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American Music Club: 'Non siamo i Pixies, però...'

“Non siamo i Pixies…”. L’umorismo non è mai mancato a Mark Eitzel. E, nell’anno della reunion della band di Frank Black, il riformarsi degli American Music Club di Eitzel rischia di passare in secondo piano tra i cultori del rock americano anni ’80-‘90.

Sarebbe un peccato, perché la band di San Francisco è assente dalle scene da oltre un decennio (nel quale Eitzel si è fatto sentire come solista). Ma, anche quando era in piena attività, non ha mai avuto un seguito pari ai Pixies. Piuttosto, con il suo rock malinconico e un po’ teatrale dominato dalla possente voce di Eitzel, era una band di “stra-culto” per pochissimi affezionati. Eppure, in diverse occasioni, il gruppo sembrò sul punto di “esplodere” e avere successo. “E’ andata bene così”, racconta Eitzel a Rockol nel suo passaggio promozionale a Milano per presentare il disco del ritorno “Love songs for patriots”.
“A noi in realtà non è mai importato granché, per quanto possa sembrare presuntuoso, ci bastava suonare”, spiega, e c’è da credergli. Stessa sorte toccò ad Eitzel solista: il suo secondo album, “West” (1997) venne inciso con Peter Buck dei R.E.M. e pubblicato dalla Warner, cosa che procurò al disco una spinta notevole. Non successe più di tanto, anzi: alcuni fan rimproverano a quel disco di essere canzoni dei R.E.M. cantate da Eitzel: “Fu Buck a chiedermi di incidere quelle canzoni. Io volevo che uscissero a doppio nome, perché era un disco fatto a metà, ma lui non ne volle sapere. Non lo rinnego e mi piace ancora oggi”.

”Da solista ho avuto una carriera altalenante”, continua Eitzel. “Lo ammetto senza problemi. Alcune cose, come il disco di cover ‘Music for Courage and Confidence’ le ho fatte non per mia scelta, e ammetto lo sbaglio: quanta gente ha pubblicato un disco di cover negli ultimi tempi? Però non è questo il motivo per cui gli American Music Club si sono riformati. Anzi, guadagnavo di più da solo. E anche adesso che ci siamo rimessi assieme dobbiamo faticare non poco per crearci un pubblico.”.
La band, spiega Eitzel, si è riformata di fatto sei anni fa: “Allora vivevo a Chicago e Tim Mooney (il batterista), mi disse che aveva aperto uno studio di registrazione a San Francisco, e di fare un salto. Ci andai e trovai il resto della band al completo. Di lì iniziammo a parlare di tornare assieme”.
Un contributo fondamentale è quello di Vudi: “E’ un grande chitarrista”, dice Eitzel. “E loro sono una grande band”. Poi racconta di quanto si è stufato del suono folk-acustico che è prevalso nei suoi dischi solisti: “Una sensazione comune con gli altri della band. Per questo abbiamo deciso che volevamo fare un disco rock”.

Il risultato della reunion e di questa decisione è “Love songs for patriots”, che è si un disco rock ed elettrico, ma di canzoni che stanno a metà tra la cupezza di Nick Cave e quella di Tom Waits, tanto per usare termini che tutti conoscono. A partire dal sarcasmo del titolo: “In fin dei conti, le nostre sono canzoni d’amore. Poi, noi americani siamo tutti patrioti, anche se critichiamo. Non è vero che chi critica è un traditore, come dice la destra. E’ vero il contrario: chi critica ha a cuore l’amore”. Il paradosso è che la canzone “Patriot’s heart” parla di uno stripper gay che ha un “sorriso tutto americano” e patriottico. “In fin dei conti anche questo è il sogno americano: farsi infilare i dollari nelle mutande per pagarsi la cocaina…”, spiega Eitzel.
Quanto al futuro, Eitzel racconta che tra una pausa e l’altra del tour degli AMC (che dovrebbe arrivare in Europa a gennaio: le date italiane sono ancora in forse) dovrebbe incidere un nuovo disco solista, “con elettronica, chitarre acustiche e altre cose strane”. Siete avvertiti.
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