata di Kurt invece non ha saputo dire di no, ed è diventato il secondo chitarrista dei Nirvana. Oltre a lui, gli altri ospiti sono Cris e Curt Kirkwood, membri dei Meat Puppets, band diventata di culto tra gli appassionati di punk americano e di indie negli Ottanta, e ovviamente gruppo importantissimo per Cobain. Così il leader dei Nirvana, nel momento di massima esposizione della sua band, decide proprio di invitare i fratelli Kirwood sul palco, per eseguire tre loro canzoni (“Plateau”, “Oh Me” e “Lake of Fire”): forse per mostrare che ci sono modi e modi di stare dentro la contraddizione, ad esempio non dimenticandosi degli amici. Completa la formazione Lori Goldston, violoncellista che si è fatta strada nell’underground suonando anche con gli Earth del già citato Dylan Carlson e che adesso ha una lista di collaborazioni lunghissima e di altissimo livello.

A stupire è innanzitutto l’atteggiamento della band su quel palco. Sostanzialmente se ne sbattono, si prendono in giro dall’inizio alla fine, sembra che siano lì per caso. Kurt tra una canzone e l’altra si gira e dice al resto della band cose come “adesso guardatemi mentre rovino questa canzone”, “questa la sbaglio”, “posso farla da solo, così la cambio come mi pare?”. In sottofondo si sentono le risposte di Grohl e degli altri: “dài, non è andata così male”, e lui che di rimando li sfancula. Tutto un altro mondo rispetto al compassato e noiosissimo perfezionismo e professionismo di Clapton e soci. Le persone che conoscono l’“Unplugged” sanno già fin troppo bene quale sia il repertorio di quella sera, si potrebbero citare brani come “About a Girl” per ricordare come Kurt la introduca dicendo “Questa è del nostro primo disco, non tutti voi la riconoscerete», si potrebbe poi dire delle cover di artisti ammirati dai Nirvana – David Bowie, o i poco noti Vaselines – ma soprattutto c’è da ricordare la chiosa con “Where Did You Sleep Last Night”.

Cobain presenta la canzone attribuendola al suo performer preferito di tutti i tempi, il bluesman Lead Belly, uno di quei nomi che tornano sempre quando si tratta di costruire le fondamenta della musica americana prima dell’invenzione della chitarra elettrica. È stato attivo principalmente tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento, morendo nel 1949 – prima, insomma, di prendersi giuste glorie nella rivoluzione portata avanti dal rock’n’roll; la sua storia musicale segue lo stereotipo del bluesman maledetto: è stato scoperto da John e Alan Lomax in prigione, dove stava scontando un periodo di detenzione, e i due hanno iniziato a registrare le sue canzoni lì sul posto, impressionati dal suo talento.

“Where Did You Sleep Last Nght” è una marcia funebre. Parla di morte e omicidio, di corpi che non si trovano e teste mozzate. Non si sa da dove arriva, sicuramente non è di Lead Belly, che probabilmente l’ha ascoltata a sua volta negli anni Venti su un cilindro fonografico. Secondo l'etnomusicologa Judith McCulloh esistono più di centosessanta versioni differenti della canzone. È evidentemente una canzone passata di bocca in bocca, e che proprio per questo ha cambiato di volta in volta significato a seconda di chi la ha interpretata. Chi si concentrava sull’omicidio, chi sul testo di denuncia nei confronti dei lavoratori sfruttati delle miniere (la frase “in the pines”, ‘nella pineta’, diventa talvolta “in the mine”, ‘nella miniera’). La persona uccisa è descritta di volta in volta come un uomo, una donna, un adolescente, un marito, una moglie o un genitore. I pini poi sono stati analizzati negli anni come metafore per il sesso, per la morte e per la solitudine. Mentre il treno viene descritto come chi porta via una persona amata – anche con la morte – oppure come un lavoratore sfruttato che lascia la casa e la famiglia. Inoltre, pur attribuendo (erroneamente) la paternità a Lead Belly, la versione di Kurt Cobain arriva direttamente da quella eseguita da Mark Lanegan nel suo disco d’esordio del 1990, “The Winding Sheet”, dove quel drone di chitarra elettrica che rende la canzone – in perfetta unione alla voce di Lanegan, ai tempi perso in alcuni dei suoi peggiori abissi – una vera e propria litania dell’orrore gotico americano giunta a noi direttamente dall’oltretomba e interpretata magistralmente dalla voce che per definizione non ha mai avuto niente da perdere, quella di Mark Lanegan, quel drone di chitarra elettrica, dicevo, è stato suonato proprio da Kurt Cobain.

Nell’“Unplugged, quando Kurt attacca il brano è come se aprisse uno squarcio sul quel misterioso ignoto di cui è fatta la materia di cui è fatto non il sogno, bensì l’incubo alla base della musica dei Nirvana e per la prima volta, per la prima volta senza filtri, ci chiedesse di prenderne parte per davvero e vederlo, quell’ignoto. In quel momento uno degli standard per definizione della musica tradizionale statunitense, bastarda per natura, spuria e sporca, destinata a essere un’opera aperta all’infinito, trova finalmente una casa e un interprete: adesso è la canzone di Kurt, che poco dopo la metà del brano cambia l’intensità e urla, tira fuori tutta la rabbia che ha in corpo in uno di quei modi di cantare che lo hanno reso indimenticabile. Ma non è solo la voce, è lo sguardo di Cobain, uno sguardo che è rimane nella memoria anche perché il regista ha deciso di tenere la telecamera piantata sul primo piano della sua faccia: io trovo che in quello sguardo (che potrei definire spiritato, ma non renderebbe abbastanza l’idea) ci sia il senso del cambiamento epocale che la musica dei Nirvana e la figura di Kurt Cobain hanno provato a portare nel mondo. Forse è nella lettura e nell’analisi di quello che c’era dietro e, soprattutto, davanti a quegli occhi che dobbiamo concentrarci nei secoli a venire per capire cosa poteva succedere e come mai invece da quel momento in poi sia andato tutto a rotoli.

Leggenda vorrebbe che un executive della trasmissione fosse andato dalla band a chiedere se volessero fare un bis, e che si fosse sentito rispondere da Kurt che dopo quella canzone, dopo “Where Did You Sleep Last Night”, non si poteva suonare più nient’altro. Difficile non dargli ragione.

 

https://images.rockol.it/dd5W-vuE1f5BDV3MEj-GPR2Hxy8=/700x0/smart/rockol-img/img/foto/upload/copertina-sottotraccia.jpg

 

La fotografia dell'articolo è pubblicata non integralmente. Link all'immagine originale

© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Policy uso immagini

Rockol

  • Utilizza solo immagini e fotografie rese disponibili a fini promozionali (“for press use”) da case discografiche, agenti di artisti e uffici stampa.
  • Usa le immagini per finalità di critica ed esercizio del diritto di cronaca, in modalità degradata conforme alle prescrizioni della legge sul diritto d'autore, utilizzate ad esclusivo corredo dei propri contenuti informativi.
  • Accetta solo fotografie non esclusive, destinate a utilizzo su testate e, in generale, quelle libere da diritti.
  • Pubblica immagini fotografiche dal vivo concesse in utilizzo da fotografi dei quali viene riportato il copyright.
  • È disponibile a corrispondere all'avente diritto un equo compenso in caso di pubblicazione di fotografie il cui autore sia, all'atto della pubblicazione, ignoto.

Segnalazioni

Vogliate segnalarci immediatamente la eventuali presenza di immagini non rientranti nelle fattispecie di cui sopra, per una nostra rapida valutazione e, ove confermato l’improprio utilizzo, per una immediata rimozione.