«Hai ancora qualche parte di te che si ricorda come è cominciato», canta Jovanotti nel primo verso di “Senza se e senza ma”, il brano che apre “Niuiorcherubini”. Sembra parlare a sé stesso, in questa fase della sua carriera in cui ha deciso di fregarsene di ogni logica e di concedersi il lusso di fare quello che gli pare. E quello che gli pare, nel caso di “Niuiorcherubini”, è un disco che «neppure era previsto», che si è ritrovato ad incidere lo scorso mese in pochi giorni a New York e che ha consegnato ai suoi discografici, a dieci mesi da “Il corpo umano vol. 1”. Un disco registrato in presa diretta su nastro analogico, contenente tredici brani nati dalle jam eseguite dal vivo in studio, «senza editing, correzioni o sovraincisioni». Le registrazioni si sono svolte tra i Brooklyn Recording Studios e gli Astoria Soundworks, «in un clima di totale libertà creativa», con tutti i musicisti insieme nella stessa stanza. Jovanotti, spalleggiato da Federico Nardelli (produttore già al fianco di Colapesce-Dimartino, Gazzelle, Ligabue), si è messo al telefono e tramite il passaparola ha radunato un collettivo di musicisti provenienti da mondi differenti, dalla salsa al funk, dal soul al tropicalismo, passando per l’afrobeat.
Le canzoni, tra "salsa dura" e cumbia
L’ascolto dell’album - il titolo omaggia “DallAmeriCaruso” di Lucio Dalla - restituisce il calore e la verità delle sessions, elementi che ormai troppo spesso latitano nella musica. “Senza se e senza ma”, già inclusa a gennaio ne “Il corpo umano vol. 1”, diventa un’esplosione di «salsa dura» incisa con la Spanish Harlem Orchestra, un'orchestra di musica da ballo latina - tre volte vincitrice ai Grammy Awards - con sede negli Stati Uniti, fondata da Aaron Levinson e Oscar Hernandez, che ha riarrangiato il brano: un esperimento che riporta Jovanotti a quella “Punto” incisa nel 2009 insieme al grande Sérgio Mendes. “Ai miei amici” è un «punjabi-gypsy-groove» che unisce India, Mediterraneo e Brooklyn: l’eterno “Ragazzo fortunato” del pop italiano lo ha registrato insieme ai Red Baraat, band capitanata dal suonatore di dhol Sunny Jain e composta insieme a nomi affermati nel jazz di ricerca come il trombettista Sonny Singh, il percussionista Varun Das e i sassofonisti Alison Shearer e Lynn Ligammari. Nel soul classico de “La musica dell’anima” c’è J.P. Bimeni, cantante e di origini burundesi che Jova arruolò già nel 2019 per il primo “Jova Beach Party”, mentre in quello à la Bill Withers di “Mi fa felice” ci sono il percussionista Caìto Sanchez, il chitarrista Binky Griptite (ha suonato con Sharon Jones & the Dap-Kings, Soul Providers e Antibalas) e Morgan Wiley. “Pura vida” e "Resistente" sono puro groove funk, così come “Shiva Jam”.
Sembra un lungo pomeriggio del "Jova Beach Party"
«Sarà un disco ritmico, con testi estemporanei. Non credo che la forza sia l’aspetto narrativo. I testi sono nati di istinto (“Duemilaventicinque, chi c’è qui con me? / Andiamo a farci un giro, vi porto via con me nella musica dell’anima”, canta ne “La musica dell’anima”, ndr). Non sarà un disco da cantautore», aveva promesso Jovanotti alla vigilia dell’uscita. È così: ascoltando “Niuiorcherubini” sembra di assistere a un lungo pomeriggio del “Jova Beach Party”, tra esperimenti di afrobeat mischiato a tropicalismo (“Senza gravità”, incisa con il fisarmonicista Felipe Hostins, al chitarrista Gil Oliveira e al cantante Ronald Andrade), psichedelia latina (“Un miracolo”, con la band dei Chica Libre - il loro nome è un riferimento alla chicha, un liquore a base di mais prodotto in Sud America sin dai tempi degli Incas) e cumbia (“Cado verso l’alto”), omaggi «al forró e al piseiro del nordest brasiliano, con fisarmonica, triangolo e zabumba» (“So solo che la vita”). Suggestioni che rivivranno senz’altro nel tour “L’Arca di Lorè”, che partirà a febbraio e lo vedrà girare il mondo, dall’Australia al Circo Massimo di Roma, dove il 12 settembre 2026 terminerà il suo viaggio.
Una dichiarazione d'amore alla musica
Tra note leggermente stonate, voci fuori tempo, colpi di batteria improvisti, “Niuiorcherubini” è un disco che celebra l’imperfezione come estetica: è un’ode all’imprevedibilità. E soprattutto una dichiarazione d’amore alla musica, «che non ferma le guerre e non risolve le emergenze - dice il cantautore - però la musica è quello che faccio io, e mi ci dedico corpo e anima affidando a lei le mie emozioni». Come canta lui in “Ai miei amici”, Jovanotti esce «fuori dalle solite rotte per attraversare la notte». Trovando alla fine del viaggio il suo personalissimo El Dorado.