Ci sono tutti gli ingredienti per scatenare un disastro, dunque, eppure il "tour sventurato" (ancora Crosby) segnato da monumentali conflitti di ego è anche un trionfo artistico, come dimostra oggi questa meravigliosa antologia amorevolmente compilata dall'archivista e "mediatore" del quartetto,
L'impatto è fortissimo, la musica eccitante, evocativa e inebriante: accompagnati da una collaudatissima sezione ritmica che include la batteria di Russ Kunkel, il basso di Tim Drummond e le percussioni di Joe Lala, i Fab Four nordamericani hanno modo di rifulgere e di ricavarsi i propri spazi, proponendo molto repertorio allora inedito e scambiandosi di ruolo - voci, chitarre e pianoforte - come i giocatori dell'Olanda che in quegli stessi anni infiammavano altri stadi con il "calcio totale". Crosby è rabbioso in "Almost cut my hair" (dove la Gibson Firebird di Stills e la Les Paul di Young danno vita a uno dei tanti epici duelli alla sei corde), spiritato in "Déjà vu" (che nel finale lascia spazio a una jam esaltante), delicato nell'allora inedita "Carry me", etereo in "Guinevere" con Nash a fargli da angelico controcanto. Stills scalda l'ambiente da subito con "Love the one you're with" e poi con il suo latin rock infuso di hard (gli oltre otto minuti di "Black queen") e di funk jazz ("My angel"), Nash si guadagna applausi e pacche sulle spalle dai compari con "My house" e mette in linea quattro chitarre elettriche per "Pre-road downs", gli alti e bassi della sua vita familiare con la Mitchell signora dei canyon. Mentre Young sfodera gli assoli, gli acuti e le ballate più lancinanti, a partire da un'inarrivabile "On the beach" che da sola - perdonate la scontatezza dell'osservazione - vale il prezzo del box set.
E' lui il grande protagonista della lunga (quasi un'ora e venti, sulle tre ore totali) sezione acustica, una sfida coraggiosa al pubblico degli stadi aperta dalla "Change partners" di Stills ("è quel che abbiamo fatto tutta la vita", scherza Nash evocando la filosofia dell'amore libero). Lì, in un tripudio di chitarre Martin, il canadese propone una "Only love can break your heart" con finale a cappella, una ancora inedita "Long may you run" in duo con Stills e brani (destinati al mitico album "Homegrown" e mai pubblicati ufficialmente fino ad oggi) come il country rock placido di "Love art blues" e la solare "Hawaiaan sunrise" (che fanno il paio con l'elettrica "Traces" sul CD 1), mentre "Goodbye Dick", un minuto e mezzo di voce e guitar banjo, è poco più di uno sketch velenoso per salutare le dimissioni di Nixon dopo lo scandalo del Watergate. Già, perché siamo nel '74 e un concerto di CSN&Y è anche un reportage sullo stato della nazione: il sogno hippie già infranto di una "Wooden ships" che per questo diventa ancora più struggente, l'escapismo marino di "The lee shore" e la disillusione di una "Long time gone" più lenta e svagata del solito, i ragazzi imprigionati in Texas per avere fumato un po' d'erba di "Prison song" e l'invocazione al "no more wars" di "Military madness", i disordini alla convention democratica del '68 ("Chicago") e i quattro studenti ammazzati dalla Guardia Nazionale alla Kent State University nel '70 (non a caso, "Ohio" è il pezzo scelto per mandare tutti a casa con la consapevolezza di quel che è appena accaduto e delle piaghe ancora aperte nel corpo degli States). Poco prima, con "Pushed it over the end" (un altro inedito: saltato fuori solo su un rarissimo cofanetto di stampa italiana, ricordano le note del libretto a cura di Pete Long), Young aveva sfogato nuovamente il suo poetico dolore per una relazione amorosa in disfacimento spingendo Crosby, a quarant'anni di distanza, a commentare di "non avere mai ascoltato niente di più intenso". Parole che è facile sottoscrivere ed estendere a queste tre meravigliose ore di musica e di Storia.