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Concerto del Primo Maggio 2012 a Roma: la terza parte della giornata

Finita la pausa, si riprende per la terza parte del concerto del Primo Maggio. Dopo l'omaggio di Stefano Di Battista all'Inno di Mameli, riletto in un chiave jazz, arriva l'Orchestra Roma Sinfonietta diretta dal Maestro Cosma, che sceglie di omaggiare i Beatles con una suite ispirata a "Yellow submarine". Pannofino recita versi di "Blackbird": la macchina scenica - che prevedeva appunto un terzo palco mobile per gli interventi dell'ensemble - funziona alla perfezione, così come ottimo è il lavoro dei tecnici audio, che riescono a restituire alla platea le tante e complesse sfumature dell'esecuzione. Chiuso l'intervento della Sinfonietta con una citazione, da parte della presentatrice Virginia Raffaele di Rino Gaetano, il palco è tutto di Nina Zilli, che attacca con un'energica "50mila lacrime" per poi proseguire con le più liriche "La casa sull'albero", "L'amore è femmina", "Per sempre", lasciando alla briosa "Ain't got no... I got life" di Nina Simone il compito di chiudere il proprio set.

Interviene - seppure via contributo registrato - ancora Valeria Raffaele, che, impersonando Ornella Vanoni, offre un divertente dietro le quinte che ha per co-protagonisti, tra gli altri, Raiz, Finardi e Caparezza. L'alleggerminento serve per introdurre il secondo intervendo della Roma Sinfonietta, che - questa volta diretta da Mauro Pagani - vira decisamente più al rock infilando una serie di classici: si comincia con "Kashmir" dei Led Zeppelin, con Raiz alla voce: la resa strumentale, molto fedele all'originale, non facilita al compito al frontman degli Almamegretta, costretto a confrontarsi (su un territorio che, non c'è bisogno di sottolinearlo, non è il suo) con una delle voci più particolari della storia del rock. Il cantante partenopeo ce la mette tutta, riuscendo ad imprimere la propria firma sulla rilettura, che tuttavia - immaginiamo - non abbia eccessivamente entusiasmato i puristi devoti a Page e Plant.

Non si scende di livello, passando a "Jumpin' Jack Flash" dei Rolling Stones, che vede Elisa fare le veci di Mick Jagger: la resident band la approccia in modo molto muscolare, forse troppo, lasciando sottotraccia i crunch e la sporcizia che - insieme al piglio r'n'b - che fecero la fortuna dell'originale. Elisa insegue il pathos e offre una rilettura sicuramente personale e sentita, indugiando però forse un po' troppo in vocalizzi per lo meno pleonastici, al cospetto di un classico di tale levatura.

Ancora un arrangiamento che strizza l'occhio all'hard rock per la successiva "Purple haze" di Jimi Hendrix, anche se stavolta è tutto più a fuoco, forse merito della voce di Pagani nell'inedita veste di frontman. Apprezzabili gli inserti di violino, che danno epicità alla canzone.

Dopo la parentesi di cover, sul palco arriva Mannarino, con i suoi ritmi mediterranei e balcanici che odorano di Capossela prima maniera, con un buon ritmo e un piglio tutto sommato contagioso che anima "Tevere Grand Hotel". Più malinconica "Quando l'amore se ne va", mentre "Serenata lacrimosa" torna su ritmi più ballabili.

Ecco uno degli artisti più attesi: ingabbiato e incappucciato arriva Caparezza, che libera il suo "Sogno eretico". Buona, anzi ottima la risposta del pubblico. A fargli eco, un coro di boia vestiti di rosso e nero. Tocca al "Dito medio di Galileo" continuare l'eresia. "Vengo dalla luna" pesca invece dal passato di Capa, scaldando gli ormai 400.000 spettatori della piazza Romana. Segno che ormai il rapper di Molfetta può definirsi, con quella che per tanti è una brutta parola, un'artista "mainstream", ma che sa anche tenere il palco con forza e trascina gli spettatori con autorità. Mescolando il linguaggio rap con l'impegno politico all'italiana.

Per introdurre "La ghigliottina" sale sul palco uno degli attori del Teatro Valle Occupato, a invocare più giustizia ed equità per i lavoratori dello spettacolo. Con un appello al dio dei Maya affinché "estingua i nostri mutui", ci immergiamo invece in "La fine di Gaia", altra tragicomica metafora dei destini terrestri. Peccato che prima della chiusura di "Vieni a ballare in Puglia" ci si debba sorbire uno stacco pubblicitario, ma è il bello (e il brutto) della diretta. Sulla canzone c'è poco da dire: ormai è un inno. Non facilissimo, anche se può sembrare esagerato sentircelo dire con questi toni, salire sul palco dopo Caparezza stasera. Ora la palla passa ai Subsonica.
 

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