Al concerto dei Nu Genea ci si può ammalare di napolitudine

Percussioni tribali. Un giro di basso irresistibile. Tastieroni che sembrano uscire fuori da un disco prog italiano degli Anni ’70. E un coro in napoletano: “Si mont o si ‘ma mont’ è na jastemm’ / si ‘a morte si ‘ma mort’ ca’ po’ tremm’ / muntagna fatta ‘e lava ‘e cient’ vie / tu tien’ ‘mman a te’ sta vita mia”. A dare il benvenuto al pubblico del Rock in Roma 2023 nel mondo dei Nu Genea non può che essere quel “Vesuvio” che raccoglie su di sé, allo stesso tempo, paura e magia: il “Dio del Mare” che sorveglia tutto il Golfo di Napoli, minaccioso ed emblematico, lo stesso cantato dal gruppo operaio ‘E Zezi, punto di riferimento della musica popolare napoletana e della tradizione della tamurriata dell’entroterra vesuviano degli Anni ’70, nel brano che nella loro operazione di recupero, riscoperta e attualizzazione del canzoniere partenopeo - "nu genea" deriva dal greco e significa "nuova nascita" - i musicisti e dj Massimo Di Lena e Lucio Aquilina hanno rivisitato e omaggiato. La Napoli che i Nu Genea cantano e che suonano è quella che rifugge dalle etichette e dai riflettori, fuori dai soliti cliché sulla città. E che conserva una magia inestimabile. Quella che la formazione partenopea prova a ricreare sul palco del festival ospitato dall’Ippodromo delle Capannelle, incantando e stregando gli oltre 5 mila paganti radunati davanti a loro.
I Nu Genea mettono d'accordo tutti: sud e nord, destra e sinistra, fighetti radical chic e ignorantoni. Ad ascoltarli ci sono ragazzi allergici al pop d'alta classifica che nella loro musica raffinata trovano una sorta di rifugio dai tormentoni, cresciuti magari con i dischi di Pino Daniele e dei protagonisti del Neapolitan Power ascoltati in casa dai genitori, ma anche parecchi adulti, tra appassionati, cultori del canzoniere napoletano e semplici curiosi. Molti indossano magliette di quel Napoli che si è appena laureato campione d’Italia, trentatré anni dopo l’ultima volta, a certificare il momento d’oro che la città sta vivendo in tutti i campi, artistici - si pensi anche al boom delle produzioni cinematografiche e televisive ambientate a Napoli o che hanno a che fare con la città, da “Mare fuori” a “È stata la mano di Dio” - e non. Nella stagione 1989-1990 a guidare gli azzurri verso il trionfo ci pensarono Ciro Ferrara, Marco Baroni e soprattutto Diego Armando Maradona: oggi, nell'era di Osimhen, Khvicha Kvaratskhelia e Kim qualcuno omaggia el Pibe de Oro indossando l’iconica maglia con il suo numero, il 10, mentre qualcun altro sfoggia con orgoglio quella della nazionale argentina. Ma c’è anche chi, per questione di resistenza o di semplice sberleffo, ha pensato bene di presentarsi all’Ippodromo delle Capannelle indossando una maglietta della Roma. “Buonasera guagliò e benvenuti al Bar Mediterraneo”, urla al microfono Massimo Di Lena, una delle due menti dietro al progetto, spalancando le braccia, alludendo al titolo dell’album uscito lo scorso anno e che i Nu Genea stanno portando in tour. “Forza Napuleeeee”, si esalta qualcuno tra la folla accalcata sotto il palco.
Disco, funk, boogie, elettronica, ritmi africani, tradizione araba, folk: i Nu Genea raccolgono gli echi delle musiche che storicamente hanno bagnato le coste del golfo di Napoli, loro città natale - è stata la nostalgia per casa che ha spinto Di Lena e Aquilina a mettere in piedi il progetto, quando erano entrambi di stanza a Berlino - e fonte inesauribile di miscele culturali e creano un nuovo solco nella scena contemporanea. Dal vivo si percepisce ancora di più che su disco: “Parev’ ajere”, “Praja magia”, “Nuova Napoli”, i Nu Genea si distinguono per la meticolosa ricerca che trae ispirazione da terreni sonori poco esplorati, passando al setaccio la musica del passato e rielaborandola con una formula personalissima. Gli sono bastati un paio di dischi ben promossi come “Nuova Napoli” del 2018 e il nuovissimo “Bar Mediterraneo”, diventato un piccolo caso discografico (è stato il vinile più venduto al mondo negli ultimi dodici mesi su Discogs, il sito dove gli appassionati vendono e aquistano lp e 45 giri, mentre la rivista musicale statunitense Spin ha messo Tienaté nella sua lista delle cinquanta canzoni più belle del 2022), per conquistare lo status di band di culto: un dato come quello dei 5 mila paganti registrato ieri sera al Rock in Roma - a Milano, lo scorso marzo, di spettatori ce n’erano addirittura 6400, in un Fabrique stracolmo - è sensazionale per un progetto del genere, nato come proposta di nicchia e arrivato a sorpresa a conquistare traguardi ben più ambiziosi di quelli raggiunti da certi protagonisti del pop mainstream che passa per Sanremo e la tv più in generale.
"Rire", “Tienaté”, “Doje Facce”, “Obsession”, “Disco Sole”: i pezzi tratti da “Nuova Napoli” e “Bar Mediterraneo” si susseguono uno dietro l’altro nella scaletta del concerto, quasi senza soluzione di continuità. La band, dal vivo, appare collaudatissima e suona in maniera deliziosa: Di Lena e Aqulina, entrambi alle tastiere, sono affiancati dalla carismatica cantante Fabiana Martone, dal chitarrista Marcello Giannini, dal bassista Paolo Petrella, dal batterista Andrea De Fazio, dal percussionista Paolo Bianconcini, dal sassofonista e flautista Pietro Santangelo e dal cantante e musicista tunisino Marzouk Mejri. Il concerto è musicalmente di alto valore tecnico, ricco di improvvisazioni. E di virtuosismi che però non sono mai fini a sé stessi. I Nu Genea sono bravissimi a trascinare nel loro mondo il pubblico, che non capisce neppure una parola dei testi in napoletano del gruppo ma si lascia coinvolgere dal sound ammaliante, scatenandosi sotto il palco.
La grande eredità di chi li ha preceduti se la caricano sulle spalle ma la interpretano alla loro maniera. Senza nostalgia, ma con intelligenza, sensibilità e uno sguardo internazionale (lo si prova ascoltando la moltitudine di suoni che caratterizzano i brani: strati di strumenti acustici, voci e sintetizzatori che si uniscono in una miscela unica di timbri): il napoletano è perfettamente integrato con il suono del gruppo, al punto di sembrare spesso africano o inglese, un codice comprensibile ovunue - da Berlino e Parigi, dove si sono esibiti negli scorsi mesi, a Roma - al di là delle parole e dei riferimenti geografici, della cultura che rappresenta.
Al concerto dei Nu Genea ci si può ammalare di napolitudine. Della città partenopea percepisci gli odori e i sapori, intravedi i colori e i paesaggi: da Marechiaro al Rione Sanità, dallo stesso Vesuvio a Capri. Di Napoli Massimo Di Lena, Lucio Aquilina e soci recuperano soprattutto la propensione al cosmopolitismo, al multiculturalismo: eccolo, il “Bar Mediterraneo” del titolo del loro disco. Quello che portano idealmente sul palco rappresenta l’idea di uno spazio comune, dove le persone si incontrano e si fondono: dietro al bancone si ritrovano idealmente i Daft Punk e Pino Daniele, gli Chic e Nino D’Angelo, gli Earth, Wind & Fire e Teresa De Sio. È un luogo con le porte sempre aperte ai viandanti e alle loro vite, sempre esposte ai capricci della sorte, nel quale le persone tornano di continuo per trasformare la curiosità in partecipazione, la tradizione in condivisione, lo sconosciuto in familiare. Dove si sta benissimo.
SCALETTA:
“Vesuvio”
“Parev' ajere”
“Praja Magia”
“Bar Mediterraneo”
“Nuova Napoli”
“Rire”
“Tienaté”
“Doje Facce”
“Obsession”
“Disco Sole”
“Amore”
“Je vulesse”