Cosa succede quando vinci l’Eurovision: il ritorno di Salvador Sobral
Nel 2017, l’Italia andò all’Eurovision con grandi speranze di vittoria: in gara c’era “Occidentali’s karma” di Francesco Gabbani, fresca trionfatrice di Sanremo e ritenuta perfetta per la manifestazione continentale, tanto da avere macinato decine di milioni di visualizzazioni su YouTube e da essere in testa tra le quotazioni dei bookmaker. La Rai aveva già ipotizzato di ospitare a Torino la manifestazione l’anno successivo; una parte dei media che avevani trascurato Eurovision iniziarono ad occuparsene.
Invece Gabbani arrivò solo sesto: vinse la canzone meno "eurovisiva" di tutte: "Amar pelos dois” del cantautore portoghese Salvador Sobral, una ballata intima e appassionata, che prese più del doppio dei punti di Gabbani e della scimmia. “La musica non è fuochi d’artificio”, disse al tempo Sobral - facendo arrabbiare gli appassionati di Eurovision e del suo mega-spettacolo. Sobral ha appena pubblicato “BPM”, album che accenna alla malattia che l’ha tenuto lontano dalle scene. Dalla prossima settimana sarà in tour in Italia per cinque concerti (28 luglio a Roma, 29 ad Arco, 30 a Scheggino, 5 agosto a Castroreale, e il 6 ad Agrigento). Ma non rinnega quell'esperienza, anzi.
Musica, Eurovision e fuochi d’artificio (e la vittoria dei Maneskin)
Il cantante portoghese oggi è sempre grato alla manifestazione, ma un po’ più sfumato su quell’affermazione: “Fu un’esperienza intensa, forse oggi non direi più una cosa così”, racconta, in perfetto italiano, via zoom da Parigi, dove passa molto tempo con la sua compagna (il suo secondo album si intitola “Paris, Lisboa”). “Se i fuochi d’artificio vengono da una prospettiva di onestà e verità, ci stanno. Credo ancora che la musica è emozione vera. Combatto per la musica donata con la verità”, spiega.
“Grazie all’Eurovision lavoro, è stata un catapulta per il successo, con 200 milioni di persone che ti guardano: sto ancora cogliendo i frutti di quella sera. Magari sarei arrivato lo stesso dove sono, ma tra 10 anni. È stato un successo istantaneo che ha fatto bene alla mia carriera. Ho solo gratitudine per quello che Eurovision mi ha portato. Ho vinto con una canzone bella, che mi rappresenta”.
Inevitabile la domanda sull’Eurovision 2021, finalmente vinto dall’Italia 4 anni dopo. I Maneskin avevano i fuochi d’artificio: “Avete vinto tutto, quest’anno…”, ride. “Li ho visto dopo, perché suonavo quella sera. Ma è bello che vincano cose diverse. La formula è essere differenti: il più diverso vince. Io non capisco molto di questi meccanismi, ma più sei strano, più hai possibilità”.
I BPM del cuore e della musica
Dopo l’Eurovision, in realtà, la sua carriera si fermò: problemi di cuore, non metaforici, che lo misero in pericolo di vita e lo costrinsero ad un trapianto. "Mi dava fastidio parlarne, perché non ero pronto: mi sentivo male, mi veniva da piangere. Ora finalmente ho preso un po’ distanza... Ci sono cose che faccio ancora fatica a raccontare e così la mia famiglia… ma finalmente ho quella distanza che mi permette anche di scriverne delle canzoni”, racconta oggi. Però quel periodo emerge ancora nella sua musica, a partire dal titolo del nuovo disco, “BPM”, pubblicato qualche settimana fa: “È un’espressione legata a tutta la musica, in particolare a quella dance. Ma quella sigla è soprattutto l’elemento che unisce la musica alla vita: i battiti del ritmo e le pulsazioni del cuore. Me la ricordo perché quando ero in ospedale e facevo molti esami c’era sempre scritto 'BPM'. Nella mia avventura clinica un po’ deprimente quella sigla è stato l’unico elemento musicale. Mi faceva sentire un po’ a casa”, spiega.
Nel disco, più che il classico fado portoghese, c’è molto jazz. Uno stereotipo, come il bel canto per gli italiani? “Il fado è parte inevitabile di chi è nato e cresciuto nel nostro paese, anche in maniera incosciente. Io non lo ascolto molto, ma c’è una malinconia e nostalgia che è parte della nostra cultura e che quindi si creda anche nella mia musica. Io ho studiato jazz, ma nel disco è presente più come filosofia, come libertà, come modo di essere, come modo di interpretare. Credo che si senta più nell’approccio a suonare, che nei riferimenti. Mi hanno detto che è un disco indie-jazz e forse è vero”, racconta. Ecco “Só eu sei”, in versione live per Rockol
Una libertà che si sente anche nell’uso delle lingue: Sobral canta indifferentemente in portoghese, spagnolo, inglese: “Ho un amore l’essere umano in generale. Mi piace comunicare, per questo mi piace studiare le lingue. Non mi frega se canto in portoghese o altro, mi basta cantare: ogni lingua ha diverse possibilità di interpretazione, a partire dai suoni delle parole. Così come il chitarrista ha la sua pedaliera, io ho la mia gola da usare”.
Perché non Italiano, allora? “Quando vengo in Italia canto sempre una canzone di Lucio Dalla - “L’anno che verrà”. Anche in questo tour canterò in Italiano”, cambiando le canzoni in base al posto in cui suono”, promette.
Le date complete del tour Italiano di Salvador Sobral
- 28 luglio, Casa Del Jazz, Roma
- 29 luglio, Castello di Arco, Arco
- 30 luglio, Piazza Carlo Urbani, Scheggino
- 5 agosto, Castroreale, Sicilia
- 6 agosto, Agrigento, Sicilia