Va bene Glastonbury. Va bene Roskilde. Va bene Bonnaroo, se avete occasione di volare oltre Atlantico. Ma se cercate un festival rilassante e a misura d’uomo con tutti gli optional e i comfort del caso (birra a volontà, buona scelta di stand gastronomici, spazi in cui far sfogare i bambini) un’alternativa c’è: andate a Cropredy, il minuscolo villaggio dell’Oxfordshire, 66 miglia da Londra, che nel 1644 fu teatro di un sanguinoso scontro tra le truppe di Re Carlo I e i sostenitori di Cromwell e che da quasi trent’anni ospita il raduno annuale dei Fairport Convention, gli immortali pionieri del folk rock inglese che “hanno fatto per la real ale quel che i Grateful Dead hanno fatto per l’Lsd”. E’ il Britain’s friendliest music festival, come sta scritto su manifesti e locandine, e per una volta non è soltanto fuffa pubblicitaria: atmosfera da picnic o da barbecue all’aria aperta (sperando che non piova), pub e mercatini affollati, barche placidamente ancorate sul canale, niente risse, la media di un furto all’anno denunciato alla locale stazione di polizia, la tradizionale partita di cricket tra il team dei Fairport e gli abitanti del villaggio che sigilla e manda in archivio ogni edizione. Tutto deliziosamente British (per chi ama il genere). Lo spirito di Cropredy è quello, un raduno tra amici dove musicisti e spettatori chiacchierano amabilmente al bar senza barriere divisorie. Un culto cresciuto a macchia d’olio anno dopo anno: dalle poche decine di testimoni del primo concerto nella village hall del paese, trent’anni fa, ai ventimila aficionados di oggi. Certo, non dovete essere allergici al genere: gighe, reels e violini, qui, la fanno da padrone. Certo, headliner e ospiti speciali (Steve Winwood, Buzzcocks e Yusuf alias Cat Stevens, quest’anno, accanto a soliti sospetti come Richard Thompson e Ralph McTell) titillano soprattutto il pubblico oltre gli “anta”. Eppure intorno al palco cresce e si ritrova anno dopo anno una generazione di ragazzi e di ragazze: figli e nipoti dei Fairport Fans, probabilmente, che qui sono stati portati la prima volta quand’erano ancora in fasce. “Abbiamo bisogno di gente giovane. E’ di vitale importanza” ci spiega Simon Nicol, cantante, chitarrista ritmico e unico membro originario del gruppo ancora in formazione. “Lo zoccolo duro dei nostri fan ci segue dai tempi del college e oggi ha sessant’anni come me. Magari qualcuno comincia a chiedersi se sia il caso di passare ancora tre notti d’agosto in una tenda, con tutte le incognite del clima inglese. E’ importante riconoscere che in giro c’è anche altra musica, per questo il nostro cartellone diventa sempre più vario (ed ecco, per il pubblico giovane, il folk rocker emergente Seth Lakeman e il cantautore Scott Matthews, tre parti di Damien Rice e una di Jeff Buckley). “Ci vogliono mesi e mesi a comporre il puzzle. Erano venti anni, più o meno, che cercavamo di avere Winwood, finalmente ci siamo riusciti”.
La “Repubblica popolare di Cropredy” (come recita una t-shirt che gira tra il pubblico: il logo, manco a dirlo, è una falce incrociata con una chitarra elettrica) ha risposto ancora una volta con entusiasmo, dopo avere accolto negli anni scorsi altre vecchie glorie come i Jethro Tull e i Procol Harum (Robert Plant, poi, che conosce il bassista Dave Pegg dagli anni giovanili nei circuiti rock di Birmingham, è un habitué). “Cropredy è il posto giusto per i Fairport, i Fairport sono il gruppo giusto per Cropredy”, annuisce Nicol. “Per questo non cambieremo mai sede, neanche se il numero di richieste ci suggerisse di passare a uno spazio più grande. Tra noi e il villaggio c’è un legame indissolubile, con la comunità si collabora e si lavora in armonia”. Fioriscono le iniziative di beneficenza, intorno al festival: con i breakfast agresti, i biscotti e le riffe si raccolgono soldi per gli anziani del paese, per restaurare la campana della chiesa, per il club di canottaggio. E poi c’è la musica, ovviamente. Chissà quanti bei ricordi, in trent’anni. Niente è mai andato storto? “Può sempre capitare che la corda di una chitarra si spezzi sul più bello ma sai com’è: si tende a ricordare le belle giornate di sole passate in spiaggia, non le ore trascorse sulla poltrona del dentista…Io ricordo con particolare affetto la prima visita di Gary Brooker. Fine anni Ottanta, inizi Novanta, non ricordo bene. Si sedette al piano e attaccò ‘A whiter shade of pale’, non tutti tra il pubblico lo avevano riconosciuto o sapevano chi fosse. Siccome non facciamo mai prove con gli ospiti restai sorpreso pure io. Non sapevo che la canzone avesse una terza strofa, mi chiedevo perché cavolo Gary continuasse a cantare! Il concerto con cui chiudiamo Cropredy il sabato sera (una maratona di tre ore, con ospiti e brani storici: il repertorio non manca, ndr) per noi è sempre il momento più importante dell’anno”.
E dopo il festival, che succede? “Si torna in ufficio, a spedire magliette e cd. Avremo un autunno abbastanza tranquillo, poi in gennaio saremo in Germania per una nuova rappresentazione dell’ ‘Excalibur’ di Alan Simon, subito dopo abbiamo 35 date in Inghilterra”. Non risentono della crisi, i Fairport? “Siamo fuori dal mainstream e questo in un certo senso si è dimostrato un vantaggio. Ero preoccupato per il nostro tour invernale, l’anno scorso, proprio quando la recessione cominciava a mordere. Chiami la baby sitter, affronti il viaggio in macchina, paghi i biglietti e un paio di birrre e fai presto a spendere un centinaio di sterline. Invece è andata meglio dell’anno precedente…Siamo fortunati, abbiamo dei fan molto fedeli. Non ci vedono come un lusso di cui si può fare a meno”. (a.m.)