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Elio: “Jannacci per me è al pari di De André e Dalla”

L’artista è in tour con lo spettacolo “Ci vuole orecchio” dedicato al cantautore milanese.
Elio: “Jannacci per me è al pari di De André e Dalla”

Qui il nostro speciale di oggi su Enzo Jannacci nel decennale della scomparsa.

“In Italia c’è un pregiudizio: chi fa ridere è un artista minore. Non è così. Il motivo per cui ho deciso di portare Jannacci a teatro è proprio quello di abbattere quel pregiudizio, voglio vendicarlo – ha raccontato Elio a Rockol - in un primo momento, in realtà, l’ho fatto anche per egoismo: volevo cantare le sue canzoni. Lo ammetto. Quando arrivò sulle scene in molti non lo capirono, lo consideravano una sorta di cretino che faceva canzoni surreali, invece io penso che sia fra i più grandi. È insieme a Lucio Dalla, Fabrizio De André e Giorgio Gaber”.

Enzo Jannacci, il “poetastro” come amava definirsi, è stato il cantautore più eccentrico della storia della canzone italiana: Elio ne è certo. Un Buster Keaton della canzone, rivisitato, reinterpretato e ricantato dalla voce della band Elio e le Storie Tese in “Ci vuole orecchio”, spettacolo in programma fino al 2 aprile al Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano. Le sue canzoni preferite? “Aveva un taxi nero”, con il testo di Dario Fo e la musica di Fiorenzo Carpi, una storia assurda, un simbolo del suo modo di raccontare la realtà. Poi ‘Sopra i vetri’, che ha dietro gli stessi autori, un pezzo più malinconico, e ‘Quando il sipario calerà’, con cui chiudiamo lo spettacolo”, ha continuato Elio in occasione della sua tappa a Genova. Ma che cosa ha reso speciale Jannacci? “È stato unico, originale e inimitabile. La riconoscibilità è sempre stata uno dei suoi grandi punti di forza. Se ascoltiamo un paio di note, si riconosce subito un suo pezzo. Gli ho sempre invidiato tantissimo, sin da ragazzino, la capacità di essere credibile sia nel comico che nel drammatico. Perché Jannacci ha avuto anche quel lato”, ha proseguito ancora Elio.

Immersi nella coloratissima scenografia disegnata da Giorgio Gallione, sul palco assieme a Elio ci sono cinque musicisti, i suoi stravaganti compagni di viaggio, che formano un’insolita e bizzarra carovana sonora. “Lui era laureato, io anche. Lui era diplomato in pianoforte, io in flauto. Anche io, come lui, sono sempre stato attratto dagli infelici. Insomma, per una vita, fra i punti di riferimento, ho sempre guardato a Frank Zappa senza rendermi conto che ancora prima di lui c’era Enzo Jannacci”, ha ammesso Elio. “Silvano”, “Sopra i vetri”, “Aveva un taxi nero”, “El portava i scarp del tennis”, “Quando il sipario calerà” sono solo alcune delle tappe del viaggio. “Una volta ci siamo incrociati negli studi Rai. Jannacci ha bofonchiato qualcosa, io pure, lui non ha capito, io nemmeno. Sono un timido. Mai avrei avuto il coraggio di dirgli ‘sono un tuo fan’ – ha ricordato Elio - questo è il solo contatto che ho avuto con Enzo Jannacci. Ma una curiosità c’è: mio papà era stato suo compagno di classe, me ne parlava, me lo faceva ascoltare e mi faceva ridere. Da adulto mi ha affascinato la dignità del comico che ha portato nella canzone d’autore e lo stile surreale della sua risata, che poi era il clima del Derby, il cabaret di Milano”.

Jannacci è stato l’artista che forse meglio di chiunque altro ha saputo raccontare la Milano delle periferie degli anni ‘60 e ‘70, trasfigurandola in una sorta di teatro dell’assurdo realissimo e toccante, dove agiscono miriadi di personaggi picareschi e borderline, ai confini della fantascienza. “Roba minima”, diceva Jannacci: barboni, tossici, prostitute coi calzett de seda, ma anche cani coi capelli o telegrafisti dal grande cuore. “Quella voglia di raccontare la realtà, con una risata a fare da antidoto, non c’è più. Questo perché la società è radicalmente cambiata rispetto a quegli anni – ha concluso Elio - siamo andati indietro, non avanti. E per me buona parte delle responsabilità di questo arretramento ce l’hanno i social. Oggi l’ironia è usata sui social per attaccare le persone oppure, quando è intelligente, c’è il conformismo a frenarla, a spegnerla, mettendo all’indice chi ne è portatore”.

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