
E' morto ieri a 85 anni, nella sua casa di New Rochelle (New York), Horace Silver, leggendario pianista e compositore jazz considerato uno dei padri dell'hard bop. Nato in Connecticut nel 1928 da un padre di nazionalità portoghese che da piccolo gli fece conoscere la musica popolare di Capo Verde, aveva iniziato a suonare con Stan Getz incidendo la sua prima session per la Blue Note al fianco dell'altosassofonista Lou Donaldson. Nel 1953, assieme al batterista Art Blakey, aveva fondato i Jazz Messengers firmando quasi tutte le composizioni apparse sul primo album pubblicato nel '54; quello stesso anno abbandonò il gruppo per dedicarsi alla carriera solista, incidendo tra il 1955 e il 1980 oltre 20 dischi per la Blue Note (tra cui classici come "Blowin' the blues away", 1959, "Song for my father", 1964, e "The Jody grind", 1966). Come bandleader, ha contribuito a lanciare le carriere di musicisti quali i trombettisti Donald Byrd, Woody Shaw e Randy Brecker e i sassofonisti Joe Henderson, Michael Brecker e Benny Golson. Negli anni '70 la sua musica aveva assunto connotazioni funk e vocali che gli avevano alienato gran parte dei vecchi sostenitori; fondata una sua etichetta nel decennio successivo, aveva poi continuato a pubblicare dischi per la Columbia e la Impulse!.
Titolare di uno stile ritmico, melodico e accattivante che incorporava elementi gospel, r&b e - in seguito - funk, Silver aveva ottenuto ottimi riscontri in classifica soprattutto con "Song for my father (Cantiga para meu pai)", che nel 1965 -raggiunse il numero 95 delle classifiche di Billboard (l'anno successivo "The Cape Verdean blues" arrivò al numero 130).
Nel 1974 le battute iniziali del brano vennero utilizzate da Donald Fagen e Walter Becker degli Steely Dan per il loro brano di maggior successo, "Rikki don't lose that number" (dall'album "Pretzel logic"):