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Vasco a San Siro, il primo di 7: il rock come presa di coscienza

L'artista segna un record e non risparmia nessuno. Neppure se stesso. Il racconto.
Vasco a San Siro, il primo di 7: il rock come presa di coscienza

Nessuno come lui. Con i “magnifici sette” sold out a San Siro di quest’anno, saranno 36, alla fine, le volte che Vasco avrà calcato lo stadio milanese dal 1990 a oggi (escluso l’Ippodromo La Maura, 2022) radunando oltre due milioni e mezzo di spettatori. Oltre venti pezzi e un medley da sette brani compongono uno show “un po’ più incazzato, più duro, perché questo è un periodo molto complicato e molto difficile”, ha raccontato alla vigilia del primo dei sette live il rocker, che si presenta con chiodo borchiato e cappellino nero.

La prima di questa sorta di residency alla Scala del Rock, inaugurata da un video con protagonista un drago virtuale che sembra schizzato fuori da “Il trono di spade”, non vuole fare sconti a nessuno, già a cominciare dai primi tre brani in scaletta, scritti in periodi diversi, ma caratterizzati dalla stessa ironia feroce: “Blasco Rossi”, “Asilo republic” e “Gli spari sopra”. La prima canzone è un dito medio al pregiudizio: “Il Blasco? Un personaggio che negli anni Ottanta era il mio alter ego. Questo è un brano contro le fake news. Sono stato il capro espiatorio di tutti i problemi in Italia, a partire dalla droga”, ha ricordato Vasco quando gli è stata consegnata la Pergamena di Milano dal sindaco Beppe Sala. Contro il potere la seconda, mentre la terza, rilettura di “Celebrate” degli An Emotional Fish, è una dedica incendiaria, uscita nel 1993, “a tutti i farabutti che governano il mondo”, dice il Blasco dopo una lunga serie di fiammate. Il Komandante, sin dalle prime tracce, si prende San Siro con forza e disinvoltura. Fa sembrare facile quella che per molti è una scalata sul K2.

Dopo le scalette post pandemia, incentrate maggiormente sul senso di unione e di attaccamento alla vita, il suo rock, tra citazioni corrosive di Meloni e Vannacci, spinge sull’acceleratore dell’irriverenza e della presa di coscienza. Già l’anno scorso con la decisione di iniziare i live con “Dillo alla luna”, con quel “Guardala in faccia la realtà” c’era un’assunzione di responsabilità. Ma non basta. Vasco ci ha abituato non solo all’invettiva, ma anche allo scandagliare i sentimenti di più generazioni e alla riflessione personale, perché è da lì che bisogna partire per ritrovare empatia: “Tutti pensano di cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso”, scrisse Tolstoj. Ed ecco quindi spuntare “Gli sbagli che fai”, la colonna sonora della serie di Netflix “Il supervissuto”, potente dal vivo, oltre alle storie toccanti di “Jenny è pazza”, tra depressione e sofferenza, rese plastiche da un Vasco piegato sul microfono, e di “Sally”. In quel “forse, ma forse, ma sì” cantato a squarciagola da 58mila persone (saranno 400mila in totale alla fine dei sette appuntamenti) sembra esserci un grande esorcismo collettivo.

Il palco è un mostro buono largo 86, profondo 25 e alto 28 metri su cui dominano cinque giganteschi schermi, tre centrali a forma di “V” rovesciata più due laterali curvi, che consentono la visuale a tutto lo stadio. Tutti guidati e animati da Pepsy Romanoff. In scaletta tornano ancora la critica sociale con “Basta poco”, con un “basta poco per essere intolleranti” dedicato a Matteo Salvini, e le ballate struggenti come “Quanti anni hai”, fu l’apertura del primo Imola 1998, oltre al ghigno di “Come stai”, con tanto di ammiccante movimento pelvico, tratta da “Buoni o cattivi” del 2004. Dagli anni ’80 spunta “Bollicine”, j’accuse contro la pubblicità che oggi più che mai è ancora una droga. Spazio anche ai fiati di “Domenica lunatica” e all’ottovolante emotivo tra “C’è chi dice no” e “Gli angeli”, sempre in bilico tra narrazione da barricata e racconto intimo, tra visione comunitaria e sguardo personale. “Qui non arrivano gli ordini a insegnarti la strada buona. E da qui, e da qui, qui non arrivano gli angeli”, sono le parole del pezzo del 1996.

Sotto la direzione musicale del chitarrista Vince Pastano, si muove una band strutturata, precisa e musicalmente di alto livello: Stef Burns alla chitarra, Antonello D’Urso alla chitarra acustica, Andrea Torresani al basso, Alberto Rocchetti alle tastiere, Donald Renda alla batteria, Andrea Ferrario al sax, Tiziano Bianchi alla tromba, Roberto Solimando al trombone e Roberta Montanari ai cori. La rivoluzione è donna. Vasco ce lo ricorda con un medley interamente dedicato alla figura femminile in cui c’è tutta la sua poetica in bilico tra streghe, amazzoni e fate. Una menzione speciale va a “Ridere di te”, un gioiello. Anche il divertimento, il sesso e la spensieratezza devono essere lasciati correre liberi come cavalli selvaggi: “Rewind”, con la ritualità dei seni al vento delle fan, è l’apice di questa visione.

“Siamo ancora quelli delle grandi illusioni, siamo consapevoli di non aver cambiato il mondo, ma almeno abbiamo cambiato noi stessi”, ha ricordato il rocker di Zocca: sì, forse, è tutto lì, ne “Il mondo che vorrei”, il significato di questo tour. “Se ti potessi dire”, “Siamo solo noi”, eseguito con lo storico bassista Claudio Golinelli, “Vita spericolata” e “Canzone”, con fuochi d’artificio e coriandoli su “Albachiara”, compongono un finale in cui i sentimenti più profondi e i decibel delle migliaia di voci dei fan crescono come un’onda. Il concerto, un unico grande discorso affacciato sul presente, lascia spazio alle emozioni più pure e in un secondo momento alle riflessioni. Vasco, come il suo popolo, è da sempre in marcia, un po’ come il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Ma come ci ricorda, con questo tour non vuole conquistare nulla, neppure un posto in Paradiso. Nelle sue canzoni e parole semplici c’è un sentimento popolare, un rapimento mistico e sensuale. C’è vita, che per sua natura è lotta. E il primo avversario, tra miseria e codardie, è dentro di noi.

Scaletta:
Blasco Rossi
Asilo republic
Gli spari sopra
Gli sbagli che fai
Quanti anni hai
Come stai
Vivere senza te
Bollicine
Jenny è pazza
Sally
Domenica lunatica
Interludio / Echo Lake
Un gran bel film
La fine del millennio
Gli angeli
Basta poco
C'è chi dice no

Medley: La strega (la diva del sabato sera) / Cosa vuoi da me / Vuoi star ferma! / Tu vuoi da me qualcosa / Occhi blu / Incredibile romantica / Ridere di te
Rewind
Il mondo che vorrei

Bis:
Dillo alla luna
Se ti potessi dire
Siamo solo noi
Vita spericolata / Canzone
Albachiara

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