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Club Dogo: un ritorno da 120mila biglietti

È come se il trio rap avesse riempito due volte San Siro, in attesa del nuovo album. L’analisi.
Club Dogo: un ritorno da 120mila biglietti

L’ultima loro impronta discografica risale al 2014, all’album “Non siamo più quelli di Mi fist”, in cui nel titolo giocavano, in realtà in modo verace, con il dire popolare di chi pensava che Jake La Furia, Gué (allora c’era ancora il “Pequeno” nel nome d’arte) e Don Joe, non fossero più quelli degli esordi del 2003, anno di uscita di “Mi fist” per l’appunto. Dieci anni più tardi i Club Dogo, dopo tanti rumors sulla reunion e intense carriere soliste, tornano sulla scena come una fiammata: dieci Forum di Milano annunciati, in programma tra marzo e aprile 2024, per un totale di 120mila biglietti, praticamente già tutti venduti. L’equivalente numerico di due stadi di San Siro. In molti si sono chiesti: “e allora perché non annunciare direttamente uno o due live allo stadio?”. La ragione di questa scelta è anche nella concezione stessa di concerto da parte dei Dogo, che hanno sempre dato il massimo su palchi in spazi al chiuso, la loro dimensione perfetta. Un live in uno stadio, infatti, richiede allestimenti e approcci musicali che probabilmente non restituirebbero il trio al massimo delle sue potenzialità.

Un nuovo album

Aspettarsi numeri monstre di questo tipo non è mai scontato e neppure certo, ma ai nastri di partenza, è inutile negarlo, c’era l’idea di poter lasciare un segno profondissimo: i palazzetti, infatti, erano stati fissati da tempo. E, passando parecchi mesi dall’annuncio di questi appuntamenti all’effettiva accensione dei riflettori sullo stage, è quasi automatico pensare anche all’uscita di un nuovo album, che dovrebbe vedere la luce agli inizi del 2024. Sarà interessante capire quale direzione sonora e testuale prenderà questo nuovo capitolo. Quali Club Dogo vedremo e ascolteremo? Il plurale è, ovviamente, voluto. I Dogo, infatti, sono plurimi. Il loro cerbero a tre teste, mi piace pensare, non è solo la metafora dell’equilibrio fra tre artisti dalle forti personalità, ma anche tra più anime di una stessa entità. Qualche giorno fa ho letto un'interessante analisi di Patrizio Ruviglioni su Esquire dal titolo “Nessuno ha raccolto davvero l'eredità dei Club Dogo”. Fra le tante riflessioni, ce n’è una che merita di essere approfondita. Il collega sostanzialmente domanda provocatoriamente: “siete pronti a vedere i Dogo salire sul palco da vincitori?”. Touché.

Sì, ma quali Dogo?

Proprio loro che sono partiti riunendo sotto il palco un pubblico eterogeneo di “emarginati”, o comunque di giovani di varie subculture che non si riconoscevano in buona parte della musica italiana di quegli anni, torneranno a rappare nel momento di apice del genere, nell’epoca del rap mainstream. Un rap che, nella maggior parte dei casi, oggi non si ciba più di subculture underground o di influenze di strada, ma è ingordo di feat, numeri, status e record. Non solo la musica, ma anche il pubblico, rispetto a quello di oltre quindici anni fa, è cambiato. Sarà curioso vedere quale magma umano si formerà nel parterre e sugli spalti dei palazzetti dei Dogo: un mix di nostalgici che hanno vissuto la storia del gruppo uniti a giovanissimi cresciuti nel mito di un trio a cui si riconosce un seme generativo di quello che oggi è il rap italiano? Io credo di sì, sarà un vero abbraccio tra generazioni. Ma resta la domanda implicita nascosta dentro la provocazione di Ruviglioni. Quali Dogo torneranno a ruggire?

Sabotatori mainstream

I Dogo sono stati quelli di “Mi Fist” e “Penna capitale” con brani come “Hardboiled (Sabotatori)” in cui Jake sputa queste barre incendiarie: “Io sono il colpo rotto che inceppa la Glock in mano a uno sbirro che spara a un black bloc; io sono l'esplosione che lo sfregia come Sloth; io sono il cortocircuito che spegne l'elettroshock; un santo con un'aureola di smog; io sono un pezzo di merda, un bandog. Non c'entro un cazzo con l'hip hop. Finché sarò il male per l'autorità musicale, finché andrò ai concerti e vedrò gli zeri rappare…”. Ma i Dogo sono stati anche quelli del botto mainstream di “P.E.S.” (uscito nel 2012, oggi ha venti milioni di stream solo su Spotify) e della partecipazione a Colorado, Chiambretti Night, Mtv, Amici di Maria De Filippi, solo per citare casi eclatanti che per quegli anni, per un trio rap di quel tipo, voleva significare entrare nelle case degli italiani con un piede di porco. I Dogo, infatti, non hanno mai sputato sul successo, come una certa cultura del rap che proveniva dai centri sociali e rifiutava ogni forma di commercializzazione, ma anzi lo inseguivano e lo bramavano, sdoganandolo e gettando le basi per “il rapper che ce l’ha fatta”, oggi diventato uno status.

Uno e trino

In quel “Non siamo più quelli di Mi fist”, l’ultimo lascito, c’era una verità. Figli spuri di una borghesia a cui appartenevano e appartengono, hanno sempre preferito il racconto di strada ai salotti buoni e quando sono entrati in quest’ultimi lo hanno fatto come il Joker che irrompe alla festa dei ricconi di Gotham. Uno e trino, il cerbero non sarà mai riconducibile a una sola storia. E chissà che quella da scrivere nel 2024 non appartenga a nulla di quanto già vissuto e sia totalmente nuova

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