Non dimenticatevi che poco più di un anno fa Lou ha pubblicato uno dei dischi più belli e difficili della sua carriera, quel “The raven” che era un ambizioso concept album dedicato alla figura di Edgar Allan Poe.
E anche il tour che ne seguì era, a suo modo assai concettuale: già lasciati da parte i momenti più intellettuali di quel disco, Lou si mise a rivisitare brani di tutta la sua carriera, in una nuova chiave minimalista-elettrica, assolutamente affascinante. Chi l’ha visto nei suoi passaggi italiani dello scorso maggio e di luglio sa di che cosa si sta parlando. Questo “Animal serenade” è una bella testimonianza di quel tour. La copertina è un’altrettanto bella foto di Guido Harari scattata proprio a Milano, e i due CD coniugano felicemente passato, presente e futuro. Il passato è quello di brani storici, anche tratti dal repertorio dei Velvet Underground: leggete la scaletta, ma soprattutto sentite le grandi versioni di “Venus in furs”, “All tomorrow parties” o “Sunday morning". Il passato è anche quello di “Rock ‘n’ roll animal”, disco dal vivo del 1975 a cui ci si richiama fin dal titolo. In questo caso, più che di rock ‘n’ roll si tratta per l’appunto di serenate, canzoni scarnificate nell’impianto sonoro (la batteria è quasi assente, per esempio).
Il presente, invece, è quello di una ricerca sonora che mira alla perfezione, e che quindi tende al futuro. Un percorso iniziato con “Perfect night”, live acustico di qualche anno fa, e che qui volge verso l’elettrico: pochi sono in grado di ottenere suoni cristallini ed impeccabili come quello di “Tell it to your heart” o "How do you think it feels" senza rischiare neanche lontanamente di sembrare freddi. La grandezza di Lou Reed passa anche di qua e passa anche dall'essersi scelto grandi musicisti come Mike Rathke o la violoncellista Jane Scarpantoni.
Detto questo, l’impianto del concerto che Lou Reed ha portato in giro lo scorso anno era quasi teatrale, con poco spazio lasciato all’improvvisazione: sempre la stessa scaletta, pochissime variazioni (e solo nel finale, dove ogni tanto saltavano fuori una “Walk on the wild side” o una “Perfect day” qua escluse), con ritmi e tempi ben definiti: dialoghi scarni e mirati (per lo più all’inizio, come nello spiegare la falsa esecuzione di “Sweet Jane”, canzone peraltro sempre suonata in apertura nel tour), il Tai-Chi di Ren Guang-Yi (che qui ovviamente non è possibile gustare), gli spazi dati ai “comprimari”: il chitarrista Ferndando Saunders che canta in “Revien Cherie” (di cui è anche autore) e il vocalist Anthony in “Candy says” e in qualche altro frammento.
Ecco, se proprio vogliamo trovare un difetto a questo live sono questi momenti, in cui la tensione inevitabilmente cala: le “spalle” non sono all’altezza della “star”. Per il resto è un bellissimo e godibilissimo documento, che non si limita a riproporre vecchie canzoni, ma le reinventa. Se tutti i dischi live fossero così, Reed potrebbe farne anche 20…