
Giuseppe Antonelli, docente di Linguistica italiana e autore del libro “Ma cosa vuoi che sia una canzone. Mezzo secolo di italiano cantato” (Il Mulino; qui la recensione di Rockol), dà i voti ai testi di tutte le canzoni del Festival di Sanremo 2011.
Anna Oxa, “La mia anima d’uomo” (testo di Lorenzo Imerico e Anna Oxa)
In un’annata senza parolacce, il massimo della trasgressione è rappresentato dall’evocazione di un gesto oggi di gran voga («un saluto sincero agli amici perplessi / ed un gesto col dito a chi gufa») e in questo piattume linguistico spiccano persino il vecchio gergalismo “gufare” e modi di dire alla Alberto Sordi come “una botta di vita” («questo posto è una favola vuota / … / dove tutto è una botta di vita»). In questo festival del conformismo, d’altra parte, i testi rispettano anche la punteggiatura; che nelle canzoni c’è ma non si vede, e allora per farla sentire viene ogni tanto messa a testo («curva come una virgola di una frase a metà», Al Bano). Qui «si riparte da un punto senza scuse o retaggi / da una pagina aperta»: più o meno da dove si fermava Jovanotti («vorrei che questa pagina tornasse bianca / per scriverci ti amo / punto»); in netta contraddizione con “L’alieno” di Luca Madonia, convinto «che ogni storia si chiuda con un punto». Anche la Oxa ha il suo viaggio e il suo percorso («siamo noi questo viaggio»), ma la sua esortazione «coraggio … si va … si fa» ricorda un po’ troppo quella dell’Albertone nazionale: «e va e va / va avanti tu / che adesso c’ho da fa’...».
Voto: 5 (per non gufare)