Sanremo 2014: il commento alla prima serata

Lunga, lunga, lunga.
E lenta, lenta, lenta. Una prima serata infinita, e non basta come giustificazione l’episodio di cronaca che ne ha rimandato l’inizio. Qui dovremmo parlare di musica, non di televisione, ma è davvero difficile farlo quando le canzoni in gara hanno occupato (forse) un decimo del tempo totale della trasmissione. A memoria, alcuni momenti da conservare in archivio sono stati la “Creuza de ma” iniziale (semplice e intensa) di Ligabue e Mauro Pagani; la “Silvano”, giusto tributo a Enzo Jannacci, che ha chiuso – ed era ora! – l’interminabile siparietto fra Fazio e Letizia Casta; e la “Cha cha chao” dell’immensa, enorme (sia detto senza ironia) Raffaella Carrà. Ingiudicabile, per troppa partecipazione affettiva di chi scrive, l’esibizione di Cat Stevens: che magari adesso fatica a tenere l’intonazione, ma la cui voce è enormemente emozionante per chi è della generazione dei miei coetanei.
Le canzoni in gara, si sa, si capiranno al secondo o terzo o decimo ascolto: quelle che hanno passato il turno, dico, perché delle eliminate non si sentirà più parlare, probabilmente (auspicabilmente?). In quasi tutti i casi, e personalmente ne sono soddisfatto, la scelta è caduta sulla canzone più pop – cioè più popolare, più sanremese – e meno pretenziosetta; è il caso di Arisa, è il caso di Raphael Gualazzi e Bloody Beetroots, è il caso di Cristiano De André (sala stampa in lutto per il risultato della votazione: ma “Invisibili”, diciamolo, è una seduta spiritica). Bella sorpresa della serata? I Perturbazione, che hanno rispettato la platea con un abbigliamento consono all’occasione e con due canzoni intelligentemente pop, ben costruite e bene interpretate – e, aggiungo, ottimamente arrangiate per l’orchestra. Si è chiuso con tre quarti d’ora di ritardo sul previsto; speriamo non diventi un’abitudine.
Franco Zanetti