Mandark è l’incontro improbabile tra Povia e gli Psicologi

Ha solo vent’anni, ma nelle sue canzoni canta cose del tipo “me ne laverei le mani come fa il Vaticano con i poveri e con i peccati di quei cardinali” e “se domani muoio sarà stato meglio di aver dato il mio voto a Ren…” (il nome del politico in “C’avrei qualcosa da dire” è coperto da un bip), tra chitarroni distorti e un’attitudine vagamente punk-rock. Quando gli domandi se non si senta un po’ un’improbabile fusione tra gli Psicologi più espliciti e il Povia degli ultimi anni, il cantautore antisistema di “Nuovo Contrordine Mondiale”, per intenderci, Mandark ci ride su: “Non ce l’avevo con Renzi. Ho fatto il suo nome perché nel pezzo suonava bene, dal momento che il verso precedente finisce ‘tutto lo schivo che abbiamo inghiottito per anni in silenzio’. Avrei potuto mettere il nome di qualsiasi fannullone o imbroglione che sta seduto su quelle poltrone senza far niente. Vorrei fare un concerto punk in Piazza Montecitorio, per farmi arrestare”. Romano, classe 2002, Mandark – vero nome Mattia Cesarini – è l’ultima scommessa di Carosello Records, l’etichetta che in questi anni ha reso fenomeni pop artisti come i Thegiornalisti, Levante e Coez, tra gli altri. Voce libera e senza filtri della Generazione Z, nella sua musica e nei suoi testi il cantautore romano incanala pensieri, preoccupazioni e sentimenti raccontati nella maniera più viscerale ed energica possibile: “Non mi sento parte di nessuna scena. Faccio musica che non rispetta troppo i canoni del mainstream di oggi. E quando dico mainstream mi riferisco a nomi come Calcutta, Coez, Franco126. Non sto dicendo che vanno musica brutta, eh, ma che vanno forti sul mercato”.

Il nome d’arte, Mandark, è un omaggio all’antagonista di Dexter, il protagonista della serie animata ideata da Genndy Tartakovsky, trasmessa su Cartoon Network tra la fine degli Anni ’90 e i primi Anni Duemila: “L’ho scelto negli anni in cui mi frequentavo con Alessio Aresu degli Psicologi e con il suo gruppo. Lui aveva scelto di chiamarsi Kaneki per il protagonista della serie manga e anime ‘Tokyo Ghoul’. Anche gli altri ragazzi avevano nomi del genere: ‘Sei bravo, continua’, mi diceva, quando gli facevo ascoltare i pezzi. Così per il nome d’arte mi sono cercato quello di un cartone animato e alla fine mi sono ricordato del rivale di Dexter, che faceva di tutto per far saltare in aria il suo laboratorio. Con Alessio nel tempo ci siamo persi di vista, peccato”, racconta Mattia. “Umano”, “Lola”, “Dio”: tra autotune e chitarre elettriche i primi pezzi usciti dopo la firma con Carosello richiamano da vicino proprio l’umore incazzoso e acido degli Psicologi degli esordi, quelli di “Alessandra” per intenderci. Dentro c’è la rabbia degli esclusi: “Veniamo dallo stesso contesto, quello dei centri sociali. Io sono cresciuto con i miei nonni e fino a 16 anni non mi facevano uscire di casa, il pomeriggio. Ad un certo punto in secondo liceo sono impazzito. Ho cominciato a non presentarmi più in classe: il giorno vagabondavo in giro per Roma in mezzo ai punkabbestia. Dormivo sulle scale delle banchine del Tevere, sulle panchine per strada. Stavo sempre in mezzo alla gente”.
Oggi quella fase l’ha superata, ma nella musica rimangono le tracce dell’adolescenza turbolenta. In “Dio” urla: “Che mi spiegasse la guerra in Siria / e la gente che muore di fame / le violenze della polizia / e perché non conosco mio padre”. “Ce l’avevo con il mondo intero, quando l’ho scritta – racconta Mattia della canzone – ero depresso ed evitavo la terapia per orgoglio. Oggi ripensandoci dico a me stesso che sono stato stupido. Me la prendevo con tutti. La ragazza con cui stavo mi umiliò, mi derise e mi tradì con un amico in comune, che fa anche lui il cantante. Gli altri del gruppo allontanarono me perché lui faceva più numeri di me. A questo si sommavano anche i problemi familiari. Mi sentivo molto solo”. “Imbrattare muri con frasi di merda ci fa sentire alternativi / io non sono il tipo”, canta in “C’avrei qualcosa da dire”: “Non sono un tipo da manifestazioni in piazza. Non sono rissoso, uno che cerca di istigare. Preferisco fare musica, condividendo il mio disagio con i miei versi”, dice.
La musica per Mandark, si capisce, è una valvola di sfogo: “I prof a scuola mi tarpavano le ali. Alle medie ero un emarginato. A ricreazione me ne stavo in un angolo e tutta la classe dall’altra parte. Dicevano che ero uno sfigato. Un giorno scrissi una poesia in romanesco per un concorso e la professoressa di italiano mi umiliò davanti a tutta la classe: ‘Cesarini, è impossibile che tu sia diventato un poeta all’improvviso: non ti vergogni a copiare da internet?’. Ma io non avevo neppure il modem, a casa. Non vedevo l’ora di uscire da quel contesto. Alla fine presi 72 alla maturità. Quell’estate feci il muratore e l’animatore in un centro estivo. Ora vorrei lavorare part-time in una boutique d’alta moda come commesso, perché è un’altra mia passione”. Dai primi pezzi pubblicati su Soundcloud è arrivato a firmare per Carosello, dopo aver attirato l'attenzione degli addetti ai lavori sia a Roma che fiori dal Grande Raccordo Anulare. Un aspirante punk rocker come lui poserebbe mai come sui social per sponsorizzare occhiali, bracciali e scarpe? “Certo che lo farei. Anche quello significherebbe essere punk, paradossalmente. E comunque io sono tante cose. Non solo le canzoni rabbiose che canto. Se il pubblico è un’ameba, imparerà ad adeguarsi”. Per l’album è ancora presto: “Mi servono più traumi, più esperienze. Spero di riuscire a scriverlo entro i prossimi due anni”.