Ivan della Mea e la "Ballata per l'Ardizzone"

La mostra dedicata a Giovanni Ardizzone ("vittima di un ideale di pace") aperta fino al 31 ottobre alla Camera del Lavoro di Milano – Corso di Porta Vittoria 43 – è l'occasione per ripercorrere una pagina nera della cronaca italiana di sessant'anni fa (27 ottobre 1962) ma anche quella di riascoltare una delle canzoni del repertorio di Ivan Della Mea, uno degli artisti più importanti e sottostimati della musica popolare italiana.
Sono passati sessant'anni dall'uccisione del "giuin student", raccontata con un furore quasi didascalico da Della Mea in "La ballata per l'Ardizzone", uno dei tanti martiri accompagnati, dal cantante lucchese "naturalizzato" milanese, nel suo ideale paradiso degli ultimi, con storie prese dalla cronaca del sottoproletariato. Come "el poer omm" della "Cansun del Navili", storia di uno scaricatore raccolta di persona dalla realtà della Darsena milanese: "Gh'è chi dis che l'è bela quest'acqua marscia , 'sto scaric public de ces, de ruera, ma mi quan' 'riva giò la sira me senti el stomech bel'è sarà" ("c'è chi dice che è bella quest'acqua marcia, questo scarico pubblico di cesso, di immondizia, ma quando arriva la sera sento lo stomaco che mi si chiude"). O la ragazza disperata ("Quand g'avevi sedes ann") che sogna un uomo possibilmente con la divisa di cui innamorarsi così sposa un tramviere che muore in un tragico incidente e a lei restano solo "due figli, il lavoro, tre stanze da pulire e ventimila lire di pensione" ma "el me Toni l'è mort che'l pareva un sciur col beret de cuntrulur" ("ma il mio Toni è morto che pareva un signore, col berretto da controllore"). O Michele Saldutto, lo studente quindicenne emigrato dalla Calabria a Torino che non ce la fa e finisce per impiccarsi. E poi c'è lui, Giovanni Ardizzone, ventunenne che il 27 ottobre 1962 partecipava a una manifestazione per la pace ed è stato investito a morte da un mezzo della polizia. Ivan Della Mea racconta l'accaduto con una precisione giornalistica, mettendoci però tutto il pathos e quella voce dalla stupefacente estensione tenorile con quella "esse" difettosa che lo rendeva familiare, quasi un amico o un cantastorie da ascoltare con emozione.

Della Mea è stato molto più di un interprete della canzone politica e molto più di un cantautore. Lo stesso Enzo Jannacci, così come I Gufi, ha attinto a piene mani dal suo repertorio di straordinaria profondità umana prima che ideologica. Della Mea ci ha lasciato il 14 giugno 2009, a 69 anni, ricordato solo da pochi intimi, dalla sua Arci e da chi, senza schieramenti politici, ha colto il genio popolare di un cantante senza compromessi.