Mace ha portato il concetto di producer album a un altro livello
C’è un prima e un dopo nel concetto di “producer album” e lo spartiacque è rappresentato da “Maya” di Mace. Un’esagerazione? Parliamone. Se non ha portato il concetto di “producer album” a un altro livello, di sicuro il 41enne musicista milanese, vero nome Simone Benussi, con il suo ultimo lavoro ha elaborato una visione personalissima della materia, andando oltre i luoghi comuni e i cliché. Scardinando le convenzioni. E dimostrando che un altro “producer album” è possibile “È un disco pensato per i live. Ho fatto il dj per una vita, ma con la dimensione live, per davvero, mi sono confrontato con “Obe”. Ed è stato qualche cosa di nuovo. Già avevo riarrangiato molto ‘Obe’ per proporlo da vivo. Con questo nuovo album volevo andare sempre di più verso questa direzione. Perché, alla fine, è quello che piace a me: quando vado a un concerto amo vedere una band suonare, sentire gli arrangiamenti. Io volevo un disco con una grande cura del suono, ma replicabile dal vivo”, ha raccontato lui nella nostra intervista.
Certo, nelle 16 tracce che compongono il disco ci sono praticamente tutti i grandi protagonisti del circuito rap italiano. E non è un caso che i brani popolino la playlist “Rap Italiano Game Over”, che potete ascoltare qui sotto: si va da Guè (con Noyz Narcos e Tony Boy in “Praise the lord”) a Rkomi (con Bresh e Iako in “Nuovo me”), da Izi (con Ernia, Tony Boy e Digital Astro in “Lumiere”) a Kid Yugi (con Franco126 e lo stesso Izi in “Tutto fuori controllo”).
Ma “Maya” va oltre il rap. Mace ha chiamato a raccolta amici e colleghi musicisti e gli ha dato appuntamento in una villa in Toscana. È lì che è nato il nocciolo del disco, attraverso jam sessions insieme a fuoriclasse come Fabio Rondanini Enrico Gabrielli dei Calibro 35 (rispettivamente batteria e piano, sax, flauto, Wurlitzer, glockenspiel e moog), Venerus (chitarra, synth e pianoforte), Danny Bronzini (chitarra, basso), Ricky Cardelli dei Funk Rimini (chitarra, basso, synth, organo e piano), Stefano Iascone (tromba) e Leo Vertunni (sitar). “Siamo partiti da zero, volevo che la musica nascesse naturalmente dall’interazione tra tutti noi. Proprio come se fossimo un collettivo. Chiaramente io ero il “regista”, ma tutto è arrivato spontaneamente”, ha detto Mace.
Mace è partito dall’intuizione per processare in un secondo momento tutto il materiale raccolto, arricchendolo di squarci sonori, forti contrasti e frammenti di psichedelia per immergere l’ascoltatore in un territorio straniante e irreale: “Volevo approcciarmi a un disco totalizzante, che nascesse dal contatto, non da tanti mattoncini separati. È una modalità molto diversa rispetto a quella che è in voga oggi: non singole session, ma periodi di vita vissuta insieme 24 ore al giorno per diversi giorni, nei colori delle campagne toscane, condividendo praticamente tutto, come un collettivo degli anni ‘70. In particolare avevo in mente i Funkadelic e il rock psichedelico, ma spesso non davo alcuna indicazione precisa: volevo che la musica si materializzasse, e noi fossimo semplicemente delle antenne, pronte a canalizzarla. Tante delle idee in 'Maya’ sono apparse così, dall’interazione tra i musicisti più talentuosi che conosco, all’interno di una stanza piena di strumenti musicali: sintetizzatori, strumenti indiani, fiati, arpe, chitarre, percussioni africane…ci sembrava di essere sul palco dei Pink Floyd a Pompei”.
Molti dei musicisti che hanno accompagnato Mace nell’esperienza di “Maya” saranno con lui il prossimo 18 ottobre, quando il produttore terrà il suo primo concerto al Forum di Milano. “Per trasportare il pubblico in un itinerario multi sensoriale”, promette lui.
