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Alessandro Fiori: “La vita è il sogno di un sogno”

Il cantautore toscano racconta a Rockol il suo nuovo album “Mi sono perso nel bosco”.
Alessandro Fiori: “La vita è il sogno di un sogno”

Intenso e sfuggente, Alessandro Fiori ha fatto del suo ambiente boschivo un luogo di confine sospeso tra certezze e incertezze, ma anche il banco di prova per una crescita personale. Nel nuovo “Mi Sono Perso Nel Bosco”, il poliedrico cantautore toscano ha realizzato con le riflessioni di una vita piena di rimescolamenti un album ricco di collaborazioni e altrettanto denso di emozioni in cui perdersi e ritrovarsi, con due punti cardinali ben precisi: Luigi Tenco e i Flaming Lips. 

“Mi sono perso nel bosco” indica subito un senso di smarrimento. 
Inizialmente l’album doveva chiamarsi “De-Sidera” e il focus era più incentrato sulla relazione con le persone care, ahimè scomparse. Poi, a parte che il nuovo disco di Cristina Donà si chiama proprio così, in corso d’opera mi è stato consigliato di chiamarlo come una delle canzoni. “Mi sono perso nel bosco” mi sembra molto più a fuoco, ecco. 

Il bosco rappresenta un luogo di confine tra il certo e l’incerto, ma anche il banco di prova per una crescita interiore. Cosa rappresenta per te?  
Rappresenta il bosco stesso, nella misura in cui io vivo in una situazione letteralmente boschiva e ho questa capacità innata di riuscire a perdermi anche nei pressi di casa. Mi basta fare due o tre passi fuori dal sentiero e perdo subito l’orientamento. In più, rappresenta anche un punto di passaggio. Negli ultimi dieci anni mi è cambiata tanto la vita e in questo grosso rimescolamento delle carte ho avuto amici e colleghi che mi hanno aiutato a tenere il filo. E soprattutto ho avuto la mia compagna, che mi ha dato una mano importante in questo percorso, quasi dantesco, impersonando sia Virgilio che Beatrice contemporaneamente.

Il filo conduttore che unisce tutti i brani sembra essere quello di emozioni e sentimenti sempre un po’ agrodolci...  
Qui siamo in un cross-fading tra una pandemia e una guerra mondiale, non vedo come potrebbero esserci soltanto sensazioni nette, perché non ci si può lasciar andare né alla disperazione, né si può goderne. È il mescolamento delle emozioni.

In questo album hai coinvolto diversi ospiti, da Brunori Sas a Levante, Colapesce, Dente, Enrico Gabrielli e molti altri ancora. È una sorta di reazione all’isolamento vissuto? 
Avevo il desiderio di ringraziare amici e colleghi per averli sentiti sempre molto vicini. E poi senz’altro è stata una reazione a quella strana situazione in cui tutti ci siamo ritrovati, che per certi versi, paradossalmente, ha quasi aiutato, almeno nel mio caso, a rivedere tutta la nostra scena come un gruppo coeso. Insomma, sì, ha davvero ricompattato tutto l’ambiente in quel brutto periodo.

Si avverte una sospensione tra la quotidianità e un desiderio di qualcos’altro, rappresentata da questa copertina così immaginifica di un cavallo che irrompe in un ambiente casalingo.  
La copertina è opera del fotografo olandese Hannes Wallrafen e rappresenta perfettamente questo mondo sia iperreale che onirico del disco. Muoversi tra territori quotidiani e, insieme, la mancanza di un qualche tipo di certezza, appunto. Il disco inizia con l’uscita da un incubo e finisce con il tema di Calderón de la Barca, “La vida es sueño”, portato ancora oltre: “La vita è il sogno di un sogno”.  

Con “Molto silenzio” la conclusione è quella di un risveglio di soprassalto. 
È un brano bipartito, che si apre in dialetto sorsese, un dialetto del nord della Sardegna, con una richiesta di soccorso di un Alessandro bambino alla nonna materna che aveva questo modo un po’ magico per scacciare via ciò che non avrebbe fatto riposare bene. E poi c’è questa considerazione che canto all’unisono con Dente, mentre Iosonouncane ci avvolge con un turbinio di sintetizzatori. Alla fine, è la considerazione di tutto il disco, cioè che è meglio attraversare tutte queste peripezie piuttosto che il troppo silenzio.  

In “Io e te” affermi che “le canzoni di ghiaccio non fanno innamorare”, ma c’è anche una realtà che bussa prepotentemente con tutto il suo carico di cinismo, come in “Pigi pigi” ... 
Infatti, se dovessi presentarmi a una ragazza le farei sentire “Io e te”, non “Pigi pigi”! È un disco pieno d’amore, una sorta di salvezza a tutti i crepacci che si presentano nei brani e di sicuro il più buio che c’è è rappresentato proprio da “Pigi pigi”, in cui si passa da una dimensione personale alla tragedia del Mediterraneo che è sotto gli occhi di tutti. Era stata pensata da Luca Caserta per voce e chitarra, io l’ho riadattata al pianoforte e ho deciso subito di inserirla nel disco. 

Come dicevi, “Mi Sono Perso Nel Bosco” è un album nato principalmente al pianoforte, con un’idea di cantautorato ben definita, come pure di uno stile carico di suggestioni più acide. È così? 
Sì, con Giovanni Ferrario, il produttore artistico, avevo parlato proprio di Luigi Tenco e dei Flaming Lips per dargli una prima indicazione. C’è una scrittura molto classica, forse sia per reazione alla turbometamorfosi della canzone in Italia negli ultimi dieci anni e sia per reazione al mio precedente lavoro, “Plancton” che era un disco quasi di destrutturazione della forma canzone. Eppure, allo stesso tempo, come vestito, volevo andare più che su arrangiamenti classici, verso un mondo più psichedelico che Giovanni e Alessandro “Asso” Stefana sono riusciti bene a ricreare. 

“Fermo accanto a te” è un botta e risposta a due voci, la tua e quella di Levante, che però non riescono più a trovare un punto d’incontro. 
È una canzone che parla di due ex. A distanza di tempo lui prova a riaccendere la fiamma, ma lei non cede di un centimetro. È la prima canzone che ho scritto in modo dialogico: i duetti fanno praticamente parte della storia della canzone italiana e mi sono buttato anch’io in questo gioco. In fase di scrittura pensavo a Loredana Bertè per accentuare la fermezza del diniego. Siamo poi arrivati a Levante e ne sono davvero onorato: con la sua forza e il suo modo di cantare così deciso e inequivocabile mi sono rasserenato. 

In effetti si sente spesso il bisogno di tirarsi su il morale, come in “Estate” o in “Per il tuo compleanno” ... 
Non volevo fare assolutamente un disco doloroso, quindi ci sono dei momenti di conforto, di speranza, così come di leggerezza. “Estate” a modo suo è una canzone d’amore maturo, ma non è una resa, è un provare ancora a trovare delle soluzioni anche dopo dei periodi difficili. C’è sempre l’amore come soluzione possibile. “Per il tuo compleanno” invece è una canzone che ho scritto per un amico, Giacomo Allazetta, un artista sempre sorprendente. Lì c’è l’amicizia che alla fine è una forma d’amore anche quella. Quando attorno a te hai la fortuna di avere le persone giuste, basta poco per cambiare le prospettive su questo mondo. 

Alla fine, ci vuole sempre un certo coraggio per avventurarsi nell’ignoto, proprio come addentrarsi in un bosco, no? 
Di sicuro per non ritrovarsi al punto di partenza, che si sia andati avanti, indietro o in diagonale, è fondamentale aver vissuto quell’esperienza con coraggio. Che poi coraggio vuol dire molte cose, come non adeguarsi, non seguire soluzioni di comodo o anche ammettere sinceramente le proprie debolezze. 

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