
“Arrivederci!”. In un italiano approssimativo, Ambrosia Parsley, cantante ventinovenne degli Shivaree, accoglie Rockol nella sala stampa; un bizzarro saluto per introdursi che ci lascia perplessi e divertiti, visto che l’intervista deve ancora cominciare. Ma non importa, perché Ambrosia non solo ha un nome che richiama un passato mitico, ma è anche carina, bellezza resa ancora più intrigante dalla sua timidezza, che le fa spesso abbassare gli occhi nascosti da lenti verdi sfumate.
“Non credo proprio che mi fidanzerò con un giovane e maledetto attore americano”, risponde un po’ imbarazzata ad una domanda poco clemente, “e se anche lo facessi, visto che mi avete chiamata ‘bella ragazza’, non ve lo direi mai”. Un bel modo di rilassare maggiormente la già tranquilla atmosfera in sala, che molto più spesso lascia spazio a domande che, con grande conforto della cantante, toccano la musica e non soggetti più frivoli.
Dopo un’infanzia felice costellata fin dalla più tenera età da concerti “casalinghi”, quando sotto il portico di casa la sua famiglia riproponeva classici di musica country, soul e spiritual alla chitarra, Ambrosia ha incontrato altri amici con la stessa passione per il canto dopo il trasferimento in California, uniche cose, queste, che ci racconta del suo esordio: Duke McVinnie alla chitarra, Danny McGough alle tastiere e Ambrosia alla voce, fanno gli Shivaree. Nome che profuma del west e dell’America più profonda, come ci spiega Ambrosia: “E’ una vecchia parola della tradizione cowboy, che veniva urlata alle feste di addio al celibato, quando una ragazza che si apprestava a sposarsi arrivava alla festa; e dalle finestre delle case usciva questa parola, come augurio di buona fortuna”.
Dopo il successo della canzone “Goodnight moon”, brano trainante dell’album di debutto dal lunghissimo titolo “I oughtta give you a shot in the head for making me live in this dump” (che traduciamo con un poco incoraggiante “Ti dovrei sparare in testa per avermi fatto vivere in questo posto osceno”), gli Shivaree sembrano molto felici e sorpresi, come spesso accade ad una giovane band che si trova improvvisamente immersa in un mondo nuovo fatto di giornate da dedicare alla promozione, ai concerti e alle session per firmare autografi.
Così proviamo a domandare ad Ambrosia Parsley se non crede che lo spot pubblicitario della casa produttrice di orologi Breil (che, tra le altre cose, non ha neppure visto prima di cedere il brano ed il cui marchio appare ovunque sui manifesti pubblicitari e persino sul CD sotto forma di un vistoso bollino giallo) al quale è stato legato “Goodnight moon”, possa danneggiare l’immagine non ancora del tutto commerciale che gli Shivaree trasmettono: “No, in fondo è solo uno spot di un orologio. Forse mi curerei di capire dove finisce la mia musica se la pubblicità riguardasse altro, ma, quella, riguarda semplicemente un orologio”.
“Non credo proprio che mi fidanzerò con un giovane e maledetto attore americano”, risponde un po’ imbarazzata ad una domanda poco clemente, “e se anche lo facessi, visto che mi avete chiamata ‘bella ragazza’, non ve lo direi mai”. Un bel modo di rilassare maggiormente la già tranquilla atmosfera in sala, che molto più spesso lascia spazio a domande che, con grande conforto della cantante, toccano la musica e non soggetti più frivoli.
Dopo un’infanzia felice costellata fin dalla più tenera età da concerti “casalinghi”, quando sotto il portico di casa la sua famiglia riproponeva classici di musica country, soul e spiritual alla chitarra, Ambrosia ha incontrato altri amici con la stessa passione per il canto dopo il trasferimento in California, uniche cose, queste, che ci racconta del suo esordio: Duke McVinnie alla chitarra, Danny McGough alle tastiere e Ambrosia alla voce, fanno gli Shivaree. Nome che profuma del west e dell’America più profonda, come ci spiega Ambrosia: “E’ una vecchia parola della tradizione cowboy, che veniva urlata alle feste di addio al celibato, quando una ragazza che si apprestava a sposarsi arrivava alla festa; e dalle finestre delle case usciva questa parola, come augurio di buona fortuna”.
Dopo il successo della canzone “Goodnight moon”, brano trainante dell’album di debutto dal lunghissimo titolo “I oughtta give you a shot in the head for making me live in this dump” (che traduciamo con un poco incoraggiante “Ti dovrei sparare in testa per avermi fatto vivere in questo posto osceno”), gli Shivaree sembrano molto felici e sorpresi, come spesso accade ad una giovane band che si trova improvvisamente immersa in un mondo nuovo fatto di giornate da dedicare alla promozione, ai concerti e alle session per firmare autografi.
Così proviamo a domandare ad Ambrosia Parsley se non crede che lo spot pubblicitario della casa produttrice di orologi Breil (che, tra le altre cose, non ha neppure visto prima di cedere il brano ed il cui marchio appare ovunque sui manifesti pubblicitari e persino sul CD sotto forma di un vistoso bollino giallo) al quale è stato legato “Goodnight moon”, possa danneggiare l’immagine non ancora del tutto commerciale che gli Shivaree trasmettono: “No, in fondo è solo uno spot di un orologio. Forse mi curerei di capire dove finisce la mia musica se la pubblicità riguardasse altro, ma, quella, riguarda semplicemente un orologio”.
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