Canzoni italiane: “Guerra e pace” di Fabri Fibra

“Guerra e pace” di Fabri Fibra
da GUERRA E PACE, Universal, 2013
Il successo dei singoli di CONTROCULTURA (2010) co-prodotti da Michele Canova Iorfida apre la strada all’ipotesi di un intero album prodotto dal Re Mida del pop italiano. A dispetto di chi intona sempre il solito refrain sul rapper “venduto”, ne viene fuori l’album più ambizioso, ricco ed eterogeneo mai realizzato da Fabri Fibra. GUERRA E PACE ha il fascino delle alchimie che non funzionano e i segni del “capolavoro mancato”, che spesso può essere un album ben più interessante del capolavoro conclamato.
Il producer crea attorno a ogni brano un’identità musicale ‘parlante’. Intanto la scrittura di Fibra si evolve: nei versi c’è aria, pause, spazio, momenti di riflessione; la rima canonica è superata, a favore di un flusso pensoso, dove il plus non è la velocità ma l’incastro, la geometria interna dei versi, lo spiazzamento, il senso del vuoto. Tutto per restituire una visione dell’esistenza in cui agire con lucidità e attenzione, imparando a fare tesoro degli errori e utilizzando l’atto creativo – la scrittura, ma non solo – come panopticon, visuale onnicomprensiva del mondo, dichiarazione di esistenza. In un Paese meno provinciale dell’Italia, GUERRA E PACE sarebbe annoverato tra i migliori esempi di canzone d’autore.
Basterebbe la title-track a dimostrarlo, un vertice della carriera di Fibra, che combina stanchezza di vivere, delusione, lotta, sguardo analitico sul passato e sfiducia verso il futuro, racconto da rapper maturo e memoria del rapper da ragazzo, finzione, autobiografia e pensiero astratto. Fibra traccia il filo della frustrazione del vivere in un Paese che, dal punto di vista chi ha energia e vitalità da spendere, è incagliato in una burocrazia emblema dell’impossibilità delle soluzioni, frenato dal passato. Uno spunto prosaico su se stesso – la fila all’ufficio comunale per ottenere dei permessi edilizi – si allarga al Paese del clientelismo e dell’immobilità, e poi ai ragazzi, annichiliti nel desiderio di ribellarsi, disillusi: “In coda non si respira / Se non conosci nessuno resti in fila / una fila che non sai dove comincia e finisce / tu resti in casa con tua madre che ti pulisce il culo, insicuro / porte chiuse come all’inferno, sono giovane / ho le idee, c’ho i soldi e questi mi tengono fermo / il Paese è lento, incastrato nel passato / i ragazzi non dicono, non fanno, non si lamentano / lo accettano così com’è”. È una barra straordinaria, in cui ogni verso trascina un pezzo nel verso successivo, come una zavorra, in una concatenazione che serve a ingigantire sempre più la visuale: il piccolo problema diventa medio, poi grande, gigante, insormontabile. Intanto la fame – di giustizia, di creatività – non si placa: “Non sono sazio, ho fame”, è la chiusura dell’ultima barra, con le sillabe staccate e ribattute, in un rafforzamento doloroso e netto.
Se però lo sguardo è avvilito, la risoluzione, suggerisce il brano, è nel riconoscimento nitido di una compresenza degli opposti, nella nostra abilità di delineare i contorni dell’oscurità, per vivere davvero coscienti: “Guerra e pace dentro noi / non c’è buio senza luce”. Mentre una voce di uomo e donna insieme ripete questo mantra, la musica sale, cresce imponente. Tutto il rap di Fabri Fibra è qui, lo strazio familiare, la violenza, lo sberleffo, la solitudine: una verità inesorabile, che si può contemplare, non scalfire, ma saperla guardare è una lenta e importante conquista.
(testo: Fabrizio Tarducci, musica: Michele Iorfida, Antwan J. Thompson / © 1996 Music Lane/Platinum Boy/SM Publ./Solorap/Universal)
La scheda è tratta, per gentile concessione dell’autore e dell’editore, da “Unadimille – 1000 canzoni italiane dal 2000, raccontate”, edito da Arcana, al quale rimandiamo per le altre 980 schede.
(C) Lit edizioni di Pietro D'Amore s.a.s.
