“But it would’ve been fun/If you would’ve been the one” canta Adam Duritz, percuotendo ritmicamente il piano che sta suonando. Potrebbe avere scritto lui quelle parole ed essere una bella introduzione ad “A Long December”, una delle canzoni più famose dei Counting Crows, che parte subito dopo. Ma qualcuno riconosce la canzone: è “The 1”, una canzone di Taylor Swift, suonata da una delle band simbolo del classic rock americano. “Devo fare un video per mia figlia”, dicono di fianco a me.
Solo poco prima, nel loro primo concerto italiano in tre anni, i Counting Crows avevano messo in scaletta Joni Mitchell e i Grateful Dead (“Big Yellow Taxi” e “Friend of the Devil” - quest’ultima dedicata al promoter Claudio Trotta). Poco dopo infilano un pezzo del classico folk “Oh! Susanna” in “Rain King”: in pratica una masterclass di musica americana, dalle origini a oggi.
Ma non fraintendete: suono da sempre cover, ma al centro del concerto c'è un enorme repertorio originale di brani che rappresentano il meglio del rock americano per scrittura, performance e intensità. I Counting Croes si permettono pure di mettere all’inizio del concerto proprio quel riff e quel “Sha la la la la” : la terza canzone è “Mr. Jones”, quella che negli anni ’90 li ha resi delle “motherfucking rock ‘n’ roll star”, come cantano invece in “Spaceman in Tulsa”, canzone recente che ha aperto il concerto. Per i Counting Crows “Mr. Jones”e non è la canzone per i bis, ma una "normale" da mettere in testa alla setlist. Normale si fa per dire, perché il pubblico dell’Alcatraz la accoglie con un boato e la canta in coro.
In realtà la band ci mette un po’ a ingranare, il concerto parte un po’ lento, almeno come suono e compattezza. Ma da metà scaletta decolla: la lunga introduzione parlata a “With love, from A-Z” serve a Duritz per sciogliersi: “Se una volta mi avessero chiesto quale canzone racconta la mia vita, avrei detto 'Round Here” oggi dico che è questa”, racconta del brano che apre l’ultimo disco, un racconto della vita on the road, dedicato alla compagna che, dice, 10 anni fa gli ha cambiato la vita. Per la cronaca, “Round Here” arriva poco dopo, unita a “Raining in Baltimore”: maestosa, 10 minuti a cuore aperto, quasi una performance teatrale e recitata di Duritz, completamente assorbito nel racconto che è sia quella della storia delle sue origini che di un modo di vedere il mondo ("Round here we talk like lions, but we sacrifice like lambs"). Il momento più intenso della serata assieme al duo “Miami”/“Colorblind”.
Se non bastasse avere messo assieme nello stesso show Taylor Swift, Joni Mitchell, i Grateful Dead e il rock americano degli anni ’90, nel finale c’è pure un po’ di Italia e di Vasco, con la presenza sul palco di Stef Burns in "Hanginaround": diventa la quarta chitarra assieme a quella di David “Immy” Immergluck, David Bryson e Dan Vickrey. Immy è un altro dei grandi protagonisti della serata, sia per come conduce la band, sia per l’opening set in cui accompagna il cantautore inglese trapiantato in U.S.A. James Maddock.
Una serata notevole, in cui anche i brani dell'ultimo (trascurabile) disco suonano nettamente più a fuoco. I Counting Crows si dimostrano ancora una volta una band che sa unire i puntini del rock e del cantautorato, soprattutto dal vivo.
il risultato è un'immagine potente della musica americana con una voce, quella di Adam Duritz, che nel suo genere ha pochi rivali.