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Rockol raggiunge la band cuneese a Berlino. Ecco alcune anticipazioni sul quinto disco di studio, in uscita a gennaio…

I Marlene Kuntz a Berlino. A pensarci, sembra quasi naturale: uno dei gruppi rock più seguiti e stimati d’Italia, i cui membri non hanno mai nascosto il fascino per artisti che nella capitale tedesca hanno vissuto e creato, è andato a Berlino a registrare il suo quinto disco di studio. E lo ha fatto in eccellente compagnia: Rob Ellis e Head, già dietro alla consolle di PJ Harvey, producono il disco. Che è ancora senza titolo, ma ha già una data uscita, fissata per il 23 gennaio prossimo (vedi news).
Venerdì scorso, 22 novembre, Rockol ha raggiunto telefonicamente a Berlino Cristiano Godano, cantante e chitarrista della band cuneese. Ecco alcune succulente anticipazioni sul disco.


Allora, a che punto è lavorazione del disco? Dovreste essere vicini alla fine…
Stiamo compilando la scaletta in questo momento. Siamo scesi al bar un attimo per chiamarvi, ma ufficialmente possiamo dire che il lavoro sul disco è finito mezz’ora fa. Manca ovviamente l’editing e il mastering, ma registrazione, missaggi e scelte sono terminati.

Quali sono le vostre impressioni a caldo?
Siamo molto contenti. Chiaramente questo è un momento strano per noi musicisti: viviamo tutto il processo di creazione, nel quale siamo immersi da un anno. Siamo talmente dentro ai pezzi che non è facile per noi giudicarli con distacco critico. Però a noi pare un lavoro molto bello.

Berlino è sicuramente una città ricca di suggestioni musicali… Come siete arrivati a sceglierla per le registrazioni?
In realtà questa scelta è venuta fuori da un suggerimento di Rob Ellis e di Head, i due produttori del disco. C’era un ventaglio di ipotesi, che comprendeva anche Parigi e Praga, poi alla fine abbiamo scelto Berlino. Siamo rimasti molto affascinati dalla città. Non abbiamo nessuna nostalgia di casa: siamo qua da un mese e mezzo, siamo contenti di esserci e credo che sarà difficile il momento in cui la lasceremo. Credo che questa città abbia anche in qualche modo influito sui nostri mood musicali.

Le canzoni che comporanno il disco erano già state composte prima di partire. Su cosa credi allora abbia influito la città?
Infatti siamo venuti a Berlino solo per registrare questo disco, non per crearlo. Però credo che l’atmosfera abbia giovato. Non so se chi ascolterà questo disco potrà percepire una sorta di atmosfera berlinese, ma sicuramente ciò che abbiamo percepito qua è diverso. Intanto è la prima volta che registriamo un disco in un ambiente urbano, e questo è già un cambiamento forte e da noi molto cercato. Quando abbiamo inciso i dischi precedenti eravamo circondati da altri spazi, non c’erano palazzi, bar…

Incuriosisce molto la scelta dei due produttori, Rob Ellis ed Head…
Semplicemente avevamo qualche nome in testa che eravamo interessati a contattare. Rob e Head sono stati i primi a risponderci in maniera positiva, anche se devo dire che pure gli altri interpellati hanno dimostrato di gradire la nostra proposta. C’è stato anche un incontro ad agosto, in cui abbiamo cercato di capire se c’era feeling ed empatia. In quell’occasione abbiamo percepito che quella poteva essere la scelta giusta. Ora, a cose fatte, sono sicurissimo della scelta, sia dal punto di vista tecnico, sia da quello umano.

C’è stato qualche lavoro precedente di Ellis ed Head che vi ha fatto pensare a loro come produttori? La mente corre subito a PJ Harvey…
Infattti devo citare “Stories from the city, stories from the sea”. Quando è uscito avevo la testa altrove, ero in tour, non l’ho sentito molto. Poi, quando si è incominciato a parlare di Rob e di Head, ho avuto modo di ascoltarlo con attenzione e non sono riuscito più a staccarmene per un po’, per un paio di settimane non ho ascoltato altro. Ha un tipo di suono che è molto vicino a quello che speravo succedesse.

Quel disco è contraddistinto da un suono di chitarre molto secco e tagliente. Avete chiesto a Ellis e Head un lavoro in qualche modo analogo?
Sarebbe fuorviante pensare che abbiamo scelto Rob per chiedergli qualcosa del genere: “facci suonare come PJ Harvey”. Sarebbe sciocco… Noi volevamo che loro interpretassero al meglio i Marlene, non che i Marlene “suonassero alla”. L’obbiettivo era quello di ottenere una resa vicina al live: questo disco dà molto l’idea di un gruppo che suona insieme una serie di canzoni, perché questo è quello che è successo in larga parte.

Abbiamo avuto modo di ascoltare alcuni provini: Avete scritto da un lato canzoni molto “tirate”, dall’altro molto eteree e dilatate. E’ rimasta questa dicotomia?
Non c’è nessun cambiamento sostanziale. Questa dicotomia tra due componenti esiste, è un dato di fatto. L’abbiamo sempre perseguita, è nella nostra natura: mi piace la musica varia, e che un gruppo sia in grado di offrire diverse sfaccettature. Ma credo che sia un processo spontaneo.

Nei provini, in una canzone, canti in inglese…
No, non è rimasto assolutamente niente di ciò nel disco. Quando componiamo musica utilizzo un finto inglese per delineare una traccia melodica. Il disco è tutto in italiano. Era un processo di lavorazione anche nei titoli: una canzone l’abbiamo intitolata “Boh” perché non ci veniva in mente altro al momento…

C’è qualche ospite nel disco?
Nel disco c’è Warren Ellis, violinista dei Dirty Three e di Nick Cave: l’ho contattato, gli ho fatto sentire alcune cose e gli ho offerto di fare qualcosa con noi. E’ successo, ed in alcuni pezzi c’è il suo violino, e devo dire che mi piace un casino!

(Gianni Sibilla)

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