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Franco Mussida: 'La mia musica tra arte concettuale e disagio sociale'

Franco Mussida: 'La mia musica tra arte concettuale e disagio sociale'
Credits: Omar Cantoro

Nella multiforme espressione della sua attività artistica e persino nell'aspetto Franco Mussida ricorda un uomo del Rinascimento. Comprensibile, dunque, che proprio a lui la Biennale di Firenze abbia deciso di consegnare un premio alla carriera intitolato a Lorenzo il Magnifico (la cerimonia avrà luogo il 7 dicembre presso il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio) in quanto autore capace di " 'scolpire la musica', coniugando arti visive e performative". "Non me lo aspettavo, un premio così prestigioso", dice Mussida (insieme a lui verrà premiato lo scultore indiano Anish Kapoor), "ma ne sono felice perché si tratta di un riconoscimento del lavoro che da tempo sto facendo con le arti visive, trasferendo trent'anni di esperienza nell'ambito della comunicazione musicale su un territorio diverso". Alla Biennale, nell'occasione, ci sarà infatti modo di vedere l'installazione ispirata al suo saggio di filosofia della musica "La musica ignorata" (Sikra, 2013): articolata, spiega il musicista milanese, in un "percorso di 859 parole scandite da pause musicali e organizzate in un filo di pensiero unico", con diciassette stazioni d'ascolto/sculture sonore che utilizzano come simbolo una croce ansata, antico simbolo degli Egizi, e un diapason rovesciato, e un "modellino di 'teatro-balera' che è la rappresentazione concettuale di un momento storico particolare, quello a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta del secolo scorso, quando in una sorta di reminiscenza della Grecia antica musicisti e ascoltatori erano una cosa sola e la musica aveva un ethos straordinario".

Percorsi e idee - l'approccio multimediale e multisensoriale all'arte, il rapporto "gemellare" tra musicista e ascoltatore - su cui Mussida insiste orami da anni ed ora esemplificati anche in "Il lavoro del musicista immaginativo", un libro-disco tirato in 999 copie e venduto primariamente sul sito ufficiale del chitarrista (info@francomussida.it) che illustra dall'interno il processo creativo di 15 composizioni da lui scritte o adattate per "Scene da un matrimonio" di Ingmar Bergman nell'allestimento teatrale curato da Alessandro D'Alatri, prodotto per il Teatro Stabile d'Abruzzo e portato in tour per oltre un anno in tutta Italia. Perché un'edizione limitata? "Perché l'idea di base è conoscere una per una le persone che lo comprano, instaurando con loro un rapporto più diretto e importante. Quanto più la musica viene percepita oggi come elemento decorativo tanto più io cerco di viverla in maniera intima e privata, andando in direzione contraria". "'Il lavoro del musicista immaginativo' ", spiega, per me è il titolo di un'avventura. Ho cercato di far comprendere come le azioni, le emozioni e i sentimenti diventino suono e musica. E' nella natura del musicista comprendere la realtà ed esprimerla in musica istantaneamente. In questo caso quell'istante è 'esploso' in un racconto in cui soffermarsi ad analizzare i processi creativi". All'ascolto dei brani si accompagna la lettura della loro genesi: "Li ho scritti tutti appositamente, con un paio di eccezioni: 'Orizzonti del cuore' è un pezzo del 1991, l'ho recuperato perché per concludere l'opera mi serviva una musica ricca di calore e anche perché dovevo anche fare i conti con il poco tempo a disposizione: il lavoro mi era stato commissionato a fine novembre e doveva essere pronto per gennaio. Prima di mettermi a scrivere sono rimasto due giorni ad osservare le prove degli attori, appuntandomi in un brogliaccio impressioni, emozioni e visioni di quel che vedevo succedere. Bisognava tener conto del fatto che in quella commedia l'ipocrisia gioca un ruolo forte, dal momento che spesso i personaggi dicono una cosa ma ne pensano un'altra nascondendo le loro vere emozioni. Dovevo quindi prescindere da quel che appariva in superficie e cercare di cogliere ciò che il personaggio stava effettivamente provando. Quel lavoro di decodifica delle emozioni mi ha spingo a scrivere musiche compatibili con ciascun 'quadro'. Tutte le mie composizioni venivano suonate al buio, e ad alto volume, durante i cambi di scena: non erano musiche di sottofondo al dialogo degli attori, ma dovevano preparare il pubblico all'atmosfera dell'atto successivo". Per spiegarle in dettaglio, Mussida nel suo libro ricorre a un approccio sinestetico, abbiando alle musiche sensazioni di colori e profumi. "Lho fatto", spiega, "per essere ancora più preciso nello sforzo di materializzare una cosa immateriale come la musica. In 'La macchina delle abitudini', ad esempio, parlo di odore di officina meccanica: mi serviva a evocare il senso di routine e di ripetitività della vita matrimoniale dei due protagonisti".

Una bella sfida, considerando la complessità delle sfumature psicologiche messe in scena e la scelta di affidarsi a un solo strumento, la chitarra. "D'Alatri mi aveva richiesto espressamente di lavorare con una sola chitarra alla volta. E anche quando uso lo strumento elettrico, al posto della classica o dell'acustica, il racconto resta monofonico. La musica è venuta fuori da sola, commisurata a quell'ambito e a quella situazione. In quel caso doveva avere un carattere popolare, risultare molto comprensibile e ed estremamente evocativa. Ma ogni volta, a teatro, si tratta di un'esperienza diversa. Subito dopo 'Scene da matrimonio' ho scritto le musiche de 'I masnadieri' di Schiller, per la regia di Gabriele Lavia: una cosa molto diversa, con chitarre elettriche e loop. Mentre a luglio ho finito di scrivere per il 'Labyrinthus', il cortometraggio che Mimmo Paladino ha dedicato alla vita di Gesualdo da Venosa".

Il recente progetto orchestrale con la PFM, dunque, è solo un tassello nel mosaico di un musicista versatile e indaffaratissimo, che di recente, su proposta di Gino Paoli, presidente della SIAE e con il supporto del suo CPM, si è lanciato anche in un progetto sperimentale e ambizioso, "Co2", quattro stazioni per "l'ascolto educato della musica" installate presso i carceri di Rebibbia (sezione femminile), Opera, Monza e Secondigliano (il musicista lo ha illustrato in dettaglio in un articolo da lui scritto per il Corriere della Sera). "E' un progetto", spiega, "di durata triennale e che si lega al mio lavoro di ricercatore degli effetti del suono. Da un lato faccio un lavoro attento e meticoloso destinato a una nicchia molto limitata di persone, quelle che si interessano all'arte concettuale. Ma contemporaneamente cerco di applicare gli stessi principi agli strati più disagiati della società. Vivo in sospeso tra due mondi". E il suo vecchio gruppo che spazio ha in tutto questo? "Nel 1986 la PFM aveva smesso di esistere e ci sono voluti dieci anni per ritrovarsi. Da amici quali siamo abbiamo ancora tante cose da dire e da dirci. E' un'esperienza a cui tengo, perché non è facile trovare persone con cui condividere progetti artistici. Una bella avventura di gruppo, ma le cose che faccio individualmente sono la mia vita di oggi".

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