Mondo Marcio, un rapper che s’è fatto da sé

Il suo nome aveva cominciato a circolare tra i seguaci della scena hip hop italiana una ventina di anni fa, quando aveva appena 16 anni e si era appena aggiudicato un'edizione del Tecniche Perfette - il concorso di freestyle, tra i più importanti per gli appassionati del genere - in un testa a testa contro Ensi. Mondo Marcio di cose ne ha fatte parecchie, in questi anni: album (nove, in totale), mixtape, EP, tour, collaborazioni. Oggi Gian Marco Marcello, questo il suo vero nome, compie 36 anni, per festeggiarlo ripubblichiamo la nostra recensione del suo penultimo album, "Uomo", pubblicato nel marzo del 2019.
Puoi togliere un ragazzo dalla periferia, ma non puoi togliere la periferia da un ragazzo. Il nuovo album di Mondo Marcio “Uomo!” è la storia di un rapper che s’è fatto da sé in tempi in cui la trap non esisteva e il purple drank lo bevevano a Houston, non a Cinisello Balsamo. “Io ho sudato tutto, la storia testimonia / Questi fanno i rapper per fare i testimonial”, rappa Mondo Marcio in un album in cui rivendica un ruolo centrale nella scena. Nella sinossi del disco, il rapper lo descrive come un racconto sulla “volontà di credere in sé stessi e di sognare in grande, senza lasciare che le proprie ambizioni possano essere schiacciate da chi cerca sempre e soltanto di spezzare i sogni altrui per il puro gusto di farlo”.
Una delle parole chiave di “Uomo!” è competizione. L’album inizia con la voce dal pitch alterato di Fred Bongusto che canta “Chi ci sarà dopo di te?”, solo che Mondo Marcio non la dedica a una fidanzata, ma ai suoi competitor. Dopo di me, dice, ci sono “sti trapper tutti uguali, tutti Sfera Ebbasta / Ma fra sto mondo è mio, è la mia sfera ebbasta”. Se “Questi palazzi” è il racconto del contesto di periferia in cui è cresciuto il rapper (“Quante storie tra i miei palazzi, croci sul petto tipo Buffy, sul muretto il mio primo joint, senza Biggie ma ero un Bad Boy”), in “DDR”, che sta per “Dio del rap”, Marcio ne dice quattro ai ragazzi venuti dopo di lui: “Quello che fai adesso, l’ho fatto prima e meglio”.
La produzione è affidata fra gli altri a Muzicheart, Fast Life Beats, Swede di 808 Mafia. Non è un disco trap, nonostante la sua influenza si senta ad esempio nella produzione di “DDR” o “Nuova scuola” dove guarda caso Mondo se la prende con i rapper più giovani, “gangster col diploma”. Non è nemmeno un disco registrato con un computer. In “Questi palazzi” con Gudda Gudda c’è il sassofono di Stefano Baraldi, “Leggenda urbana” ha parti suonate con chitarra (il co-autore Cristian Francioni), basso e tastiere, mentre “Fuck up the world”, con Dave Muldoon che cita “Like a rolling stone” di Bob Dylan, ha una produzione epica. “Sogni nella bottiglia” mischia chitarra bluesy e Roland e naturalmente in “Angeli e demoni”, oltre alla chitarra di Fabrizio Sotti, c’è la voce di Mina. È la vecchia scuola che dice: c’è un altro modo di fare dischi.
“Uomo!” è anche un album personale. In una serie di skit inframmezzati alle canzoni, Gian Marco Marcello racconta frammenti di biografia: i periodi difficili attraversati con la madre, l’assenza del padre, la scuola, il vuoto della provincia e le notti in città, la solitudine, le paure, il rap che porta dalle strade alle stelle, il successo, la mancanza di stimoli, la rinascita. In copertina c’è una fotografia di quando il rapper aveva 12 anni e la scritta: “Eliminare i propri difetti significa rimuove ciò che ci rende unici”. Vale anche per il mondo di rappare di Mondo, le lettere mangiate, quel suo modo di pronunciare all’inglese parole italiane. E alla fine tutto torna e negli ultimi secondi dell’album si sente la madre del rapper che chiede: “E dopo di te, chi ci sarà?”.