L’inizio come la fine, i cicli naturali e l’attaccamento alla madre terra, gli esotismi del reggae e la spiritualità delle melodie orientali. Questi i temi di “Earthbound”, il nuovo album di Gaudì, produttore, autore e remixer di lusso “emigrato” qualche anno fa a Londra dopo una quinquennale attività in patria.
Un disco di grande respiro, senza frontiere, sospeso tra elettronica, ambient, world music e dance, costato ben quattro anni di lavoro. “Dopo cinque anni di contratto Polygram – racconta l’artista - sono arrivato a un punto in cui in Italia non sarei riuscito a fare di più. E allora mi si presentavano tre opzioni. Opzione 1: prostituzione musicale, ovvero fare cose commerciali, mirare a Sanremo o cose del genere. Opzione 2: Lavorare in sordina scrivendo canzoni pop italiane per altri. Opzione 3: continuare a seguire le mie radici reggae dove questo si può fare. Sono andato a Londra portando con me un po’ di strumentazione e i primi otto mesi sono stati un disastro perchè non conoscevo nessuno, nemmeno un gelataio o un pizzaiolo. Poi ho fatto un primo remix per la Freak Out Records che non è stato accettato e con il secondo, il remix di 'Cool Jack' per l’etichetta di Janet Jackson IMPM, mi sono trovato al n. 1 in classifica nel novembre 1996. Sono andato nei negozi a controllare perchè non ci credevo; ho comprato tutte le riviste per farle vedere un giorno ai miei futuri bambini e da lì è partito un po’ tutto. Sono stato contattato da vari manager e non avevo idea di cosa fare perchè in quei momenti cambia tutto all’improvviso: sali su quel treno e devi andare. Quindi mi sono iscritto al Musician Union, che è un sindacato dei musicisti inglese, dove mi hanno consigliato quattro manager. Ho avuto vari incontri, mi sono trovato un avvocato che mi consigliasse sul da farsi, mi sono affidato a un manager e da lì ho cominciato a fare un po’ di cose. Ho fatto produzioni di Mansun, Cast, Afrika Bambaataa, Apache Indian, Jocelyn Brown, Mazzy Star, Peter Andre, Artful Dodger, Dusty (progetto solista di Rollo, DJ dei Faithless, per la Go Beat). Poi ho remixato anche un po’ di italiani, tipo Almamegretta, Elisa, Irene Grandi e altri.
Un disco di grande respiro, senza frontiere, sospeso tra elettronica, ambient, world music e dance, costato ben quattro anni di lavoro. “Dopo cinque anni di contratto Polygram – racconta l’artista - sono arrivato a un punto in cui in Italia non sarei riuscito a fare di più. E allora mi si presentavano tre opzioni. Opzione 1: prostituzione musicale, ovvero fare cose commerciali, mirare a Sanremo o cose del genere. Opzione 2: Lavorare in sordina scrivendo canzoni pop italiane per altri. Opzione 3: continuare a seguire le mie radici reggae dove questo si può fare. Sono andato a Londra portando con me un po’ di strumentazione e i primi otto mesi sono stati un disastro perchè non conoscevo nessuno, nemmeno un gelataio o un pizzaiolo. Poi ho fatto un primo remix per la Freak Out Records che non è stato accettato e con il secondo, il remix di 'Cool Jack' per l’etichetta di Janet Jackson IMPM, mi sono trovato al n. 1 in classifica nel novembre 1996. Sono andato nei negozi a controllare perchè non ci credevo; ho comprato tutte le riviste per farle vedere un giorno ai miei futuri bambini e da lì è partito un po’ tutto. Sono stato contattato da vari manager e non avevo idea di cosa fare perchè in quei momenti cambia tutto all’improvviso: sali su quel treno e devi andare. Quindi mi sono iscritto al Musician Union, che è un sindacato dei musicisti inglese, dove mi hanno consigliato quattro manager. Ho avuto vari incontri, mi sono trovato un avvocato che mi consigliasse sul da farsi, mi sono affidato a un manager e da lì ho cominciato a fare un po’ di cose. Ho fatto produzioni di Mansun, Cast, Afrika Bambaataa, Apache Indian, Jocelyn Brown, Mazzy Star, Peter Andre, Artful Dodger, Dusty (progetto solista di Rollo, DJ dei Faithless, per la Go Beat). Poi ho remixato anche un po’ di italiani, tipo Almamegretta, Elisa, Irene Grandi e altri.