“Troppo timido, troppo sensibile per sopravvivere nel pop business”, cercò di spiegare
Mick Jagger
a proposito della parabola tragica di
Brian Jones
. E troppo schizofrenico, troppo paranoico, troppo alienato, con tutto quel brandy, quell’Lsd e quei barbiturici ingurgitati senza freni, in quantità industriali. Guardarlo nel dvd di “Rock’n’roll circus”, 10 dicembre 1968, fa ancora rabbrividire: la giacca viola, la pelliccia, la cravatta sgargiante e il casco biondo non bastano a nascondere le borse sotto gli occhi, la faccia gonfia, l’occhio spento, il sorriso inebetito. Aveva reagito con apparente aplomb, all’inizio, all’ascesa dei Glimmer Twins, Jagger & Richards che prendevano il sopravvento firmando tutti i successi degli Stones. Uno si impadroniva del microfono e dei riflettori, l’altro inventava riff a mitraglia, lui si incaricava di arrangiare, colorare, ingentilire, infiocchettare la ruvida musica degli Stones: con il sitar di “Paint it, black”, con il dulcimer di “Lady Jane”, con il flauto dolce di “Ruby Tuesday”, con la marimba di “Under my thumb”, con il mellotron di “2,000 light years from home”. Poi il nulla:
“Era lui la vera farfalla dei Rolling Stones”, scriveva dieci anni fa sulla rivista inglese Mojo il giornalista Rob Chapman, rievocando il celebre editoriale del Times che nel ’69 aveva difeso Jagger e Richards dagli attacchi isterici ed esagerati dei benpensanti dopo il famoso raid antidroga nella casa di Redlands (“Who breaks a butterfly on a wheel?”, era il titolo). Brian non era attrezzato per sopravvivere ai Sixties e agli Stones, alla sua psicologia friabile e ai demoni che lo divoravano. La morte, forse, fu per lui una benedizione. Due giorni dopo, al concerto gratuito di Hyde Park, dal palco si libravano in volo migliaia di farfalle bianche. Stavolta, senza che la “ruota della tortura” corresse il rischio di spezzarne le ali.
(leggi: prima parte )
(leggi: seconda parte )
missing in action
, un artista in contumacia. Allora più di oggi, il music business era una macchina spietata: se non ti davi da fare, se non ti facevi vedere alle prove, se eri troppo fuori di testa per salire su un palco o su un van poche storie, eri fuori dal gruppo (successe più o meno in contemporanea anche a
Syd Barrett
, il diamante pazzo dei
Pink Floyd
.
“Era lui la vera farfalla dei Rolling Stones”, scriveva dieci anni fa sulla rivista inglese Mojo il giornalista Rob Chapman, rievocando il celebre editoriale del Times che nel ’69 aveva difeso Jagger e Richards dagli attacchi isterici ed esagerati dei benpensanti dopo il famoso raid antidroga nella casa di Redlands (“Who breaks a butterfly on a wheel?”, era il titolo). Brian non era attrezzato per sopravvivere ai Sixties e agli Stones, alla sua psicologia friabile e ai demoni che lo divoravano. La morte, forse, fu per lui una benedizione. Due giorni dopo, al concerto gratuito di Hyde Park, dal palco si libravano in volo migliaia di farfalle bianche. Stavolta, senza che la “ruota della tortura” corresse il rischio di spezzarne le ali.
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