De La Soul: "Forse oggi '3 feet high" non avrebbe successo"
La storia di questa intervista ha uno straordinario prologo, un brillante svolgimento e un terribile epilogo.
La notizia che ha dato origine a tutto è che da domani, 3 marzo i primi sei album della celebre formazione rap dei De La Soul, quindi dal mitico “3 Feet High and Rising” (1989) fino a “AOI: Bionix” (2001) saranno disponibili su tutte le piattaforme streaming. Dopo un lungo lavoro i De La Soul insieme alla società di diritti musicali Reservoir Media - che ha acquistato la storica Tommy Boy - e la loro etichetta AOI (distribuita da Chrysalis Records) sono riusciti a riprendere la proprietà dei master e a sistemare la complessa questione dei diritti e dei sample.
L'occasione quindi era propizia per poter fare una chiacchierata con i De La Soul nella persona di Dave (David Jolicoeur, conosciuto anche come Trugoy the Dove) che nei 20 minuti a disposizione si è dimostrata persona gentile, calma e affabile, anche entusiasta di questa nuova tappa della loro carriera.
L'epilogo, purtroppo noto a tutti, è che dopo circa 20 giorni dalla chiacchierata che abbiamo avuto, Dave è mancato per complicazioni ai suoi problemi cardiaci di cui soffriva da qualche anno. D'accordo con l'ufficio stampa abbiamo deciso che valeva la pena pubblicare questa intervista per celebrare una band fondamentale dell'hip-hop mondiale. Da oggi forse molti giovani riusciranno ad ascoltare per la prima volta i loro primi dischi rimanendo infatuati, così come lo siamo stati noi quando li abbiamo ascoltati la prima volta più di trent'anni fa.
Partiamo proprio da qui.
Il 3 marzo arriveranno sulla piattaforma di streaming i vostri primi sei album. Come vivete questo evento? È una sorta di rinascita o solo una grande opportunità per far ascoltare la vostra musica a un pubblico più vasto?
Sinceramente non credo sia una rinascita, è un termine troppo forte, casomai una reintroduzione, sì, un'introduzione nel mondo digitale. Certamente è una grande opportunità per farci ascoltare ad un pubblico più ampio e di varie età che è orientato verso l'hip-hop. Sono contento ed eccitato di vedere le reazioni, ma sono anche contento che i fan possano avere la loro musica in formato digitale.
Da gennaio “The Magic Number” è disponibile in streaming anche con un lyric video su Youtube. Hai avuto qualche reazione da parte dei fan dell'hip-hop della Gen Z? Quale pensi sarà l'impatto di "3 feet high and rising"per i più giovani pubblicato oggi?
Penso che “3 feet high..” non sia così facile da assorbire da certe fasce demografiche di ascoltatori. Anzi, credo che per un Gen Z possa sembrare un po' buffo e strano. Credo che quel che sta succedendo oggi all'hip-hop ora non sia confrontabile con ciò che accadeva nell'hip-hop del 1989. È bello sapere che ci saranno ragazze e ragazzi che ascolteranno i nostri primi dischi, che li ameranno e che li troveranno interessanti e soprattutto qualcosa che la radio e l'industria musicale non propone loro e che non ricade nelle solite categorie. Del resto anche noi nel 1989 non rientravamo nelle solite categorie di genere. Voglio dire, campionavamo Liberace, non James Brown. Eravamo ingenui e creativi. Sono convinto che “3 feet high..” fosse un capolavoro per l'epoca in cui è uscito. Oggi non avrebbe successo, forse non sarebbe neanche capito.
Ecco, hai parlato di quello che succede nell'hip-hop oggi. Volevo sapere qual è la tua opinione sulla scena hip-hop e sull'evoluzione negli ultimi 10 anni.
Negli ultimi dieci anni l'hip-hop è andato da un'altra parte. Sinceramente non mi piace quello che sento oggi, non penso però che gli artisti black siano i peggiori. Però ci sono alcuni artisti che apprezzo. Voglio dire, ci sono persone della mia generazione che considerano spazzatura il mumble rap, ma io credo che ci siano artisti che stanno facendo qualcosa di creativo, magari non è immediato, lo devi scoprire e capire. Quando sei un artista devi rispettare tutta l'arte: oggi ci sono molti artisti che hanno il loro stile totalmente differente dal nostro. Poi ovviamente ci sono i fuoriclasse, Kendrick Lamar è straordinario, J Cole è un artista eccezionale.
Ti ho fatto questa domanda perché mi sembra che oggi più che mai l'hip-hop (e soprattutto trap, mumble rap, etc..) sia una cosa molto generazionale, a partire dai testi.
E' vero, nel mumble rap e nella trap molti testi a me non sembrano buoni. Però capisco anche che non è roba per me, ma è più per mia figlia e per i suoi cuginetti. Quindi forse non è neanche il caso che ne parli.
Però possiamo dire che nei testi non c'è traccia di ironia, come sono sempre stati i vostri o quelli di A Tribe Called Quest, Jungle Brothers...
Nel rap game oggi c'è molta uniformità: si parla solo di come puoi impressionare l'altro, su cosa puoi fare, quanti soldi hai, quanto stai spendendo, eccetera. Ai nostri esordi c'era molta più attenzione a creare idee, sound, rime straordinarie e originali.
Io e gli altri veniamo da un'era di artisti che stavano molto in studio e cercavano una precisa direzione e un maggior controllo del loro suound. Oggi invece i rapper sentono qualcosa su Instagram, pensano che siano un buon beat e chiedono se possono comprarlo per 200 dollari. Funziona tutto così.
Ho letto che mentre stavate cercando di sistemare le cose con i diritti e i campionamenti, siete rimasti sorpresi quando avete visto che gli editori e gli artisti erano i vostri primi fan. Puoi raccontarci una storia che vi è capitata?
Penso che il mio momento memorabile sia stato quando abbiamo incontrato George Clinton per ottenere la clearence. Noi ci eravamo preparati tutto il nostro discorso... insomma lui era George Clinton, forse la nostra più grande ispirazione, conosciamo a memoria tutti i dischi dei suoi progetti. Così quando lo incontriamo, lui non ci fa nemmeno parlare e ci dice “wow ragazzi, voi avete preso qualcosa di mio e l'avete trasformato in qualcosa di nuovo e migliore. Ve ne sono immensamente grato”. Noi eravamo ammutoliti. E' decisamente il miglior ricordo che ho.
Come siete riusciti a continuare a stare insieme tutto questo tempo?
Non è stato semplice. Anche negli ultimi anni durante la pandemia, quando ognuno di noi voleva provare a fare dei progetti solisti. La realtà è che possiamo stare per mesi senza vederci o sentirci, ognuno preso dalle proprie cose e dalla famiglia. Ma poi la magia scatta quando noi tre siamo al telefono, insieme nella stessa stanza o in studio. E questa magia è il motivo del perché siamo ancora qui. Non vogliamo interromperla.
In questi anni avete provato diversi e alternativi approcci al mercato. Nel 2009 avete collaborato con Nike per pubblicare “Are You In?” Nel 2014 avete preso il vostro catalogo e lo avete reso disponibile per il download gratuito, praticamente contrabbandando la vostra musica e nel 2015 avete lanciato una campagna Kickstarter per finanziare il vostro nono album “Anonymous Nobody”. Qual è stato l'approccio più soddisfacente e quale non rifaresti mai più?
Cavolo che domanda! Allora, l'operazione più soddisfacente è stata sicuramente la campagna Kickstarter. Voglio dire, quando hai un sogno lo devi seguire e devi trovare un modo per realizzarlo, anche se questo può essere molto complicato da realizzare. Quello è stato per noi un momento in cui avevamo creato una magia e l'unica cosa da fare era guidarla e renderla reale. La cosa straordinaria è che in “Anonymous Nobody” non c'erano sample: furono coinvolti solo musicisti per realizzare un progetto artistico speciale.
La cosa che non farei più è stato il progetto con Nike. Credo sia stata una grande sfida musicale, ma trattare con una corporation è una cosa che non vorrò più rifare. Non per Nike in sé, ma in generale perché queste big corporation pensano e basano tutto soltanto sui soldi.
Una curiosità che riguarda il vostro secondo album del 1991 "De La Soul is Dead" che aveva in copertina un vaso rotto con una margherita. L'impressione è che all'epoca volevate prendere le distanze da come eravate state descritto fino a quel momento. Cosa c'era nella narrazione dei media su di voi che vi infastidiva così tanto?
A volte i media tendono a semplificare molto il racconto degli artisti dei progetti musicali. Così a quel tempo ci descrivevano sempre e solo come hippy, floreali e seventies e quando questa narrazione viene spinta troppo e a lungo diventa prevenuta e sterile. Noi provavamo a dire che in fondo eravamo molto di più di questo, ma niente. Così abbiamo voluto distanziarci da quell'immagine anche per far capire che eravamo innanzitutto delle persone e che come la nostra musica siamo in continuo cambiamento.
L'ultima domanda era quella canonica sui progetti per il futuro, se avessero in programma di esibirsi dal vivo o altre uscita di musica nuova. La risposta purtroppo era molto entusiasta e positiva, che avevano voglia come mai prima di tornare sul palco per proporre le loro canzoni e avere un contatto con il loro pubblico, che stavano lavorando a date in US e UK e che alla fine 2023 avremmo potuto aspettarci anche qualche nuova canzone.
Ma, purtroppo, l'epilogo è noto e doloroso.
Michele Boroni