Lo Stato Sociale che centra in pieno tutto quello che pensi
Nella giornata di oggi Lo Stato Sociale, il gruppo bolognese composto da Alberto Cazzola, Francesco Draicchio, Lodovico Guenzi, Alberto Guidetti e Enrico Roberto, festeggia i dieci anni dell'uscita del primo album "Turisti della democrazia", pubblicato il 14 febbraio 2012. La discografia della band emiliana da allora conta altri due dischi: "L'Italia peggiore" (2014) e "Amore, lavoro e altri miti da sfatare" (2017). Nell'attesa di un nuovo lavoro del gruppo celebriamo i dieci anni di "Turisti della democrazia" (definizione di berlusconiana memoria) riponendo l'attenzione sulla recensione da noi pubblicata nel 2012 a firma Daniela Calvi.
Tra le decine e decine di dischi che il mercato musicale ci propone, la cosa più saggia da fare sarebbe quella di scegliere (o farsi scegliere da, a volte si ha più fortuna così…) un solo gruppo per genere. Delle tante band electro-pop che hanno pubblicato album ultimamente, quelli che mi hanno colpita di più si chiamano Lo Stato Sociale. Il disco si intitola "Turisti della democrazia", loro a differenza di altri sembra che si prendano poco sul serio, e questo aggiunge valore e onestà alle loro canzoni.
Questo è uno di quei dischi che all'inizio potrebbe non piacere molto, anzi. Se la scena indie la si segue da molto tempo, se di concerti e di festival se ne è visti parecchi, se di dischi promo in redazione se ne è ricevuti a bizzeffe, allora un gruppo come Lo Stato Sociale, nel 2012, potrebbe non dirci niente di nuovo. Al di là che di cose da dire ne hanno eccome, e questo lo si scopre con piacere di canzone in canzone, di ascolto in ascolto, quello che colpisce dei cinque ragazzotti di Bologna, è il come lo dicono.
Parlano un linguaggio schietto e diretto, come spesso fanno i gruppi di adesso, come se avessero l'urgenza di farsi capire subito, in quattro minuti di canzone. Dicono cose che in molti pensano, dalla politica all'amore, ma che tutti fanno: ragazzi con la montatura degli occhiali grossa, che non se ne può più, ragazze con la Canon al collo manco fossero delle fotoreporter, abbigliamento scontato, gusti discutibili e di tendenza, aperitivi a dieci euro e così via. Tutti questi condivisibili concetti sono alternati da pensieri più leggeri e allo stesso tempo malinconici come in "Vado al mare" e "Cromosomi" (che ricorda Rino Gaetano), due dei brani più feroci del disco, melodici, immediati, dal ritornello ficcante e dal significato tutto da interpretare.
Per il resto i suoni sono compatti, a volte elettronici, a volte più pop, e rendono tutto molto fluido e frizzante, specie per come sono cantati-recitati i testi e grazie anche ai numerosi cori presenti. Inciampi nella metrica, frasi che quando le riascolti e capisci bene il significato sgrani gli occhi come nel caso della bella, romantica a modo suo e sincera "Seggiovia sull'Oceano" ("Ti regalerei i miei denti per comporre i miei sorrisi migliori", una delle poche ballad presenti nel disco, insieme a "Maiale") oppure "Ladro di cuori col bruco", cronaca electro dance di una serata in un locale a inseguire tale Livia con atmosfere che richiamano a tratti gli Offlaga Disco Pax ("Il partito negli ultimi vent'anni è andato a puttane") e dove ritorna qua e là il solito elenco di cose che hanno stancato e luoghi comuni che investono i dialoghi tra i giovani di oggi ("I commenti sul baffo, 'ma sei dimagrito?', 'si schiaccia facendo l'attore èh?'''), lasciando però in bocca un sapore di verità e sconsolatezza.
Nel disco c'è spazio anche per "Amore ai tempi dell'Ikea", colonna portante del precedente Ep che ha portato Lo Stato Sociale sulla bocca e nelle orecchie di molti: la canzone, con degli spunti notevoli sia nel testo sia nel tappeto di loop elettronici, rimane una delle punte di diamante della giovane carriera della band e accompagna meravigliosamente l'ascoltatore alla chiusura del disco.
Lo Stato Sociale è un progetto da tenere sott'occhio non solo perché potrebbero andare molto lontano, ma semplicemente per staccarsi ogni tanto dalla solita musica che va di moda e regalarsi una cinquantina di minuti di canzoni pop fatte bene, che non piacciono e basta, ma fanno anche innervosire perché ti sembra che ti stiano prendendo in giro e invece hanno centrato in pieno tutto quello che pensi.