Neil Young: guida all'ascolto di "After the gold rush"

NEIL YOUNG: AFTER THE GOLD RUSH
Reprise Records, agosto 1970
Davvero un periodo d’oro per Neil Young: in meno di un anno due album da solista e la collaborazione a "Déjà Vu" con Crosby, Stills and Nash. "After the Gold Rush" diventerà una vera e propria pietra miliare nella carriera del cantautore canadese e nella storia della musica. Un album dai suoni essenziali, prevalentemente acustici e fatto di atmosfere intime registrato in gran parte nella protettiva dimensione domestica di Topanga nel marzo 1970. Sembra però che i lavori di assemblaggio dei materiali musicali avessero già avuto inizio nell’agosto del 1969. Parte delle ragioni per cui il progetto venne temporaneamente sospeso è da addurre alle lunghe tournée con Crosby, Stills and Nash, con i quali era stato anche a Woodstock in agosto. La voce, spesso al limite tra intonazione e stonatura, conserva un fascino unico sia che canti delle vicende avverse della vita sia dell’amore. Un modello imitatissimo, pure troppo perché spesso imitato male.
È comprensibile che tanta originalità possa aver portato anche a un netto rifiuto del modello, come di fatto accadde. Neil Young, come Dylan, racconta le sue storie senza filtri, a volte senza nemmeno porsi il problema delle conseguenze. Così il testo di “Southern Man”, ostile nei confronti dei razzisti del Sud, gli procurò pesanti critiche oltre a una frase derisoria, anche se ironica, nel testo di “Sweet Home Alabama” dei Lynyrd Skynyrd. In "After the Gold Rush" spicca “Don’t Let It Bring You Down” dalla struttura geniale per come sezione A e sezione B sono differenziate da microcambiamenti accordali, che le fanno sfumare l’una dentro l’altra. Il testo è uno dei migliori scritti dal cantautore in quegli anni ed è anche caratterizzato da un gustoso gioco di allitterazioni. Uno dei pilastri della West Coast. Da notare la presenza di Nils Lofgren, allora diciassettenne (!), per la prima volta con Neil Young, alla chitarra e al pianoforte. Sarà l’inizio di una lunga e fruttuosa collaborazione.
Enrico Merlin
Questa scheda è tratta da "1000 dischi per un secolo. 1900-2000", di Enrico Merlin (Il Saggiatore), per gentile concessione dell'autore e dell'editore.
Enrico Merlin, musicista e musicologo, nella composizione e scrittura del volume ha cercato di tracciare la storia della musica occidentale registrata, attraverso la selezione di 1000 opere sonore che fossero innovative in almeno uno dei sei parametri di cui la musica è composta: melodia-armonia-ritmo-timbro-dinamica-espressività. Per ognuna di esse ha realizzato una sorta di guida all'ascolto in cui vengono raccontate le motivazioni per cui quel disco è di fatto una pietra miliare. Mancano diversi dischi famosi, mentre vi sono opere seminali, ma di nicchia, che malgrado uno scarso successo di pubblico hanno lasciato un segno profondo in altri artisti contemporanei o successivi. Le schede non sono quindi delle recensioni, quanto piuttosto dei suggerimenti d'ascolto, dei trampolini di lancio per andare alla scoperta di nuovi mondi sonori e, perché no, trovare qualche conferma.
