Farewell, Rio! L'ultimo giro della band

Eh sì.
Ci siamo.
Questo è l’ultimo giro.
Di chi?
Ma dei Rio, che diamine!
Ma non si erano già sciolti?
Un’altra domanda plausibile sarebbe stata:
I Rio chi?
Quando dentro le radio aspettavo che Marco Ligabue e Fabio Mora facessero le interviste dei Rio durante il mio primo tour con loro, nel 2006, dagli sguardi degli operatori mi sembrava sempre di evincere che li considerassero dei paraculi.
Ed era per questo che si andava in radio con le chitarre acustiche e si chiedeva di poter fare qualche pezzo dal vivo.
Di solito, oltre qualche singolo del gruppo, si suonavano classici mariachi tipo “Malaguena Salerosa” o “Cancion Del Mariachi”.
Un accenno rapido, un mordi e fuggi per far capire che il gruppo era vero, molto vivace e che amava tantissimo il Messico e il suo immaginario.
Oggi come oggi forse è più conveniente cercare di apparire il più camp/queer possibile, che saper suonare o cantare in radio o dovunque, credo.
Ah, e anche sostenere strenuamente di avere meno di diciotto anni.
Detto questo, non sono convintissimo che il fatto di aver suonato dal vivo in quelle dirette abbia tolto il dubbio agli addetti ai lavori che i Rio fossero comunque dei paraculi.
Almeno allora.
Quindi i Rio si sciolgono?
Quando sento il verbo sciogliersi riferito a un gruppo penso sempre alle caramelle mou abbandonate nei sedili posteriori di una Dyane 6 sotto la canicola di agosto di un anno imprecisato tra il ‘78 e l’84 del secolo scorso.
E anche quando salivamo sui palchi degli stadi in apertura dei concerti di Luciano Ligabue nel 2010 leggevo negli occhi degli addetti ai lavori quella strana espressione che andava sempre a significare che tu eri quella cosa lì : un paraculo.
E a nulla, credo, valesse il fatto che poi negli stadi il pubblico seguisse e cantasse le canzoni dei Rio.
E’ un brutto ambiente questo.
E gli addetti ai lavori, anche se sono dei grandi professionisti, quando si fanno l’idea sbagliata di qualcuno diventa veramente difficile fargliela cambiare. Anche a distanza di anni.
A nulla valse nemmeno quella volta che io e Fabio Mora affrontammo da soli chitarra e voce l’apertura di un concerto di Elisa al palasport di Pesaro.
Marco Ligabue era corso in Sardegna in fretta e furia perché era nata sua figlia Viola.
Fabio Mora terminò l’esibizione con una splendida versione a cappella di “Mercedes Benz” di Janis Joplin dedicandola proprio a Viola davanti a un pubblico in standing ovation che batteva le mani a tempo.
Ma quindi i Rio non suonano più?
Che io sappia la fine dell’attività artistica di una band non prevede la morte creativa, professionale o fisica dei suoi membri.
Almeno non sempre.
Almeno non subito.
Ma mentre gli addetti ai lavori ci consideravano dei paraculi c’è sempre stato qualcuno sotto il palco dei Rio che non la pensava così. E sono stati tantissimi. Come sono stati tantissimi i concerti.
Tipo settecento in quasi vent’ anni di attività, credo.
Perché alla fine i Rio hanno pubblicato trentotto singoli con altrettanti video.
E hanno scritto un centinaio di canzoni suddivise in dieci Lp.
I Rio non sono mai stati, nemmeno agli esordi, il giochino del fratello di uno dei più grandi artisti italiani viventi, quindi dei paraculi.
E’ sempre stato un gruppo vero.
Anche se all’inizio anch’io maliziosamente, da addetto ai lavori, quando ancora non li conoscevo, la pensavo un po’ così.
Cioè che i Rio fossero dei paraculi.
Io, i Rio li incontrai per la prima volta nel maggio del 2006.
Fu quello il momento in cui per la prima volta vennero a registrare nel mio studio.
Erano i provini di quello che doveva essere il loro secondo Lp “Terra, Luna e Margarita”.
Legai subito con loro perché erano divertenti, affabili e avevano una gran sete di lambrusco.
Come me.
Mi legai a loro anche perché il loro produttore artistico di allora, Saro Cosentino, oltre che essere una bella persona era un grande professionista.
Entrammo subito in sintonia, come se ci conoscessimo da sempre.
E anche se il fonico per quei provini lo stava facendo il Dj della band Alessandro Bartoli, detto DJ Bart, io venivo tirato in mezzo o da Marco o da Saro ogni due minuti.
Come musicista.
Ci suoni una chitarra qui, un dobro di là, e il basso qui e l’elettrica di là?
Ero già dentro a quel turbine pop/tex/mex senza neanche saperlo.
Emanavano una forte positività, dovevo riconoscerlo.
E poi stavano facendo delle canzoni che mi piacevano.
Semplici, dirette e per me molto efficaci.
E da autore come sono sempre stato, apprezzavo il fatto che usassero il nome
di cocktails come titoli di canzoni.
Anche io lo facevo.
Dopo anni passati a produrre musica dei generi più disparati, qualcosa dentro mi diceva che era giunta l’ora di prendermi una vacanza.
Un periodo “Hakuna Matata” con una “musica leggerissima” condiviso con persone fuori dal circuito che avevo sempre frequentato.
Anche perché fare della musica pop, al di la di quello che tutti possono pensare, è molto difficile ed è un’ottima palestra per chi vuole fare questo mestiere.
Come invece suggerisco a chi fa musica pop in questo momento di fare altri generi: è un’ottima palestra per chi vuole fare questo mestiere.
Quando fu ora per loro di andare a finire il disco nello Zoo Studio a Correggio e di salutarci, mi dispiaceva.
Non so dire perché. Si era creato il clima giusto. Un bel feeling.
Saro e i ragazzi dopo qualche giorno mi chiesero se volevo andare a lavorare a Correggio per ultimare il disco con loro.
Dopo aver rimandato un po’ di impegni li raggiunsi.
Fu un’estate importante per me e per loro, quella.
I Rio non avevano rinunciato alle date estive proposte dalla loro agenzia e di frequente erano in giro per concerti.
Durante quell’estate alcuni di loro cambiarono radicalmente vita e situazioni sentimentali.
Fu un vero periodo di rivoluzione.
Oltre a registrarlo lo mixai anche quel disco.
I mixaggi in realtà li doveva fare Tchad Blake, ma all’ultimo declinò per motivi di salute.
Saro conosceva un mucchio di professionisti a livello internazionale e durante le registrazioni ci vennero a trovare vari personaggi del giro della Real World di Peter Gabriel.
Alcuni bassi del disco li realizzò John Giblin che era capitato da Correggio in visita a Saro.
Poi, finiti i mix ci salutammo e per un paio di mesi non seppi più nulla di loro.
Verso settembre mi chiamò Marco perché voleva parlarmi di un progetto.
Ci incontrammo io lui e Fabio Mora e mi chiese se avevo voglia di fare un tour acustico a nome Rio quell’autunno.
Io avrei dovuto alternare basso e chitarra acustica, Marco avrebbe suonato le elettriche.
Fabio avrebbe cantato e fatto rumori e vocalizzi con uno strano microfono chiamato “Green Bullet”.
Avrei anche dovuto creare delle basi ritmiche preregistrate per accompagnare i brani.
E così andò.
Il tour si chiamava “Acustico Vivo” e facemmo più di cinquanta date in tutta la penisola in tre mesi.
Una caratteristica essenziale di quel tour fu che ce ne andavamo a letto solo dopo aveva chiuso il locale di turno bevendo margaritas (loro) e grappe barricates (io).
Incontrammo personaggi incredibili lungo la strada, e devo dire che è stato il tour più divertente della mia vita.
Dopo le date back to back: Roma, Castrovillari, Lecce, Ferrara depennai completamente dal mio taccuino l’epiteto “paraculi” riferito ai Rio.
Ricordo la macchina di mio fratello e mio fratello che ci accompagnò in quei giorni con il baule carico di bottiglie di lambrusco, sempre pronto a estrarle al momento giusto.
Molti ragazzi iniziarono a seguire i Rio grazie a quel tour.
Il loro secondo disco doveva uscire a fine gennaio del 2007 e poi ci sarebbe stata una serie di date con la band al completo nei più grossi club italiani.
Finii il mio lavoro nei Rio a dicembre del 2006, con l’ultima data dell’"Acustico Vivo".
Poi però mi richiamò Marco ai primi di gennaio per chiedermi se avevo voglia di fare un provino come bassista per entrare nella line up ufficiale della band, visto che il bassista Tony Farinelli non riusciva più a seguire gli impegni del gruppo.
Marco e Fabio sapevano benissimo come suonavo il basso e non ho mai capito quale sia stato il motivo che li aveva spinti a farmi fare il provino per entrare nella band.
O perché avessero chiesto proprio a me di fare quel provino, visto il gran numero di musicisti che c’era a spasso in quel periodo.
Comunque una sera andai in sala prove da loro e feci sto benedetto provino.
Mi presero.
E non capivo se essere contento o no.
Per il mio fegato, intendo.
Gli altri del gruppo mi vedevano un po’ come un elemento estraneo.
Dopo un primo periodo di diffidenza però, entrammo in sintonia.
Ma quindi cosa farete adesso che siete sciolti e non suonate più?
Ed è questa la domanda che più deprime perché oltre a vedere una caramella mou spappolata su un sedile di un Dyane 6 sotto la canicola di agosto in un periodo che va dal ‘78 all’ 84 del secolo scorso, mi immagino di essermici seduto sopra.
Comunque ognuno dei Rio cura interessi particolari al mondo, oltre ai Rio.
Io ad esempio ho un grande giardino e per tutti gli anni a venire d’estate mi occuperò di rasare l’erba del medesimo indossando la maglietta dell’ultimo tour dei Rio, credo.
C’è però una cosa dei Rio che non ho mai condiviso e vedevo, oltre a me, parecchi addetti ai lavori e anche il nostro primo manager Claudio Maioli molto perplesso, quando Marco e Fabio ne parlavano: “La Cosa Del Messico”.
“La Cosa Del Messico” era in sostanza questo volersi a tutti i costi associare ad un immaginario tex mex, pur facendo pop rock italiano, che sia Marco che Fabio hanno sempre cercato di spiegare a tutti senza mai però arrivare a convincerli completamente.
Marco e Fabio in virtù di questo vennero anche invitati ad andarci, in Messico, nel 2007 per il programma "Flight Case" di Mtv con Lucilla Agosti.
Io ho prodotto artisti che hanno avuto successo in Messico, ma non ci sono mai stato.
Non so dire perché. Forse un giorno ci andrò. Magari su invito di Mtv.
La cucina messicana mi piace ma non mi ha mai fatto impazzire e devo confessare che essendo io colitico e ultimamente sofferente di diverticolite, dopo una lauta cena al messicano sono sempre dovuto correre in bagno.
Il cocktail Margarita non è il mio cocktail preferito. Ho sempre preferito il Mojito e di gran lunga, su tutti i cocktails, una buona barrique.
Quindi io, come tanti altri, 'sta passione sfegatata per il Messico, il suo immaginario, la sua musica non ce l’ho mai avuta. Sono sempre stato un “pasionario” messicanista mediocre dei Rio.
I nostri fan ci hanno associato negli anni a solarità, estate, voglia di divertirsi, gioia di vivere e amore. Credo che “La Cosa Del Messico” rimanga ancora misteriosa anche per molti di loro.
E un’altra confessione che voglio farvi è che il primo singolo dei Rio: “Strega” mi ha sempre fatto cagare.
Non l’ho mai tenuto nascosto né ai ragazzi della band né ai fans con cui ho parlato.
L’ho sempre suonata malvolentieri e quando la suonavo cercavo di bere due grappe prima e di suonarla girato di schiena durante.
Una volta l’ho detto in una intervista a Red Ronnie che mi ha dato pure dello stronzo.
Ma io ai Rio e al loro “Hakunamatatesimo” gli ho sempre voluto bene.
Siamo amici, ottimi collaboratori e quando c’è da suonare si crea sempre una strana magia positiva prima, durante e dopo il concerto.
Ho perfino celebrato il matrimonio del nostro chitarrista Giò Stefani con una nostra storica fan: Alessia Tedde.
Ho scritto la canzone più profonda ("150") e la canzone più leggera ("Gioia nel Cuore") dei Rio.
Non per fare lo sborone, ma citando una bellissima canzone di Stefano Belluzzi ("Tengo uniti gli estremi), io ho tenuto uniti gli estremi di questo gruppo per oltre dieci anni con la mia scrittura.
Ed è proprio attraverso questa profonda leggerezza che si è riusciti a navigare senza scazzi in tutti questi anni.
Oddio…
Gli scazzi ci sono stati e hanno perfino rischiato di farci chiudere baracca anzitempo.
Quando Marco Ligabue lasciò la band nel 2012 non fu uno scherzo.
Abbiamo dovuto mettere di mezzo degli avvocati, purtroppo.
E mi è dispiaciuto tantissimo perdere per strada un compagno di viaggio così divertente, attivo ed efficiente dal punto di vista manageriale.
Però poi grazie al provvido intervento di Rolando D’Angeli e Paolo Cassiano anche in quell’occasione la sfangammo di bella.
E nacque la repubblica democratica dei Rio, dove ognuno aveva il suo ruolo e si procedeva dritti filati col vento in poppa.
Da allora ci siamo sempre autoprodotti e autogestiti riuscendo ogni anno a guadagnare ciò che era necessario per andare avanti, spartendoci quel che restava, come i bucanieri.
Siamo sopravvissuti a ogni crisi, a ogni dissapore, a ogni incertezza.
E se ci penso vedo dei frammenti di storia dei Rio ovunque, mentre scrivo.
Li vedo in studio mentre ascoltano molto intimoriti l’intro di tastiere de “Il Gigante” che avevo suonato per creare un effetto shock modalità “autoscontri” e il giorno dopo che mi ripropongono lo stesso brano senza intro. E io che punto i piedi fino a che l’intro non la rimettiamo.
Li vedo in studio mentre ascoltano molto perplessi il mio banjo su “Gioia nel cuore”, frutto dell’ascolto della band giamaicana di Mento: The Jolly Boys.
Li vedo mentre suoniamo all’Europarlamento di Bruxelles dopo l’intervento di Sonia Alfano.
Li vedo mentre suoniamo sul “Treno della Memoria” in viaggio verso Cracovia per visitare assieme ai ragazzi delle scuole superiori di Modena il campo di concentramento di Auschwitz/Birkenau.
Li vedo mentre suoniamo in centro a San Paolo allo Studio 8 davanti ad un pubblico di addetti ai lavori e a una delegazione del “Mariachi Hotel”, il nostro fan club ufficiale, giunta in Brasile per sostenerci.
Li vedo mentre suoniamo allo Studio 8 e le cameriere che servono i drink sono vestite da donne gatto e gli Haring alle pareti sono Haring originali.
Li vedo mentre suoniamo durante un Happy Hour gratuito chiamato “Infernino” a San Paolo del Brasile davanti a un migliaio di persone completamente sbronze di Caipirinha che si danno vicendevolmente e indistintamente la lingua in bocca.
Li vedo in fila, dopo due giorni di digiuno quasi completo, per la colazione il primo gennaio in un albergo a Mangalia in Romania. La sera prima si era in diretta per la televisione rumena su una piattaforma di fronte al porto sul Mar Nero con 30 gradi sotto lo zero.
Il computer delle sequenze si bloccò durante il secondo brano per colpa del gelo.
Li vedo mentre Cesare Barbi, il batterista di allora, incredulo, si rigirava tra le mani l’unica cosa che c’era per colazione quel primo dell’anno: dei vomitevoli spiedini di teste di pesce.
Li vedo mentre suoniamo nella palestra di un testimone di giustizia in centro a Palermo.
Li vedo mentre suoniamo “Terremosse” davanti a un pubblico commosso a Mirandola (Modena) appena dopo il terremoto del 2012 che aveva distrutto la bassa emiliana.
Li vedo mentre suoniamo a L’Aquila con un pubblico ancora più commosso.
Li vedo in interminabili ore in furgone per fare l’ennesimo tour nel sud Italia, accolti sempre benissimo dai fans.
Li vedo in fila davanti alla pizzeria “Da Michele” in centro a Napoli, tappa obbligata all’andata o al ritorno di ogni tour al sud.
Li vedo sazi al tavolo del ristorante “L’Antica Filanda” di Capri Leone (Messina), tappa obbligata ogniqualvolta abbiamo messo i piedi giù dal traghetto in Sicilia.
Li vedo suonare davanti a tantissima gente e a pochissima gente.
Li vedo mentre Giò, il chitarrista, si scola una media tutta d’un fiato ad ogni concerto durante l’assolo di chitarra di “Margarita” facendo il solo con la sinistra e con la destra reggendosi il bicchiere che una volta svuotato lancia al pubblico.
Li vedo mentre Fabio Mora si arrampica su un terrazzo al secondo piano di fianco al palco per far cantare in coro gli astanti.
Li vedo quando il batterista Alberto “Paddo” Paderni, gran Guru dei Rockin’ 1000, si mette a ridere mentre gli suono i piatti con la paletta del basso.
Li vedo negli stadi, nei palazzetti, nei locali, nelle piazze, nei bar, nelle spiagge, nelle piscine.
Li vedo mentre suoniamo nelle carceri, nelle scuole e nelle case della carità.
Li vedo mentre suoniamo alle feste dell’Unità, alle sagre di paese, alle feste della birra, negli ipermercati, nelle biblioteche.
Li vedo suonare in televisione, in radio e sul web.
Li vedo mentre chiudiamo le serate firmando autografi e facendo foto fino all’ultima persona che viene a trovarci in camerino.
E’ una girandola di ricordi quello che ho dei Rio.
Ma non c’è un ricordo brutto.
Ma quindi perché vi sciogliete?
Perché abbiamo instradato troppe generazioni sulla dissoluta via dell’alcolismo.
Pausa.
Nooo, scherzo!
Comunque ai nostri concerti i bar hanno sempre incassato parecchio.
E’ forse questo uno dei segreti della vostra longevità artistica?
Può essere.
Molti promoter ci hanno confermato anni di seguito negli stessi posti fino a diventare amici intimi della band.
Ma allora perché?
Tolto che questa cosa dello sciogliersi e della caramella mou sul sedile posteriore del Dyane 6 è veramente schifosa da pensare e che tra il ’78 e l’84 del secolo scorso deve essermi capitato qualcosa di veramente traumatico tipo mangiarla, 'sta cazzo di caramella, ma non in agosto, tipo in ottobre invece, quando non era più sciolta ma andata a male,
ritengo che il successo, almeno per me, sia unicamente il participio passato del verbo succedere.
E se la mettiamo così in realtà i Rio di cose ne hanno fatte succedere parecchie.
Quanti tatuaggi ho visto in giro con la nostra stella!
Migliaia di persone si sono conosciute con la nostra musica in sottofondo.
E comunque quando si vendevano ancora i dischi e si facevano i download, dicevamo sempre la nostra.
Roba da entrare in classifica e rimanerci.
E per fare lo sborone del tutto dico che siamo stati primi su Itunes ogniqualvolta siamo usciti con un Lp.
Durava pochi giorni, ma era così.
Poi arriva il momento.
Il momento di dire che è l’ultimo giro quello che stai per fare.
Ma quindi cosa accadrà adesso?
Se qualcuno non scatena una guerra termonucleare globale, cosa che sancirebbe la scomparsa dei Rio, ma anche di tutto il genere umano, il primo di giugno 2022 i Rio pubblicheranno il loro ultimo LP di dieci pezzi intitolato “Stellare”.
Durante tutta l’estate 2022 faranno il loro ultimo giro di concerti.
Il 18 novembre 2022 presso il Vox di Nonantola (Modena) i Rio faranno l’ultimo concerto, che dovrà essere una grandissima festa per tutti coloro li hanno seguiti fin qui.
Ecco tutto.
E anche le parole: “Addio”, “Ultimo”, “Per sempre”, mi sembrano troppo pesanti da usare riferite a una party band come noi.
Credo che “temporaneamente fuori servizio” sia la frase che rende più giustizia a questa sospensione ad libitum dell’attività artistica che ci apprestiamo a fare.
E anche se ormai sapete che non sono l’elemento della band più congeniale per farlo, vorrei comunque chiudere qui come un Mariachi navigatissimo con tanto di guitarron e sombrero in testa urlando:
QUE VIVA MEXICO!!!!
QUE VIVA I RIO!!!
Fabio "Bronski" Ferraboschi