“Il Tai Chi mi ha salvato la vita”, disse una volta Lou Reed: quest’arte marziale meditativa e “interna”, fatta di lenti movimenti e di connessione tra mente e corpo, è stata al centro dell’interesse del grande musicista fin dagli anni ’80. Tanto da scrivere una canzone con un invito a praticarlo (pubblicata poi postuma 2 anni fa) e da portare con sé sul palco il Maestro Ren, che eseguiva i movimenti della “forma”, la sequenza codificata dello stile Chen, che Reed seguiva.
Negli ultimi anni prima della sua scomparsa nel 2013 Lou Reed aveva in progetto di scrivere un libro sul Tai Chi - non riuscì a concluderlo. Quel progetto è stato preso in mano dalla moglie Laurie Anderson e finalmente pubblicato nel 2023: ne avevamo parlato proprio con lei due anni fa
Ora viene pubblicato in versione italiana da Jimenez: non è un libro solo di Lou Reed, contiene i suoi scritti, interviste, conversazioni, ma anche molti ricordi e aneddoti di amici, musicisti e non: da Tony Visconti, storico produttore che divenne amico di Reed proprio grazie al Tai Chi e su suggerimento di David Bowie, a Jonathan Richman: da ragazzo, e prima di formare i Modern Lovers, il cantautore fu un fan sfegatato dei Velvet Underground e venne preso sotto l’ala protettiva di Reed.
Dal libro, per gentile concessione di Jimenez, pubblichiamo proprio lo scritto di Jonathan Richman, in cui ricorda i Velvet Underground e come Lou Reed gli abbia insegnato non solo a suonare, ma anche l’aspetto spirituale della musica.
GS
Jonathan Richman racconta Lou Reed e i Velvet Underground
(Estratto da “Lou Reed. Il mio Tai Chi. L’arte dell’allineamento”, Jimenez, per gentile concessione dell'editore)
A sedici anni ero uno studente arrabbiato. Stavo passeggiando per Harvard Square, qualche giorno prima del concerto dei Velvet Underground al Boston Tea Party, e in quel bel pomeriggio primaverile vedo un tizio con una custodia per chitarra. Gli chiedo: “Mi scusi. Lei è Lou Reed?”. E lui: “Sì”. Allora gli dico che la sua musica significa molto per me, e lui: “Posso chiederti cosa ti piace in particolare?”. E: “Be’, per prima cosa, usate le chitarre come strumenti a percussione”. Lui dice: “Lo pensa davvero?”. Gli rispondo di sì e lui: “Vuoi dire che le usiamo come batteria?”. “Sì. In certe canzoni, sì”.
Immagino che gli sia piaciuto quello che avevo detto, quindi ero dei loro. Così mi invitarono al concerto ma non mi diedero un posto tra il pubblico, mi fecero entrare prima insieme a loro. Erano tutti gentili con me. Sterling Morrison e John Cale, c’erano tutti. Da quel momento in poi, questo gruppo… La mia gratitudine non può essere espressa a parole. Mi commuovo quando provo a parlarne. Mi permettevano di stare lì con loro a studiarli. Dopo un po’ Lou mi permise perfino di suonare le sue chitarre elettriche durante le prove e ascoltare i suoni. Gli chiedevo: “Come mai usi il midrange boost e il fuzz contemporaneamente?”. E Lou mi diceva: “Be’, se fai così ottieni questo”. E me lo faceva vedere! I Velvet Underground erano noti per essere un po’ scontrosi, anche tra di loro, e invece erano così gentili con me.
In quello stesso periodo ho conosciuto anche Andy Warhol. Sapeva essere scostante se voleva. Mi chiese del liceo. E io gli dissi: “Be’, non mi sento molto capito, e a volte mi spavento”. E lui fece: “Uh-huh”. Non gli sembrava una cosa strana. “Dopo il diploma, vieni a New York e potrai lavorare con me nel cinema”. Per lui l’istruzione e il duro lavoro erano molto importanti. Nel giro di pochi mesi, gli spararono. Andai a trovarlo e si ricordava di me. Dopo, non fu più lo stesso. Non poteva più occuparsi direttamente delle cose nei suoi film, ma io ero lì a New York, vicino a loro, vicino a quella scena e ai Velvet Underground.
Avrò visto i Velvet Underground tra le sessanta e le cento volte. E i miei genitori, che Dio li benedica, mi lasciavano andare ai concerti di questi stramboidi. Gli avevo spiegato chi erano, e loro conoscevano Andy Warhol, ma si fidavano di me. E avevano ragione, perché in realtà ero quello che dicevo di essere. Come un pittore, ascoltavo il loro sound. E non erano solo i testi, anche se è stato Lou Reed a darmi la mia voce come cantante. Ma il loro sound, la drone music e quelle loro atmosfere. Io mi esercitavo a fare accordi barré e cose del genere. Sterling Morrison e Lou Reed mi hanno insegnato a suonare. (…)
In quel periodo, aprii un loro concerto in un locale vicino Boston chiamato Woodrose Ballroom. Dopodiché, apparentemente senza motivo, Lou mi fece fuori. Dovevo averlo offeso in qualche modo. Sterling Morrison disse: “Oh, sai, è fatto così”. Ricordo che non mi parlò più per anni. E me ne feci una ragione, pensai: Bene. Se sono solo, il cielo vuole che io sia solo e vada per la mia strada. Di tanto in tanto, Lou e io avevamo parlato di cose mistiche, lui mi aveva indicato dei libri e roba del genere. Pensavo: Forse mi sta tagliando fuori per due motivi. Uno, perché sono odioso, e l’altro perché forse vuole farmi un favore. Non saprò mai la risposta.
Lou era interessato alla meditazione a quel punto. Infatti, andava alle meditazioni mensili che il gruppo di Alice Bailey teneva alle Nazioni Unite. Lou mi parlava dei libri del Lucis Trust di Alice Bailey. Le persone che frequentano librerie mistiche conosceranno sicuramente testi come Trattato di magia bianca e Trattato del fuoco cosmico. Mi parlava di cose del genere. E si ritrovano anche in alcune delle sue canzoni. Per esempio, Over the hill we go, and you’re looking for love, oppure Insects are evil thoughts provengono da quel materiale. Dall’idea che, a volte, certi pensieri abbiano una manifestazione fisica, nel regno animale, positiva o negativa. Lou era interessato a cose del genere e mi disse: “Quando ti trasferisci a New York, vai alle meditazioni sulla luna alle Nazioni Unite. A volte io ci vado”.
La volta successiva che parlai con lui fu nel 1992. Nel periodo in cui suonava come solista, alcuni miei amici musicisti lo conoscevano, e lui aveva dato a tutti precise istruzioni. Se dicevano: “Oh, siamo amici di Jonathan”, lui ribatteva subito: “Non dategli il mio numero di telefono”. Nel 1992, feci uno spettacolo a New York al Lone Star Roadhouse e Penn Jillette invitò Lou. Dopo il concerto, Penn e Teller ci invitarono in un bar a Midtown. Lou si sedette accanto a me e disse: “Sai, Jonathan, dopo averti visto suonare stasera, sono orgoglioso di te”. E mi sembrò di avere di nuovo sedici anni. Ma ne avevo ormai trentotto o quaranta. E lui disse: “So cosa significa per te”.
Dovete sapere che, oltre alla musica, il mio altro lavoro è costruire forni per il pane. Devo comunque stare all’aperto, fare cose, ed è stato così per tutta la vita. Sono uno scalpellino. Ho anche studiato un po’ di arti marziali e a San Francisco ho trovato una scuola di Tai Chi nella tradizione Cheng Man-ch’ing. La cosa che preferisco del Tai Chi è la filosofia. Mi diverte, perché è così non-macho e mostra come il non-macho funziona sul macho. Se pratichi Spingere con le mani con una persona più pesante di te, finché le tue braccia restano morbide e non opponi resistenza, cadrà da sola.(…)
Questo è il Lou Reed che ho conosciuto, per inciso: introspettivo, desideroso di condividere intuizioni, curioso, aperto a nuove idee, musicalmente e spiritualmente. Le persone enfatizzano l’aspetto della droga nella sua musica. Be’, quello che ho imparato da lui non aveva nulla a che fare con tutto ciò. Quello che ho appreso è stato l’aspetto spirituale della musica della band nel suo insieme.
Una delle prime cose che ci hanno insegnato è che qualsiasi stato tu possa raggiungere con le sostanze chimiche, lo puoi raggiungere con il silenzio. Mi piace muovermi lentamente, il che tra l’altro aiuta la mia meditazione. Un passo da carro da buoi, come ha detto qualcuno.
Non sono un grande fan dell’era dei computer.