Dalla “Gasolina” a Gesù: la vita da film di Daddy Yankee

Ha scelto di chiudere proprio sulle note della canzone che lo rese una star a livello mondiale, “Gasolina”. Alla fine del concerto Daddy Yankee ha aperto la mano con la quale stringeva il microfono e l’ha lasciato cadere a terra: “Questo giorno per me è il più importante della mia vita. Stasera riconosco, e non mi vergogno di dirlo al mondo intero, che Gesù vive in me e che io vivrò per lui. Questa è la fine di un capitolo e l’inizio di uno completamente nuovo. Tutti gli strumenti che ho, la musica, i social, un microfono, ora sono per il regno. Non seguite un uomo, io sono una persona. Seguite Gesù Cristo”, ha detto il re del reggaeton ai 18 mila spettatori accalcati nel parterre e sugli spalti del Coliseo José Miguel Agrelot di San Juan, in Porto Rico. Sapevano che quello per il quale avevano acquistato un biglietto sarebbe stato l’ultimo show del cantante: ma nessuno si aspettava un annuncio del genere.
Il re ha deciso di abdicare: ai beni terreni, materiali, fisici ha preferito quelli spirituali, immateriali. Daddy Yankee intraprenderà un percorso spirituale che non sa ancora dove lo porterà. Autentica conversione o puro marketing? Prima di lui nel mondo latino, tutto sesso, ricchezza e violenza, aveva annunciato la sua devozione a Dio già Farruko. Lo scorso anno il cantante portoricano di Pepas (tradotto: “Pillole”) sorprese i fan scusandosi per i messaggi diseducativi veicolati fino ad allora nelle sue canzoni e annunciò la sua conversione. “Questa carriera è stata una maratona. Finalmente ora vedo l’obiettivo finale. Ora mi godrò con tutti voi ciò che mi avete dato”, ha detto Daddy Yankee, scrivendo un nuovo capitolo di una vita che meriterebbe di diventare un biopic o una serie tv.
Ramón Luis Ayala Rodríguez era un ragazzino come tanti a Río Piedras, il più grande distretto di San Juan, negli Anni ’80. Voleva diventare una star del baseball, ma il suo sogno fu spezzato quando si trovò nel bel mezzo di una sparatoria tra due gang rivali e una pallottola gli si conficcò in una gamba, costringendo i medici ad applicargli una placca di ferro. A salvarlo ci pensò la musica. Battle, dischi autoprodotti, collaborazioni con colleghi come Nicky Jam e Don Omar, destinati come lui a diventare tra gli astri più brillanti della scena latin pop: la svolta sarebbe arrivata solo nel 2004. Complice quella canzone che rese l’espressione “Gasolina” (in italiano “benzina”) pop ovunque nel mondo: “A ella le gusta la gasolina”, cantava Daddy Yankee, dove il carburante era metafora del divertimento e dei piaceri della vita mondana.
Figlio di un padre - batterista di salsa - nero “come il carbone” e una madre “bianca come la neve”, il cantante portoricano riuscì ad unire nord e sud, arrivando a vendere mezzo milione di copie fisiche negli Usa dieci anni prima che lo streaming rivoluzionasse il mercato. Ma Daddy Yankee si sarebbe preso le sue soddisfazioni anche nell’era dello streaming: nel 2017 il duetto con Luis Fonsi su “Despacito” ha infranto record su record. L’album “Barrio fino” nel 2005 debuttò al primo posto della US Latin Albums, la classifica dedicata alla musica latina di Billboard: fu il primo disco reggaeton della storia a riuscirci. Sarebbe stato incoronato come l’album latino più venduto di quell’annata e poi dell’intero decennio: l’inizio di una nuova era. Se non ci fossero stati Daddy Yankee e la sua “Gasolina”, a quest’ora Bad Bunny, Ozuna, Rauw Alejandro, Maluma e J Balvin: “La gente dice che ho reso questo genere globale, ma siete voi ad avermi dato le chiavi per aprire le porte e rendere questo genere il più grande del mondo. Nei barrios, dove siamo cresciuti, la maggior parte di noi voleva diventare uno spacciatore - ha detto Daddy Yankee - oggi vado nei barrios e vogliono diventare artisti, e questo significa molto per me”.