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Articolo 31: "Noi, da sempre scomodi all'establishment musicale"

J-Ax: "Ernia ha parlato di 'pirla colorati'. Me la sono presa. Ma bisogna saper durare".
Articolo 31: "Noi, da sempre scomodi all'establishment musicale"

Scalano le classifiche insieme a Fedez e ad Annalisa con “Disco paradise”, da settimane tra i singoli più suonati dalle radio italiane e tra i più ascoltati sulle piattaforme di streaming. Vincono Dischi d’oro, come quello che gli è stato consegnato per “Un bel viaggio”, la canzone con la quale lo scorso febbraio si sono presentati in gara al Festival di Sanremo stringendosi di fronte a milioni di spettatori in un abbraccio riappacificatore, mettendo definitivamente da parte gli antichi dissapori. Collezionano sold out e macinano chilometri sul furgone girando l’Italia in lungo e in largo, portando in giro un karaoke intergenerazionale che fa cantare adolescenti, ventenni, trentenni e quarantenni, come ieri sera a Rock in Roma davanti a 10 mila fan letteralmente impazziti, complice un repertorio da oltre un milione di copie vendute nella manciata di anni tra il 1993 e il 2003 - quando i dischi si vendevano e non si ascoltavano in streaming - con album come “Messa di vespri”, “Così com’è”, “Xché sì!” e “Domani smetto” e hit come “Tranqi funky”, “Domani”, “Spirale ovale” e “La mia ragazza mena”. Gli Articolo 31 sono praticamente ovunque, quest’estate: “Per qualcuno siamo ‘meteore’ dal 1993. Per qualcuno siamo sempre stati ‘uncool’. La verità è che dopo trentuno anni dal primo singolo, siamo ancora qui”, dicono J-Ax e Dj Jad, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe.

Nei confronti di chi vi siete presi una rivincita?

Ax: “Furono la critica e l’establishment musicale a definirci meteore, quando uscimmo con il primo disco nel 1993. Eravamo molto giovani e dicevano: ‘Questi dureranno poco’. Infatti si è visto. A distanza di oltre trent’anni abbiamo ancora una certa rilevanza, nella scena”.
Jad: “Non è che siamo ancora così incattiviti. A tutti capita di sbagliare. La buttiamo sull’ironia”.

“C’era chi aveva l’impressione che fossimo dei “pirla colorati”, avete detto: che vuol dire?
Ax: “Questa roba dei ‘pirla colorati’ l’ho sentita dire in un’intervista a Ernia. L’intervistatore gli ha chiesto: ‘Ma secondo te il fatto che il rap venga preso poco sul serio è una conseguenza del fatto che quello degli Anni ’90 abbia venduto tanto?’. Ernia rispondeva: ‘Sì, la gente qui ti crede un pirla colorato’. Io, da permaloso, me la sono presa come se si stesse rivolgendo a noi. Anche perché noi eravamo sia colorati che pirla (ride)”.



Erano solo dei “pirla colorati”, gli Articolo 31?

Ax: “No. Il fatto che siamo ancora qui lo dimostra. Comunque anche noi ai tempi davamo dei ‘vecchi’ e dei ‘pirla’ ad altri colleghi. Aspettiamo che passi un po’ di tempo per capire se poi tu duri quanto il pirla colorato. Comunque ci tengo a dire che a noi piace molto la musica di Ernia: sono così vecchio e saggio che capisco anche il suo punto di vista”.

Le nuove generazioni vi riconoscono lo status di padri del rap italiano?

Jad: “Molti hanno iniziato con noi. Io mi sento un po’ papino”.

Ax: “Quando li incontriamo nel backstage, tanti ci dicono: ‘Abbiamo iniziato con voi’, ‘Mito’, ‘Capo’, ‘Boss’. Poi bisogna vedere quanti di questi sono sinceri e quanti no. Io mi auguro che lo siano”.



Com’era fare rap prima che l’Italia scoprisse il rap?

Ax: “Ringrazio sempre il fatto di aver iniziato a rappare quando rappare non era una moda, perché ci ha permesso di vivere quella discriminazione che partiva da cose davvero stupide. Ci deridevano solo perché magari indossavamo un cappellino da baseball. L’Italia è sempre stato un paese reazionario, contrario alle novità. Però quella discriminazione che abbiamo subito ci ha resi più forti e ci ha stimolato ad essere sempre liberi”.

È vero che all’apice del successo, tra stress, tensioni e ansia da prestazione eravate pure arrivati a darvi il cinque alla fine dei concerti senza neppure guardarvi negli occhi, come cantate in “Un bel viaggio”?

Ax: “Forse l’abbiamo un po’ romanzata, la crisi. Quel verso è una metafora per far capire che ormai era diventato tutto parte di una routine, anche darsi il cinque sul palco. Funzionava tutto, tranne l’amicizia”.

Jad: “Quando viaggi sempre insieme nello stesso van, condividi le stanze d’hotel, i camerini, vivi ventiquattro ore su ventiquattro attaccato all’altro, ad un certo punto finisci per non sopportarti: è quello che è successo a noi”.

La reunion ha una scadenza?

Ax: “No. Dopo i quattro sold out al Forum di Assago dello scorso maggio, ora stiamo facendo questo tour (proseguirà fino a fine agosto, ndr). E nel frattempo lavoriamo a un album. Ma il progetto Articolo 31 non preclude a nessuno dei due di fare anche cose singolarmente. Il bello di essersi ritrovati oggi è anche questo: avere due carriere distinte che possono unirsi e separarsi in qualsiasi modo, lasciando integri gli Articolo 31”.

Chi sono oggi gli Articolo 31?

Jad: “Gli stessi di qualche anno fa, ma un po’ più cresciuti”.

Ax: “Con qualche acciacco e molta più autoironia, ma con la solita cazzimma”.

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