Annalisa: “Trasformarsi aiuta a capire meglio gli altri”

“Quando è tutto da rifare io mi posso trasformare, pensi che mi faccia male ma io sono fuoco”. Annalisa torna letteralmente in pista con “Ma io sono fuoco”, un album in continuità con “E poi siamo finiti nel vortice” uscito nel 2023, che le ha permesso di diventare una delle popstar italiane più importanti e premiate. In questo progetto, anch’esso a livello sonoro molto legato agli anni ’80, rabbia, paure e ansie mutano in qualche cos’altro, tra sarcasmo, positività e synth, senza troppa voglia di farne una lezione di vita. D’altronde, non è la prima volta che la cantautrice cambia pelle, creando dei veri personaggi, anche a livello visivo, come ricordano i tre volti di “Bellissima”, “Mon amour” e “Sola”. Annalisa, da oggi, sarà in varie città per il suo “art gallery & instore”, non un semplice firmacopie, ma un incontro con i fan in vere gallerie d’arte, e da novembre tornerà in tour nei palazzetti.
Quando ha preso forma questo disco?
Ho iniziato ad avere un’idea sulla totalità del progetto circa un anno fa, anche se qualche canzone è nata prima.
È un album pensato per la dimensione live?
Di sicuro in fase di scrittura ne abbiamo parlato spesso, abbiamo pensato a quanto i pezzi potessero crescere nella messa in scena e nelle mani dei musicisti.
L’“essere fuoco” è una reazione al “vortice” della vita del progetto precedente?
Sì, il nuovo album non è tanto su quello che accade, come magari era quello prima, ma sul come si reagisce a quello che è avvenuto. C’è un filo rosso. Il “ma io sono fuoco”, con l’avversativa, fotografa proprio la voglia di non essere passivi, di non farsi trascinare, magari riuscendo a trasformare le cose negative in opportunità.
Da come ne parli, questa “reazione” per te è importante.
Dovrebbe essere così per tutti, ma in quanto donna non nascondo che il tema lo sento molto addosso. Come donna mi è capitato e mi capita di rischiare di subire delle situazioni che magari un uomo non subirebbe. Il messaggio centrale del disco è: “Che ognuno viva la vita come vuole”.
Rischia di essere una banalità.
Mi rendo conto che lo è, in realtà. Ma visti i tempi è importante parlarne. Perché ci devono essere pregiudizi? Perché attaccare delle persone per quello che sono, se non fanno del male a nessuno? Perché puntare il dito? Ognuno deve fare le proprie scelte, magari anche sbagliando, ma deve essere libero di poterle fare.
“E poi siamo finiti nel vortice” ha segnato un periodo: tornare in studio, dopo i traguardi raggiunti, fa paura?
La pressione c’è stata. Ma è stata positiva. Dopo un periodo favorevole si è pieni di stimoli e idee. Si può “rubare” tanto dai momenti luminosi. E poi io quella pressione nel disco l’ho inserita perché questa necessità di reagire e trasformarsi non è solo un messaggio generale, ma anche uno stato in cui mi sono ritrovata: volevo cambiare ancora, senza abbandonare me stessa.
La trasformazione è anche reale, non solo figurata: in “Maschio” diventi letteralmente un uomo.
È un classico del pop: trasformarsi per far arrivare il messaggio ancora più forte. È una grande occasione: usare dei piccoli universi e affiancarli alle canzoni è magico. Io ho cercato di costruire dei veri personaggi, da “Bellissima” fino a “Maschio”, che raccontassero più parti di me. Poi io sono anche convinta che le canzoni debbano volare da sole e ognuno possa vederci quello che vuole, ma offrire un immaginario in più, alla partenza, è sempre interessante.
La figura maschile, in questo progetto, viene ironicamente demolita: gli uomini sono bugiardi e vampiri. L’obiettivo di un album così, qual è? Ballare sulle rovine sentimentali?
La musica leggera per me è fatta in grande parte per questo. Mi piace la velocità sonora di un certo pop, perché permette di scavalcare la tristezza di una storia che non funziona.
Sei sposata. Da dove arrivano questi racconti così libertini? Da amiche o sono tue storie precedenti?
Un misto. Raramente faccio riferimenti precisi-precisi a fatti specifici. Nelle mie canzoni ci sono pennellate di storie in cui spesso io neppure c’entro, ma che ho raccolto. Quello che mi preme, al di là di questo, è colpire dal punto di vista emotivo e del concetto. Mi piace inserire anche delle provocazioni.
Quella di cui andare più orgogliosi?
“Amica”. Forse è la canzone più cruda dell’album. È dritta. Magari non è del tutto politicamente corretta, ma è umana. È stata tra le prime su cui ho messo le mani, ma tra le ultime a essere chiusa. Non è stato un caso: mette davanti a delle riflessioni scomode.
Con Paolo Antonacci collabori su “Avvelenata”: il pezzo è particolare perché le vostre voci sembrano una sola.
Lui ha una vocalità quasi femminile. La mia collaborazione con Paolo, come autore, è di lunga data, ma da tempo pensavo anche a un pezzo insieme. Trovo interessante raccontare delle fragilità da due prospettive diverse che poi diventano una sola. Le fragilità, viste da vicino, si somigliano tutte, anche io e Paolo ci assomigliamo.
“Piazza San Marco” con Mengoni è un pezzo diverso dal sound generale del disco. Perché?
La canzone con Marco è una collaborazione che vuole prendersi del tempo, non bruciare velocemente. Non ha uno scopo, è nata da un’urgenza ed è per questo che ci piacerebbe avesse una vita lunga. Per me è una specie di inno, la voglio portare con me per un bel po'.
Chi è “Emanuela” a cui dedichi una canzone?
Quel pezzo mi diverte molto. Mi sono fatta un film mentale: una serata in discoteca in cui ci si guarda intorno e ci si sente poco inseriti. In quel luogo ci sono miseria e nobiltà, aspetti divertenti e altri che lasciano basiti. A un certo punto succede un fatto: il ragazzo della mia amica di fantasia Emanuela, con cui sono in discoteca, ci prova con me. E io lo minaccio che, se non la smette, le riferisco tutto.
L’uscita di “Bellissima” nel 2023 è stato il big bang?
Quello è stato il cambio marcia. Tra l’altro io quel pezzo lo avevo lì da un po’, ma è sempre difficile capire quando pubblicare un brano che senti importante. Anche l’uscita di “Mon amour”, il mio primo Forum ad Assago e la prima Arena di Verona sono stati tasselli fondamentali. Un altro momento che ho sentito particolarmente è stato quando sono stata premiata ai Billboard Women in Music in America. Parlare di sé, in inglese, davanti a diverse star internazionali come Karol G e Katy Perry…è stato emozionante.
Nel 2024 hai pubblicato “Sinceramente” in spagnolo. Vuoi giocarti le tue carte anche a livello internazionale?
Io penso che la strada alla fine la trovino le canzoni. Non si può “forzare” questo meccanismo. Una cosa di cui sono certa: deve comunque rimanere un’identità italiana in quello che faccio. Per me le canzoni “diventano internazionali” se mantengono un’identità riconoscibile.
“Ma io sono fuoco” come si trasformerà in tour?
Sarà un mix di sentimenti: rabbia, nostalgia, amore, sconforto e reazione.
Dov’è la rabbia nel disco?
“Dipende” secondo me è un pezzo rabbioso, è da lì che si innesca la reazione. E infatti è in apertura di progetto. Quella rabbia, poi nei vari pezzi, si trasforma in ironia su “Maschio” ed “Emanuela”, in nostalgia su “Piazza San Marco” e in “Amica”, o ancora in delusione su “Delusa”.
La trasformazione prevede anche l’empatia, perché necessita l’accoglienza di punti diversi dal proprio. Il mondo in fiamme in cui viviamo lo ha dimenticato?
C’è tanta insofferenza sui social, ma anche dal vivo, sulle prospettive diverse dalle proprie. Assisto a nervosismi anche su piccole cose. È vero, in generale c’è poca empatia, poca voglia di capire l’altro. Il mettersi nei panni di chi abbiamo di fronte è importante. Il trasformismo, il giocare con la propria identità, mi aiuta a cercare di capire meglio gli altri.