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Giuse The Lizia: "Meglio un pezzo forte nel live che su TikTok"

Il nuovo singolo “Solo un’idea” è il primo tassello del nuovo album. L’intervista.
Giuse The Lizia: "Meglio un pezzo forte nel live che su TikTok"
Credits: Simone Biavati

Ha fame di crescere, e con lui vuole, alla scoperta di nuove strade, trascinare il suo pubblico, sempre più in crescita in questi anni. Il nuovo singolo “Solo un’idea”, un brano più romantico e meno “facilone”, è il primo capitolo di un nuovo percorso per Giuse The Lizia, che culminerà con il concerto evento all’Alcatraz di Milano il 25 novembre: una data unica e speciale, che sarà, come lo stesso cantautore classe 2001 sottolinea, “una grande festa, per raccontare questi primi anni di canzoni e per presentarne di nuove”. In mezzo, ovviamente, arriveranno nuovi pezzi e un disco, il secondo, dopo il buon esordio “Crush” che dimostra tutte le qualità di scrittura e interpretative dell’artista siciliano di stanza a Bologna.

Come descriveresti “Solo un’idea”?
È il primo pezzo di qualche cos’altro. Parte da un punto diverso come approccio di scrittura e musicale rispetto al passato. È una canzone a cui tengo tanto anche sul fronte contenutistico, con un concetto emotivo che sento ancora mio. Sai, a volte, quando pubblichi le canzoni stai già da un’altra parte a livello di sensazioni perché passa del tempo da quando le scrivi a quando escono, ma in questo caso coincide ancora tutto.

Perché lo consideri un pezzo “diverso”?
Ho tentato di non rimanere nella mia zona di comfort vocale. Ho cercato di arrivare ad altro, con la voce. E poi qui non mi abbandono a rime troppo facili, l’ho lavorato in più giorni, ho modificato più parti. Mi sono raccontato in modo più ragionato, c’è una maggiore maturità nel volersi aprire. Venendo da pezzi come “Radical” e “Scs” si sente la differenza. Quelli erano più ammiccanti, questa canzone è meno immediata, credo che abbia bisogno di più attenzione.

Il nuovo disco verso quale direzione sta andando?
C’è un buon equilibrio tra le due anime, tra quella che privilegia il non primissimo ascolto, che esige approfondimento, e quella più immediata, da "presa bene". Secondo me è bello variare e portare l’ascoltatore a prendersi del tempo per capire meglio quello che si propone e sente.

In molti ti hanno conosciuto grazie alla partecipazione a Sanremo Giovani 2022 da cui sei stato, lo diciamo noi, immeritatamente eliminato. Che cosa ti porti dietro da quell’esperienza?
Mi sono messo alla prova. Il giorno dopo, sono sincero, avevo già metabolizzato l’eliminazione, il gioco va accettato per quello che è. Sanremo mi ha aiutato a imparare a gestire lo stress, mi ha fatto conoscere persone bellissime. Io cerco di vedere tutto in modo costruttivo. E a seguire è successo qualche cosa di magico con le canzoni, non con altro: sono i miei pezzi a essere arrivati al pubblico. Sì, le canzoni hanno spinto le persone a venire ai live. Per questo sto crescendo in modo graduale, sento il calore della gente che, piano piano, aumenta.

Alcuni artisti della Generazione Z sono schiacciati dai numeri e dalle aspettative.
Io mi reputo fortunato, nella mia vita ho un equilibrio anche grazie ai ragazzi di Maciste Dischi, il mio primo vero contatto con il mondo della discografia. Loro beccarono una demo, gli piacqui e ci “fidanzammo”. Io non ho mai vissuto in un sistema di lavoro con l’ansia performativa a scandire tutto, nel senso che quell’ansia esiste, c’è, è intorno a noi, nessuno escluso, ma chi lavora con me non me la trasmette, la tiene lontana. Questo aiuta.

Il successo, piccolo o grande, è davvero gestibile?
Io non sono difensore radicale della gavetta. Il successo arriva in tanti modi, uno può anche esplodere da un momento all’altro. E ci sta tutto. Ma fare le cose passo dopo passo aiuta ad affrontare psicologicamente quello che viene dopo, questa è l’utilità della gavetta. Io ero teso per i live ai Magazzini Generali di Milano, poi è andata bene, abbiamo riempito, e questo mi aiuta ad affrontare meglio, oggi, il concerto all’Alcatraz. Simbolicamente è “la” data, ma in realtà ho tanta voglia di suonare e cantare in generale, di tornare sul palco. Io lavoro, faccio canzoni pensando al palco. Con i miei del team mi capita di dire: “questa magari non andrà virale su TikTok ma spaccherà ai live, meglio così”.

In molte canzoni parli della Generazione Z. Rappresentarla tout court non è un po’ troppo ambizioso?
Io non voglio rappresentare la mia generazione mettendomi a scrivere a tavolino, semplicemente non ne sono capace. Se mi dicessi: “ora scrivi su questo problema della Generazione Z”, non riuscirei a farlo. Io parlo di me, che sono come tutti. Vivo a Bologna, respiro la realtà dei fuori sede, degli studenti, dei ragazzi, della vita di tutti i giorni. E partendo da me sento di poter dare la possibilità a chi ascolta di rispecchiarsi. Ma è fondamentale partire dalle mie esperienze, non da un discorso più generale e ampio, lo start è la dimensione personale. 

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