1971, "l'anno d'oro del rock" (secondo David Hepworth)

Pubblichiamo qui di seguito, per gentile concessione, un estratto dell'edizione italiana del libro di David Hepworth "1971 - Never a dull moment", tradotto da Francesca Pe' e pubblicato in Italia da Sur Edizioni con il titolo "1971 - L'anno d'oro del rock"
Prologo
Sono nato nel 1950. Per un appassionato di musica è stato come vincere la lotteria.
La mia adolescenza è trascorsa negli anni Sessanta. All’epoca non sapevamo che quelli sarebbero diventati «i favolosi anni Sessanta» e che ci avrebbero perseguitato per tutta la vita. Sembravano un decennio come tutti gli altri.
Avevo tredici anni quel venerdì di novembre del 1963 in cui Kennedy venne assassinato.
Alcuni mesi dopo provai un sussulto di patriottismo quando i Beatles conquistarono l’America. Ne avevo quindici quando il colpo di rullante di Bobby Gregg annunciò «Like a Rolling Stone» di Bob Dylan. Bruce Springsteen, che aveva solo dieci mesi più di me, sentì il brano in macchina con sua madre. «È stato come se qualcuno mi avesse spalancato la porta della mente con un calcio», raccontò in seguito.
Ho raggiunto la maggiore età nel 1971, nello stesso anno del rock. Frequentavo l’università e spendevo tutti i miei risparmi in dischi. Come molti giovani uomini con le stesse inclinazioni – eravamo perlopiù maschi – nel negozio di dischi sfogavo tutti i miei appetiti consumistici. Jerry Seinfeld dice che fino ai dieci anni aveva un solo pensiero in testa: comprare le caramelle. Per noi era lo stesso con i dischi.
Tutti i soldi che mi giravano per le mani – le quaranta sterline che mi davano ogni trimestre per le spese extra, la paga dei lavoretti estivi, la mancia che i parenti lontani mi elargivano per il compleanno e ovviamente i buoni per l’acquisto di dischi – si trasformavano subito in album.
Non esisteva nient’altro per cui fossi disposto a spendere, punto e basta. Ogni momento libero lo passavo nei negozi di dischi: osservavo, imparavo i titoli, spulciavo le copertine e talvolta addirittura ascoltavo quegli irraggiungibili oggetti del desiderio. Era una vita passata a inseguire una gratificazione continuamente rimandata.
Lì per lì il 1971 non sembrò niente di eccezionale. A quei tempi nessuno faceva la sintesi di fine anno sui principali avvenimenti del mondo della musica. Nessuno tentava di fare un bilancio del settore. Nessuno pontificava sulla direzione in cui stavano andando le cose o sulla direzione da cui venivano. L’abitudine di guardarsi indietro, che oggi è una prassi consolidata del giornalismo musicale, e di cui questo libro è un esempio, non era ancora stata inventata. Solo con il senno di poi – e solo di recente, da quando la grande rivoluzione digitale ci ha permesso di avere a portata di mano tutti i cinquant’anni di incisioni rock’n’roll, di mescolarle, ordinarle e inserirle in un’infinità di playlist – ho capito che il mio ventunesimo anno di vita è stato un anno eccezionale.
A questo punto farete una faccia scettica e mi direte che anche voi considerate speciale la musica di quando avete compiuto ventun anni, o diciotto, o sedici, o qualsiasi altra età in cui vi siete sentiti vivi come non mai. È naturale. È inevitabile, quando si cresce. Tutti serbiamo nel cuore il ricordo di una languida estate della nostra giovinezza. Per noi la sua colonna sonora incarnerà sempre l’annus mirabilis del rock.
Nel caso mio e del 1971, però, c’è una differenza importante.
E la differenza è che ho ragione.
Questo libro è un viaggio mese per mese nel passato per scoprire cosa accadde quell’anno, in che ordine, perché, in che modo i cambiamenti in superficie fossero lo specchio di un vero e proprio terremoto sotterraneo, come alcune centinaia di ventenni plasmarono quell’anno e ne furono plasmate, e per quale motivo la musica del 1971 risuona ancora così chiara quasi cinquant’anni dopo.
In certa misura parla anche del mondo da cui quella musica emerse. È un libro che parla di sesso, droga, capelli, hot pants, tasse, tecnologia, classe, razza, genere e follia, ma anche di Grammy Awards, dischi di platino e recensioni su "Rolling Stone".
Nel nostro viaggio manderemo in frantumi il cliché secondo cui i primi anni Settanta furono la calma prima della tempesta punk rock, per affermare invece che furono il periodo più febbrile e creativo dell’intera storia della popular music; smonteremo la pia illusione che nuovo equivalga sempre a entusiasmante; ci stupiremo delle prassi da cui scaturirono tanti capolavori; ricostruiremo il contesto che fece da sfondo a tanta inventiva; e conosceremo la vita degli artisti che plasmarono quell’epoca e ne furono plasmati a loro volta. Alla fine di ciascun capitolo ho inserito un elenco di dieci dischi legati al mese in questione.
Alcuni ebbero subito un grande successo, altri cominciarono allora la lunga marcia verso lo status di classici e altri ancora li ho inclusi perché meritano di essere ascoltati, specie adesso che anche le perle meno note del 1971 sono solo a un clic di distanza.
In tutte le storie dove è coinvolta la creatività ci sono momenti in cui il talento giusto incontra la dose giusta di opportunità, denaro e tecnologia (ma non troppa) e a quel punto sottopone il risultato a un pubblico che è pronto perché le cose vadano come non sono mai andate prima e come non andranno mai più. Il 1971 fu uno di quei momenti.
David Hepworth
