Il punk, i guai, Mick Jagger: chi è Yungblud
Il suo album è stato simbolicamente la colonna sonora nel Regno Unito della morte della regina Elisabetta. Quella regina Elisabetta che nel punk, quarantacinque anni prima di Yungblud, era stata presa di mira – tra gli altri – dai Sex Pistols con l’iconica “God save the Queen”. Pazienza che nel 2022 il genere si sia contaminato con altri stili e altri suoni, pure meno sferzanti, addolcendosi un po’: il disco del 25enne aspirante punk-rocker britannico, che stasera sarà ospite del terzo live di “X Factor”, è a suo modo figlio dei tempi (qui la nostra recensione). È anche merito di Dominic Richard Harrison, questo il vero nome di Yungblud, se il revival del pop punk di fine Anni ’90 e primissimi Anni Duemila è diventato un trend internazionale che tra le altre cose ha contribuito a rendere cult un movimento dimenticato troppo in fretta e i suoi protagonisti (spingendo pure colossi come Live Nation a mettere in piedi festival nostalgici come il When We Were Young, che ha appena radunato a Las Vegas artisti simbolo di quegli anni come Avril Lavigne, i Paramore, i My Chemical Romance, gli Alkaline Trio).
Tentativi di suicidio e stupefacenti: poi la redenzione
Ad essere vagamente punk, nelle sue canzoni, è per lo più l’immaginario con il quale Yungblud gioca. Scrivendo e cantando spesso di quel passato fatto di incidenti di percorso e traumi che il 25enne cantautore si è lasciato alle spalle. Nelle interviste ha raccontato più volte di aver tentato il suicidio almeno un paio di volte: “Ho sempre molte cose che mi girano in testa, molti pensieri che non riesco a cogliere e penso che la musica abbia permesso loro di essere un po’ più tranquilli. Quando ero più giovane mi sentivo davvero frainteso per il modo in cui pensavo. Mi sembrava di non appartenere davvero a nessun posto. Il mio cervello voleva sempre andare in quei luoghi estremi che la gente non necessariamente poteva capire, penso di essere uscito e di avere cercato di costruire una comunità di persone dove è a posto essere sé stessi”. Allude all’argomento in “The funeral”: “And I hate myself that’s alright that I dream about the day I die”. Nei testi delle canzoni dell’album ci sono tutti I luoghi comuni del genere. A partire dagli stupefacenti. In “Cruel kids” racconta di aver assunto un giorno così tante sostanze da non riuscire a stare in piedi. Per “Sweet heroine” parla già il titolo: “Il mio messaggio è lo stesso, e lo sarà sempre; continuerò a essere nient'altro che me stesso e incoraggerò gli altri a fare lo stesso. Semplicemente non c'è altra opzione. Spero che regali alla mia bella famiglia di fan, che mi hanno seguito durante questo viaggio, risposte su sé stessi, ma anche domande e sfide, ma soprattutto spero che li riempia di amore. Mi hanno fornito un antidoto contro il vuoto e la solitudine che ho provato in passato. Mi hanno dato una voce. Quindi ecco la mia storia”.
Gli endorsement delle leggende
Mick Jagger lo ha definito “il futuro del rock”, facendo rosicare anche Damiano David dei Maneskin, escluso dalla lista del frontman degli Stones dei più promettenti cantanti rock di nuova generazione (della quale fa invece parte Machine Gun Kelly). Ozzy Osbourne ha accettato di partecipare al video di “The funeral”, in cui, prendendo in giro i conservatori, interpreta un hater che prova ad uccidere Yungblud. Robert Smith dei Cure gli ha concesso di usare in “Tissues”, tra i dodici pezzi dell’album (è il nuovo singolo, lo canterà stasera proprio sul palco di X Factor), un sample di “Close to me”. Dave Grohl dei Foo Fighters è un fan della prima ora. Già nel 2020, presentandolo sul palco degli MTV European Music Awards, disse: “Ecco perché penso che il rock and roll non è morto”. Roger Daltrey degli Who ha recentemente accettato di intervistarlo per l’edizione statunitense di Rolling Stone. La stessa Avril Lavigne ha voluto incidere con lui un duetto su “I’m a mess”: “Voglio essere la rock star per la generazione del 2020. La gente mi consiglia sempre, 'Non dire che vuoi essere qualcosa, nel caso in cui poi non lo diventassi'. Ma non ho paura di dire che voglio essere il loro idolo rock. Odio quando la gente dice, 'Il rock non è figo'. Il rock è fighissimo. Aprire il tuo cuore è figo”.
Le vendite dell'album "Yungblud" e il tour
Va detto, per dovere di cronaca, che le aspettative su “Yungblud”, rese altissime anche dai tre miliardi di stream totalizzati sulle piattaforme dai pezzi di Yungblud fino ad oggi, non sono state in realtà ripagate dai risultati dell’album. Il 9 settembre, all’indomani della morte della sovrana d’Inghilterra, il terzo disco in studio del 25enne cantautore britannico ha esordito direttamente al primo posto della classifica di vendita britannica. Salvo poi crollare nei sette giorni successivi di ben settanta posizioni: dalla prima alla settantunesima. E sparire dalla classifica a sole due settimane dall’uscita. “Yungblud” non è più rientrato tra le prime cento posizioni della classifica. Lui con la testa è già al tour (domani pomeriggio, intanto, in occasione del suo passaggio in Italia farà tre concerti acustici al Gate Milano, alle 15, alle 17 e alle 19, per i fan che acquistando un bundle sul sito di Universal hanno ottenuto l’accesso esclusivo agli show): partirà il 3 dicembre da Fort Lauderdale, in Florida, poi dopo alcune date negli Stati Uniti arriverà in Europa a febbraio. In Italia Yungblud tornerà ufficialmente in concerto il 10 marzo 2023, sul palco del Forum di Assago, a Milano: “Yungblud non sono solo io. È diventato una comunità e un po’ un fottuto movimento. Io sono il 50% di Yungblud, l’altro 50% sono i fan. Se senti di non appartenere a nulla, allora appartiene a me. L’intero movimento sembra punk e ribelle: è punk avere una comunità e combattere la solitudine”.