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L'autofiction dei Suede è quasi punk

Intervista a Brett Anderson: il nuovo album arriva il 16 settembre
L'autofiction dei Suede è quasi punk

L’album, contando quelli usciti dal loro esordio, è il numero nove. Gli anni sono molti di più: trentadue dalla fondazione della band, trenta dalla pubblicazione del primo singolo, ventinove dal primo album, dodici da quella che potremmo senza dubbi definire la loro rinascita. Ma i Suede, ad ascoltare l’album, non sembrano affatto invecchiati, anzi a volerla dire tutta Brett Anderson e i suoi compagni hanno saputo ben calibrare il loro rapporto con il tempo che passa. Anzi, soprattutto in questo caso, quello di un album, intitolato “Autofiction” e in uscita il 16 settembre 2022 via BMG, nato in una sala prove di Kings Cross, senza filtri o mediazioni, con un atteggiamento che la band definisce quasi ‘punk’, per quanta urgenza, elettricità, immediatezza contiene.

Le stesse che la band ha mantenuto nelle registrazioni al Konk studio, cercando di dare un senso a quella “mezza età” con la quale i componenti della band fanno i conti con leggerezza: musica per adulti, insomma, nulla da prendere, usare e gettare via con il flusso della musica corrente come l’acqua, roba che ha più spessore, più forza, più presenza, più emozione, di quello che la media della musica odierna propone. Nostalgia? Forse, un pizzico senza dubbio se ne trova ascoltando i brani di “Autofiction”, perché spesso i suoni degli anni Ottanta e Novanta tornano imperiosi, ma Anderson e i Suede con questo disco non sembrano essere intenzionati a celebrare il “bel tempo che fu”, piuttosto a fare i conti con la contemporaneità e la maturità, cercando di capire quale possa essere il luogo ideale, emotivo, storico, per la loro musica. A partire dal titolo: “Autofiction è un genere che mescola e memoria e fiction, e ci sembrava un modo pulito per descrivere noi stessi oggi”, dice Anderson, “raccoglie tutta la nostra arte, alcuni elementi della nostra vita e molti momenti fictional, c’è uno spettro di emozioni e immagini che bisogna attraversare per arrivare in un luogo dove convivono verità e fantasia. Non so se alla fine ogni canzone che ho scritto per quest’album è davvero autofiction, ma il titolo si addice a molti dei temi del disco, in cui descrivo me e noi a 50 anni, con tutta l’ansia del caso, quello che l’età comporta, l’idea di diventare più vecchio, contenute in canzoni che non sono solo memoria e realtà”. 

Crede che ci sia una contraddizione nell’essere un musicista rock e avere una maturità da raccontare?
“Penso che una contraddizione in fondo ci sia, la musica rock è essenzialmente qualcosa che è sempre stata animata da giovinezza e ribellione, c’è un paradosso nel fatto che venga proposta da degli anziani, certo. Ma non so se sia vero fino in fondo, se la vedi fa vicino sai che non è così. Il paradosso esiste se fai finta di essere diverso da quello che sei, se fai una parodia di te stesso e simuli di avere venti anni di meno. Io non voglio fare cose che ho fatto a venti o trent’anni, adesso, adesso scrivo da un punto di vista differente e so che se lo faccio onestamente posso dire accedere a sentimenti interessanti, che non sono necessariamente rock nel senso classico. Io racconto storie di un uomo di 54 anni, onestamente, che riflettono disordini, ansietà, gioie, passioni, e sono interessanti lo stesso. La musica e le canzoni hanno sempre un senso, mettono insieme nostalgia, ansietà, felicità, una complessa tessitura di emozioni che è propria degli esseri umani. Ma non un pastiche, piuttosto un quadro”. 

Ascoltando “Autofiction” sembrerebbe che la musica di oggi non le piaccia molto…
“Non direi che non mi piace, è una generalizzazione impossible. Anzi, oggi c’è grande musica in giro, ma fai fatica a trovarla. Il mainstream pop non mi ha mai interessato, se non in qualche momento, qualche pietra d’oro qui e la, e in questo non molto è cambiato nei miei gusti. Quindi abbiamo lavorato all’album in un altro modo, lo scopo era quello di suonare in maniera cruda, in qualche modo naïf, e avere quell’urgenza che hai quando scopri per la prima volta che puoi fare del fantastico rumore insieme agli altri. Solo che sono una persona matura e la maturità mi ha portato ad essere più sofisticato, invecchiando cerchi di lavorare meglio, anche quando cerchi di buttare via tutto quello che hai imparato e ricatturare o’ esuberanza che avevi quando hai iniziato. Possiamo dire che è una autoparodia, o un modo di resistere alla corrente, attraversando una fase in cui cerchi di riconquistare il tuo essere primitivo. Se se stai in giro abbastanza, fai passaggi come questo, una sorta di auto scoperta”.

Produzione secca e immediata, il contrario, sostanzialmente, di gran parte della musica di oggi…“Io non sono mai stato una grade fan della ‘overproduction’, quando ascolto i nostri dischi del passato penso sempre che comunque siano stato ‘overproduced’ e che questo abbia fatto perdere qualcosa alle canzoni, qualche tipo di passione e di energia che viene dispersa dal lavoro in studio. Le canzoni nella mia testa sono come le ascolti dal vivo, alle vote abbiamo registrato troppo, ora di certo non lo facciamo, aggiungere non mi piace, voglio che la band sia nella più grande e primaria semplicità”. 

Anche voler essere semplici in un mondo così complicato è un modo di andare controcorrente.“Sono d’accordo, il mondo è più complicato di prima, e come inevitabile conseguenza è difficile per la gente trovare un senso nelle cose. Affoghiamo in un mare di informazione in cui tutto si mescola e come reazione noi abbiamo cercato di non parlare del macro ma del micro. Il macro è troppo complicato anche per gli esperti, per iniziare a capire la complessità del mercato finanziario mercato devi avere una conoscenza estrema o un’esperienza largamente al di sopra della media. E quelli che si presentano a noi come esperti spesso non sono tali. No, non è quello che mi interessa, il micro è dove mi trovo ad esprimermi con una certa autorità, posso parlare di me stesso, delle mie passioni, della mia famiglia, penso di poter essere onesto in questo. Non sono un esperto, è la parola sbagliata, ma ho il mio posto in questa realtà: la musica pop ha sempre avuto attenzione per questi temi. Poi, certo, trattiamo anche altre cose, più grandi, ma il rock è amore, passione, fede, semplici emozioni umane, viste in un modo differente”. 

Quindi per presentare “Autofiction” cambierà anche lo spettacolo dal vivo?
“Facciamo concerti in spazi piu piccoli, lo facciamo perché il disco è così, è come un debutto, quindi ha senso accettare l’ìntimità del disco anche dal vivo. Fare grandi show è magnifico, avere davanti un pubblico grande è entusiasmante, come la dimensione dei festival all’aperto. Ma fare le cose in maniera diversa crea un’energia diversa, quella che io amo di più, perché ti permette di raggiungere un rapporto con il pubblico che altrimenti non puoi avere, una roba mistica per molti versi, in cui tocchi il pubblico e tutti vogliamo la stessa cosa, ci eleviamo insieme. 

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