Rockol30

Stranglers, "The raven" usciva 44 anni fa. L'album, le canzoni

Tratto dal libro di Stefano Gilardino "The Stranglers - Uomini in nero" (Tsunami)
Stranglers, "The raven" usciva 44 anni fa. L'album, le canzoni

THE RAVEN

Il quarto album in studio della band è anche il primo in assoluto composto e registrato in trasferta, dopo la chiusura dei T.W. Studios a Londra. Tra la parziale fase di scrittura in quel di Umbertide (Perugia) e quella produttiva a Parigi, gli Stranglers cominciano a prendere confidenza con ciò che succede al di fuori dei propri confini geografici, finendo per rimanerne influenzati in maniera diretta. Abbandonata in maniera brusca la collaborazione con il produttore Martin Rushent, i quattro musicisti (Hugh Cornwell, chitarra e voce; Jean-Jacques Burnel, basso e voce; Dave Greenfield, tastiere e voce; Jet Black, batteria) si ritrovano a gestire in prima persona molti aspetti pratici e artistici, coadiuvati dal mestiere del fido Alan Winstanley, fino a quel momento braccio destro di Rushent e qui promosso sul campo, e dell’ingegnere del suono Steve Churchyard.

«In verità le cose con Martin avevano cominciato ad andare male qualche tempo prima» confessa Cornwell nel suo “The Stranglers: Song by Song”. «Andammo in studio con un pezzo intitolato ‘Two Sunspots’ che avevamo registrato con Martin qualche mese prima di cominciare con l’album. La casa discografica voleva pubblicare un singolo e a Martin piaceva quel pezzo perché era allegro. Per noi era uno scarto e così cominciammo a giocare con il nastro suonandolo a velocità dimezzata. Lo trasformammo in un altro brano e lo chiamammo ‘Meninblack’. Martin arrivò più tardi e disse: “In teoria, dovremmo incidere un singolo. Cosa state combinando?”. Gli dicemmo: “Questo pezzo si chiama ‘Meninblack’, ne stavamo parlando poco fa, è piuttosto cupo”. Martin rispose: “Tutto ciò è assurdo!”, e se andò via. Alan Winstanley invece rimase perché si stava divertendo. […] A quel punto lo salutammo e quella fu la nostra ultima collaborazione».

 “The Raven” rappresenta dunque un punto di rottura e di arrivo ma, inevitabilmente, anche quello di partenza per la seconda fase di carriera del gruppo, quella più sperimentale che già si era palesata in “Black and White”. Nonostante sia presente il loro singolo più pop di sempre, almeno fino a quel punto, ovvero ‘Duchess’, l’album è denso di episodi strani e particolari, giocati su tempi poco convenzionali, ricchi di inventiva e definitivamente staccati da quel calderone punk in cui erano stati messi fin dagli inizi. Se “Black and White” è il disco post-punk dei Nostri, “The Raven” sposta l’asticella ancora più in alto, contaminandosi con molto altro e spianando la strada al capolavoro oscuro “The Gospel According to the Meninblack” che arriverà di lì a poco. Le avvisaglie più chiare sono nel brano quasi omonimo, ‘Meninblack’, pietra dello scandalo che li allontanerà per sempre dalle velleità commerciali di Rushent, e primo piolo della scala della paranoia che li porterà fino in vetta. O in fondo, che forse sarebbe più corretto…

Il resto di questo quarto lavoro in studio è composto da retaggi del passato punk/wave, come la title track e ‘Nuclear Device (The Wizard of Aus)’ – forse la prova di forza più eclatante di Burnel al basso – brani che viaggiano in coppia e giocano a citarsi l’uno con l’altro (‘Ice’ e ‘Shah Shah a Go Go’), ballate stupende (‘Don’t Bring Harry’), piccole gemme inaspettate e fuori dagli schemi (‘Baroque Bordello’), degni prologhi ed epiloghi come la strumentale ‘Longships’ e la malatissima ‘Genetix’. Dietro a una copertina austera con un corvo maestoso in primo piano, realizzata in edizione 3D in un numero limitato di copie, si cela un nuovo scatto in avanti del gruppo, in cui persino i testi si lasciano alle spalle le tematiche personali dei vecchi lavori per concentrarsi finalmente su ciò che accade nel mondo. Tra le parole di “The Raven” è facile cogliere invettive polemiche, riflessioni politiche, divertenti giochi linguistici – da ‘Dead Loss Angeles’ al ‘Wizard of Aus’ – lamenti paranoici, l’amatissimo Mishima di JJ Burnel e, tra gli apici, una delle più belle drug song di sempre. L’orlo del baratro è ormai vicino, manca solo il coraggio (o l’incoscienza) di buttarsi…

 

TRACK BY TRACK

 

LONGSHIPS

Primo strumentale della carriera e apertura adeguata di un album che deve necessariamente trasportare la band verso altri lidi. La “longship, ovvero la nave vichinga più comunemente conosciuta come “drakkar”, campeggia anche sul retro copertina, con i quattro “meninblack” ritratti a prua mentre scrutano l’orizzonte. Il tema dei miti norreni ricorre anche nel secondo brano, quello che intitola l’intero lavoro.

 

THE RAVEN

Trascinato dal basso possente di Burnel, ‘The Raven’ è uno degli episodi più classicamente Stranglers delle due facciate, ancorato a un sound new wave ormai marchio di fabbrica della band. Il riferimento del testo è per i due corvi Huginn e Muninn che sedevano al fianco del dio Odino, di cui erano consiglieri e per cui svolgevano il lavoro di osservatori del mondo esterno. L’animale, dunque, diventa il simbolo dell’intero disco, ma anche una metafora per gli Stranglers come reporter privilegiati di quanto sta succedendo attorno a loro. Senza scordare l’ennesimo riferimento ai vichinghi, che utilizzavano i corvi sulle navi come radar per la terra ferma, grazie al loro innato senso dell’orientamento. Come già per “Black and White”, Greenfield comincia a usare sempre più spesso i sintetizzatori invece del solito organo o delle tastiere più tradizionali, regalando al pezzo un tocco di modernità.

 

DEAD LOSS ANGELES

Il titolo è un gioco di parole tra la megalopoli californiana e l’espressione “dead loss” che potremmo tradurre con ‘disastro’, ‘noia mortale’ o ‘perdita secca’. L’antipatia dei quattro per gli americani è cosa nota, soprattutto quella del bassista, ma anche Cornwell, che scrive il testo, non mostra particolare benevolenza verso i cugini d’oltreoceano. Come diceva Churchill: »Inglesi e americani sono un unico popolo separato dalla lingua», e gli Stranglers paiono confermare una vocazione eurocentrica anche in questa riflessione sul gigantismo americano – rappresentato qui dal finto mastodonte esposto a La Brea, in quel di Los Angeles. Ottima l’idea di abbandonare la chitarra e affrontare il brano con un doppio basso che lo rende molto particolare, oltre che un unicum nella loro discografia.

 

ICE

Tornano le atmosfere giapponesi di ‘Death and Night and Blood (Yukio)’, torna la fascinazione per Mishima e di rimando quella per il suicidio rituale, il “seppuku”, di cui narra appunto ‘Ice’. Burnel: «La parte di tastiere è davvero difficile, non è fatta con il sequencer, ma suonata nota per nota. Mi ricordo che Dave passò due o tre giorni a imparare la sequenza manuale, ma dal vivo è davvero difficile da eseguire e finisce per trascinare tutti fuori tempo. La batteria e il basso sono la base del pezzo, ma siccome le tastiere sono usate in modo percussivo, se non vanno a tempo rovinano tutto». È curioso come la parte di tastiera incriminata ritorni a sorpresa proprio alla fine di ‘Shah Shah a Go Go’, scelta insolita e che lega in maniera inestricabile i due brani in questione.

 

BAROQUE BORDELLO

Considerato dal bassista come un vero capolavoro, ‘Baroque Bordello’ è uno dei brani più complicati di “The Raven, con una parte di chitarra in 7/8 che ciclicamente si riallinea con quanto suonato dal resto del gruppo, donando al tutto un effetto straniante. Composto in Italia, ‘Baroque Bordello’ risente dell’atmosfera magica di quei giorni trascorsi in un ambiente rilassato e bucolico e si ritaglia uno spazio molto particolare all’interno del disco. «È una delle canzoni più belle che abbiamo mai composto e sia Hugh che Dave raggiungono livelli di assoluta eccellenza». Niente altro da aggiungere

 

NUCLEAR DEVICE (THE WIZARD OF AUS)

‘Nuclear Device (The Wizard of Aus)’ è dedicata all’allora governatore del Queensland, in Australia, il politico reazionario Joh Bjelke-Petersen, sbeffeggiato a più riprese, persino nella busta interna del disco, in cui campeggia (nella versione non censurata) una sua caricatura beffarda. Secondo singolo tratto da “The Raven”, è uno dei due episodi ancorati al passato recente, con un basso prorompente e un’irruenza quasi punk, ma fallisce l’ormai canonico assalto alle zone alte della classifica di vendita, segnando l’inizio del periodo nero degli Stranglers anche dal punto di vista commerciale. Il gioco di parole tra il mago di Oz e il mago dell’Australia rende l’idea di quanto ci aspetta tra le pieghe del testo. Bjelke-Petersen, dopo una condanna per corruzione e varie altre beghe legali, è morto a novantaquattro anni nell’aprile del 2005.

 

SHAH SHAH A GO GO

Un altro episodio che si preannuncia come una riflessione sul mondo che circondava gli Stranglers in quegli anni. Il tema, come da titolo programmatico, è quello della deposizione dello scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, e della salita al potere dell’ayatollah Khomeynī in Iran, in nome di una rivoluzione islamica che porterà il Paese mediorientale a un nuovo oscurantismo religioso e sociale. ‘Shah Shah a Go Go’ è anche ispirata a una profezia di Nostradamus – come ‘Goodbye Toulouse’ – il quale aveva predetto la caduta dello scià in una sua quartina. Cornwell: «Lo scià conduceva la sua vita in completa opulenza, un vero e proprio re, considerato di discendenza divina dal suo popolo. […] Il cambiamento con l’ayatollah, di fatto, ha solamente variato la prospettiva, con un altro monarca assoluto a capo del Paese, stavolta in veste religiosa». Come già Ice’ (di cui utilizza in parte il giro di tastiere) e ‘Baroque Bordello’, è un episodio giocato su tempi dispari e sperimentazioni, estremamente creativo e brillante. Il singolo che non è stato, lo si potrebbe definire…

 

DON’T BRING HARRY

Terzo e ultimo 7” estratto dal disco, ‘Don’t Bring Harry’ è una straziante ballata dall’umore notturno e dimesso, dedicata all’eroina, l’Harry del titolo. Nonostante sia un brano contro la droga, viene composto e suonato da quattro musicisti che flirtano pesantemente con la sostanza proibita, soprattutto Hugh e JJ che ne diventeranno in breve dipendenti. Testo e musica davvero sopraffini, uno degli apici di “The Raven”, a dimostrazione di come la band sia ormai capace di padroneggiare atmosfere diverse e complicate, profonde e ricche di pathos. Il piano che punteggia tutto il pezzo è davvero emozionante, così come il cantato di Burnel e il bell’assolo di chitarra di Cornwell. Ne esiste anche una versione in francese, pubblicata appunto oltralpe su 45 giri e 12”, ‘N’Emmènes Pas Harry’, prima volta in cui JJ si cimenta con la sua lingua madre.

 

DUCHESS

Il singolo designato per anticipare il quarto disco è il pezzo più pop dell’intera produzione del gruppo, con un testo di Cornwell dedicato a una sua fidanzata dell’epoca, diretta discendente di Enrico VIII. A distanza di anni resta ancora uno dei preferiti dal vivo e il suo successo si deve anche allo spassoso videoclip (bandito dalla BBC) girato in una chiesa a Hampstead con i quattro Stranglers vestiti da chierichetti.

 

MENINBLACK

‘Meninblack’ è il risultato della manipolazione del nastro su cui era registrata ‘Two Sunspots’, nonché causa diretta della fine della collaborazione con Martin Rushent. Era inevitabile che, prima o poi, la vena sperimentale degli Stranglers uscisse prepotentemente e mai come in questo caso si avverte la necessità dei musicisti di intraprendere strade più coraggiose. Oltre a introdurre il tema che caratterizzerà l’intero album successivo, quello degli uomini in nero, degli UFO e delle teorie del complotto, ‘Meninblack’ mette a nudo una delle ossessioni di Burnel, quella per il cannibalismo, che sarà sviluppata ancora più efficacemente su “La Folie”. «Per me il cannibalismo è qualcosa di sessualmente erotico. Fin da ragazzo ho avuto questa specie di ossessione per le gambe delle donne, quasi volessi mangiarle! Poi ho cominciato a leggere articoli interessanti su naufraghi costretti a nutrirsi di carne umana e sulle loro esperienze a riguardo. Una fantasia erotica, ecco, ma tengo a precisare che non c’è davvero altro».

 

GENETIX

Come da copione, anche “The Raven” si conclude con uno dei brani più particolari del lotto, anche in questo caso con una durata superiore ai cinque minuti. Non c’è nulla di convenzionale in ‘Genetix’: il tempo di Jet, i sintetizzatori, il canto mai banale di Dave Greenfield. Ogni componente sembra impegnato a suonare una parte diversa dalle altre e, al contempo, il pezzo si regge in piedi in maniera spettacolare, assumendo una forma più rock, se vogliamo definirla così, verso il finale, tutto in crescendo. Le riflessioni sulla manipolazione genetica sono pane per i denti del biochimico Cornwell, qui a suo agio con temi scientifici.

 

Questo testo è tratto dal libro di Stefano Gilardino "The Stranglers - Uomini in nero" (Tsunami), per gentile concessione dell'editore.

 

https://images.rockol.it/BVBxWgZQZdjcwc8a0sJqDqg59MQ=/700x0/smart/rockol-img/img/foto/upload/stranglersfronte.jpg
La fotografia dell'articolo è pubblicata non integralmente. Link all'immagine originale

© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Policy uso immagini

Rockol

  • Utilizza solo immagini e fotografie rese disponibili a fini promozionali (“for press use”) da case discografiche, agenti di artisti e uffici stampa.
  • Usa le immagini per finalità di critica ed esercizio del diritto di cronaca, in modalità degradata conforme alle prescrizioni della legge sul diritto d'autore, utilizzate ad esclusivo corredo dei propri contenuti informativi.
  • Accetta solo fotografie non esclusive, destinate a utilizzo su testate e, in generale, quelle libere da diritti.
  • Pubblica immagini fotografiche dal vivo concesse in utilizzo da fotografi dei quali viene riportato il copyright.
  • È disponibile a corrispondere all'avente diritto un equo compenso in caso di pubblicazione di fotografie il cui autore sia, all'atto della pubblicazione, ignoto.

Segnalazioni

Vogliate segnalarci immediatamente la eventuali presenza di immagini non rientranti nelle fattispecie di cui sopra, per una nostra rapida valutazione e, ove confermato l’improprio utilizzo, per una immediata rimozione.