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Mariano Deidda, il cantapoeta

Un ritratto fra musica e letteratura
Mariano Deidda, il cantapoeta

È davvero, paradossalmente, così: quando incontri Mariano Deidda tutto ciò che pensavi fosse realtà diventa apparenza e ciò che non ti saresti aspettato realtà. In un bar di Torino, tra Campari e orzo, pensi di essere lì per parlare di musica e invece vieni travolto e coinvolto in speculazioni filosofiche, in confidenze letterarie, in insegnamenti e testimonianze di vita vissuta. E Deidda, nella eterogeneità dei fini, come vedremo, di vite ne ha vissute più di una. Sardo di nascita, trascinato bambino in Piemonte per necessità, espatriato a Lisbona da adulto per vocazione, la sua vita si declina fra due grandi amori, due passioni inestinguibili: la musica – fra contrappunti e accenti classici, jazzistici e popolari – e Maria Teresa, conosciuta fra i banchi di scuola e amata per sempre, anche quando la sorte l’ha strappata, troppo presto, alla vita. 

La sua ormai trentennale carriera artistica non segue una consequenzialità logica e prosegue assecondando l’incontrollabile caos in cui da sempre ognuno di noi si dibatte, cercando di indirizzare quantomeno gli intenti. Tutto comincia con quella quotidiana casualità che rende straordinario ogni evento: anni e anni passati nei circuiti musicali minori, una demo (ancora in formato analogico) consegnata a Milano nelle mani di Vince Tempera e Maria Teresa che costantemente lo sostiene, insiste, piega il caso allo stato di necessità, telefonando senza sosta a casa Tempera fino a instaurare una sorta di amicizia a distanza con la moglie. Ma il maestro di Milano, nonostante la confidenza nata tra le due donne, si fa desiderare a lungo, aspettando la dovuta maturazione dell’artista con sapiente pazienza.

Deidda deve avere il tempo di creare una propria koinè musicale, un’espressione vocale originale e inimitabile che rifugga dal semplice virtuosismo, uno stile che, pur tenendo conto delle esigenze di un ipotetico ascoltatore, gli permetta di non cadere nel vortice dell’"usa e getta" consegnandosi, in breve tempo, alla damnatio memoriae. 
L’aspirante cantautore dovrà capire che è inutile gettarsi nella furiosa e vana corsa verso il successo, che salire troppo in fretta comporta inevitabilmente una rovinosa caduta, che la qualità dell’arte si misura sul lungo termine. 

Il banco di prova è l’EP "Quattro canzoni per ricominciare" (1992) prodotto da Tempera e che vanta collaboratori illustri come Ellade Bandini, Ares Tavolazzi e Massimo Luca. Ma la vera e propria consacrazione discografica e artistica arriva cinque anni dopo con "L’era dei replicanti" edito dalla Sony: l’album contiene canzoni con testi che si riveleranno profetici, sempre attuali, così com’è proprio di ciò che è destinato a diventare classico, e gli varrà la partecipazione all’Expo di Lisbona del 1998 come ambasciatore della canzone italiana d’autore. 

E lì nella terra del fado, tra gli sferragliamenti e i singulti del tram 28 che macchia di giallo Lisbona da piazza Moniz fino a campo Ourique, fra i sentori grevi di pesce e zuppe, Mariano si sente come a casa, ritrovando, attraverso le parole dell’amato Fernando Pessoa, una familiarità imprevista. E così, grazie al poeta dai mille nomi, nel 2000 arriva la svolta decisiva che coniuga inscindibilmente letteratura e musica, sodalizio spesso già stabilito dai grandi cantautori del passato, come Guccini con Gozzano e Borges o De André con Villon ed Edgar Lee Masters. Il progetto di Deidda, però, non intende esaurirsi nel gioco evidente o criptico di citazioni e rimandi, ma in una rielaborazione fedele in veste musicale dei versi immortali dell’autore portoghese. Il cantautore, quindi, si trasforma in sarto, cucendo addosso alla poesia una veste musicale: la scelta ricade sul jazz, per la sua versatilità e il suo potere evocativo. Nasce quindi un progetto di ampio respiro, sostenuto e reso possibile da Vince Tempera e dal maestro Antonino Lapiana, che si articola in un’antologia di sei album: "Deidda interpreta Pessoa" (2001), "Nel mio spazio interiore" (2003), "L’incapacità di pensare" (2005), il doppio "Mensagem" (2013/2016), "Pessoa sulla strada del jazz" (2016) e il capolavoro assoluto del "Faust2 (2021).

Accanto a lui, in questo lungo viaggio fra i personaggi e i luoghi di Pessoa, musicisti di fama mondiale cesellano e impreziosiscono i dischi di colui che d’ora in poi verrà ribattezzato dalla critica il cantapoeta: Enrico Rava, Gianni Coscia, Stefano Bognoli, Miroslav Vitous, la cantante di Fado Mafalda Arnauth e il celeberrimo Camané, tanto per citarne alcuni.
Nel mezzo troviamo l’album dedicato a Grazie Deledda, "Rosso Rembrandt" (2007), che si avvale della collaborazione di musicisti di fama mondiale come Kenny Wheeler e Sasha Karlic, e quello su Cesare Pavese, suo primo grande amore letterario, "Un paese ci vuole" (2011), con il grande clarinettista italiano Gianluigi Trovesi. E tra nomi fittizi, canne al vento, lune e falò si fanno strada anche le maschere di Pirandello, il cui incontro con Pessoa nel 1929 a Lisbona rimane un’ipotesi suggestiva e affascinante, suggerita e mai confermata da inspiegabili richiami letterari.
E con il grande scrittore di Agrigento, che grazie a Deidda diventa ponte tra la Sicilia e il Portogallo, si chiude il quadrato di corrispondenze parallele, i cui vertici uniscono le sue origini sarde con Deledda, la giovinezza piemontese con Pavese, la maturità lisbonese con Pessoa e l’origine siciliana di Maria Teresa con Pirandello. Quattro grandi autori in cerca di un cantautore, accomunati da una visione ancestrale e mitologica della propria terra e delle proprie origini, da quel mito che è nulla e che è il tutto, la risposta che cerchiamo e che dà un senso alle nostre vite incarnandosi in parole eterne, come se quel Dio invocato e desiderato ci parlasse da sempre attraverso l’arte.

Improvvisamente il ricordo, il sogno, la letteratura sfumano, anche Torino dilegua e si confonde fra i portici, scivolando lungo il Tanaro mentre accarezza le Langhe, perdendosi nelle acque cristalline di Masua, lambendo Largo de São Carlos fino alla Kolympethra, per poi naufragare nel gran mare africano.  Ti ritrovi così a quel tavolo di un bar di fronte a Mariano che ti scruta con i suoi occhi chiari e ti racconta delle sue molteplici vite con una naturalezza che disorienta e stupisce: un uomo la cui prima esistenza si chiude drammaticamente un 16 dicembre con la morte di Maria Teresa per risorgere un 27 marzo, giorno del compleanno dell’amatissima moglie, con un sogno profetico. Ancora una volta, da quel mondo che a noi mortali è proibito conoscere, la donna guida e sostiene Mariano, indicandogli il suo futuro e ricordandogli che per viaggiare basta esistere: è ora - dopo centinaia di libri letti, dischi incisi, familiari conosciuti e riconoscimenti ottenuti – di abbandonare Pessoa e cercare altrove nuovi stimoli, nuove domande a cui dare risposte. E come la letteratura ci ha insegnato, ogni sogno per concretizzarsi in realtà, per tradurre la suggestione onirica in qualcosa di tangibile, si tramuta in oggetti che, inspiegabilmente, si trovano dove non dovrebbero essere, imponendo attenzione: ecco allora che un libro sul pavimento indica la nuova rotta, da ricostruire in fretta in quei frammenti di romanzi sottolineati e letti insieme, custodendo e nascondendo il progetto, per ora, e riconoscendo chiaramente che pur non essendo nulla siamo tutti i sogni che riusciamo a sognare.

 

Foto di Graziano Secchi

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