La geografia sonora di Giovanni Truppi

Ogni disco di Giovanni Truppi è un esperienza, sua e nostra. E in questo caso, il nuovo album “Infinite possibilità per esseri finiti”, la sua esperienza è forte, autobiografica, personale, ancora di più delle precedente. Ed è nostra perché Truppi ci chiede attenzione, coinvolgimento, con una serie di canzoni che toccano argomenti che sono vicini alle nostre sensibilità e distanti dalle abitudini d’ascolto quotidiane.
E’ raro, oggi, che i dischi abbiano questi presupposti, è rarissimo che siano pensati e creati prima di tutto come opere d’arte. E “Infinite possibilità per esseri finiti” è un album in cui il “sentimento” artistico domina su tutto, in piena libertà.
L’album è prodotto da Marco Buccelli e Niccolò Contessa e arriva a quattro anni dal precedente “Poesia e civiltà” e un anno dopo la pubblicazione di “Tutto L’universo”, l’antologia che ha racchiuso i primi 10 anni di carriera del musicista napoletano uscita in seguito alla sua partecipazione alla 72esima edizione del Festival di Sanremo.
E’ interessante leggere, come di rado accade, il comunicato stampa che lo presenta e che ci dice che si tratta di “un disco urbano, ambientato in una precisa dimensione temporale, che percorre la strada da Centocelle a Bologna calandosi nei quartieri di cui parla e in cui vive, che diventano parte essenziale della narrazione attraverso registrazioni ambientali, soundscape e field recording che fanno da trait d’union a un mix di generi e suoni, in cui l’incertezza e la frammentazione interiore si fanno vero e proprio linguaggio e cifra stilistica”. Che vuol dire? Che c’è verità e immaginazione, che ci sono vita e sogni, che si tratta di canzoni ma anche, volendo, di qualcosa di più, perché c’è musica, tanta musica, assieme, dentro, e oltre le parole. Ci sono rock ed elettronica, c’è ambient music vera e propria, con la rivisitazione, autorizzata personalmente dai fratelli Brian e Roger Eno, del loro brano strumentale ‘Blonde’ e hip hop, c’è la parola detta e quella cantata, addirittura quella gridata o potente, lì dove serve. Ci sono tante domande, tanti dubbi, tanti pensieri ma, allo stesso tempo, tante sorprese, sentimenti, colori, incastonati nella narrazione di tempi e di luoghi molto precisi (Roma, Centocelle, Bologna, 2020-2023), in un album davvero bello. “E’ un disco disarmato”, ci dice Truppi, “credo riesca forse a toccare delle corde che sono tese in tante altre persone. E allo stesso tempo è un disco impegnativo ma anche molto vario, se uno non è troppo maldisposto lo può ascoltare con leggerezza”.
E’ un album realizzato in un periodo particolare della sua storia, passando dal massimo di visibilità del Festival di Sanremo al minimo assoluto dovuto all’isolamento del Covid.
“Non ci avevo pensato in realtà. E’ vero, perciò, che sia Sanremo che il Covid sono state cose forti e importanti che hanno influenzato questo lavoro. Non vedo una relazione diretta tra le due cose mentre nel disco si. Relativamente al Covid credo che un disco che chiama così tanto gli altri a raccolta venga proprio da un momento di solitudine in cui gli altri sono mancati. E per quanto riguarda l’esperienza di Sanremo, avevo portato al Festival una canzone molto rappresentativa di quello che io sono e di come vedo la canzone, quindi non avevo bisogno di fare un disco, per così dire, ‘strano’ per compensare quell’esposizione. Ma questo album è in relazione con quella canzone, espande delle cose che già erano in quel brano, nella scrittura, nel modo di cantare e di affrontare una canzone pop”.
Le scelte artistiche che ha fatto per questo disco sono frutto di un ragionamento o sono nate per necessità?
“No, non c’è nessun ragionamento. Ci sono delle cose per le quali mi sento di aver esagerato con il ragionamento nella mia vita, ma non di certo sulla la forma canzone. Tutte le deviazioni che ho fatto sono nate da una esigenza di istinto, di pancia, dal fatto che quella cosa la dovevo dire in quel modo, che la struttura della canzone doveva essere quella e non un'altra. Ho sempre cercato di far quadrare tutto piu di quanto non fosse in origine quello che ne veniva fuori, in fin dei conti la mia diversità mi faceva pure un po’ di paura. Credo che questo album rappresenti una buona forma di equilibrio”.
L’aiuta il fatto che nelle classifiche ci siano cose spesso ‘strane’ o originali, al di la della qualità della musica?
“Mi aiuta, assolutamente si, mi tranquillizza molto, e mi fa piacere che tu lo dica. Mi capita alle volte di ragionare su delle mie anomalie, mentre le classifiche presentano cose piu strane di quelle che faccio io. Mi sembra che per fortuna questa roba della ‘stranezza’ ce la possiamo mettere alle spalle”.
E’ un disco in cui, in fondo, lei resta lo stesso ma cerca di essere diverso da se. C’è una nuova consapevolezza del suo essere cantautore, una nuova libertà?
“Ce lo dirà solo il tempo, ma sicuramente credo di aver imparato da questo disco a godere di piu nella scrittura e nella perfomance. Tutto il lavoro è debitore di un periodo di concerti, certe cose le ho portate direttamente dall’esperienza dei concerti dentro il disco. Però si, io sono anche una persone, nella vita e in parte nel lavoro, molto controllata che tende a si lascia andare centellinando, mentre in questo caso mi sono fidato di più del mio istinto. Devo molto alla presenza di Niccolò Contessa, una persona di cui avevo già grande stima e che mi ha convinto in qualche modo a fidarmi di piu della mia pancia, se lo faceva lui perché non dovevo farlo anche io?”.
Nei concerti in cui ha presentato l’album ha dato grande spazio all’aspetto visivo e teatrale. Sarà così anche nei prossimi concerti?
“In realtà la collaborazione con la compagnia Unterwasser era solo le presentazioni, solo le sette date. Ma ci è piaciuto, ha avuto un bel riscontro, e quindi stiamo ragionando. I prossimi saranno solo concerti, per adesso, ma l’approdo visuale potrebbe essere interessante”.