MGK: non è rap, non è pop punk. Sa soltanto quello che non è

Con “Lost Americana” Machine Gun Kelly mescola tanti generi trasformandoli in un ibrido personale

Recensione del 12 ago 2025 a cura di Elena Palmieri

Voto 6.5/10

La classica voce roca di Bob Dylan arrivava inconfondibile raccontando il sogno americano ormai sbiadito. "'Lost Americana’ è un’esplorazione personale del sogno americano – un viaggio alla ricerca di ciò che è andato perduto”, narrava il leggendario cantautore: "Questo album è una lettera d’amore a chi è alla ricerca di una riscoperta - i sognatori, i vagabondi, i ribelli. È una mappa sonora di luoghi dimenticati, un tributo allo spirito della reinvenzione e una missione per riconquistare l’essenza della libertà americana”. Così, con un trailer dalla collaborazione improbabile, è stato anticipato “Lost Americana”, settimo disco di Machine Gun Kelly, che ora si fa chiamare MGK (o più precisamente, "mgk", tutto minuscolo). Il coinvolgimento di Dylan è nato da un gesto curioso: la condivisione, sul profilo Instagram dell’artista di Duluth, di un video live del 35enne cantante originario di Houston del 2016. Si è quindi venuto a creare un ponte tra passato e presente, tra due modi diversi di osservare l’America e le sue fratture.

Con "Tickets to my downfall" del 2020 e "Mainstream sellout" del 2022 (qui la nostra recensione), MGK ha svestito i panni da rapper, calandosi in quelli di un rocker pop punk e diventando un camaleonte capace di adattarsi alle tendenze che hanno catturato la Generazione Z. Lì il revival di quel genere dai suoni frenetici e ritmi accattivanti dei primi anni Duemila era una scelta chiara, un’operazione che mescolava nostalgia e rinnovamento. In "Lost Americana", invece, non sembra esserci una direzione e Machine Gun Kelly mescola tutti i generi che ha esplorato, trasformandoli in un ibrido personale: c'è il pop-rock ("Cliché", "Sweet Coraline"), il southern-rock ("Miss sunshine"), l'hip-hop ("Indigo", "Tell me what's up"), e le ballate lente che puntano al cuore ("Orpheus").

Canzoni come "Cliché" e "Vampire diaries" — quest’ultima con nuovamente lo zampino di Travis Barker, guru del revival pop punk del 2020 — funzionano: ascoltate una volta, finiscono in loop. "Don’t wait run fast" ha la frenesia e il piglio delle migliori incursioni nel pop punk di MGK, mentre "Indigo" lo vede tornare a fare il rapper, dimostrando che l’istinto ritmico è ancora vivo. La ballad finale, "Orpheus", scritta insieme a Megan Fox, chiude il disco tra note malinconiche e riflessi di gossip - che intorno a Machine Gun Kelly non guasta mai.

MGK costruisce un’autobiografia musicale di 13 canzoni - per circa 45 minuti - che sembra un viaggio in auto attraverso piccole città americane al tramonto, trovando bellezza in luoghi abbandonati e sogni dimenticati. Lui è bravo, la sua voce ha carattere e personalità, il suo approccio autoriale è migliorato ed è maturato. “‘Cause I was born to fly, but, baby, I would die to run”, è la dichiarazione centrale di “Lost Americana” che Machine Gun Kelly fa in “Vampire diaries”, diventando un inno della sua generazione cresciuta con il fascino per i romanzi dai temi vampireschi. A livello sonoro, la quinta traccia del disco, pubblicata come secondo singolo, fonde l'energia da boy band e da balletti TikTok introdotta nella prima anticipazione, "Cliché", con aspetti pop punk che ricordano “Tickets to my downfall”, e che continuano a funzionare con MGK. “Somewhere between another good night and my own apathy / No one can see the me that I hide, my misery hates company”, canta Colson Baker all’inizio della ballata “Cant stay here”, colpendo dritto al punto. “The beast killed the beauty; the last petal fell from the rose / And I loved you truly, that's why it's hard to let it go / I broke this home, but I'll change for our daughter, so she's not alone”: “Treading water” è una confessione autobiografica carica di sincerità, dove le diverse anime musicale di MGK emergono al meglio. Arricchito da chitarre addolcite dall'emozione e sonorità cinematografiche, grazie anche alla collaborazione con amici e collaboratori di lunga data come SlimXX, BazeXX, Nick Long, No Love To The Middle Child, Travis Barker e altri, "Lost Americana" vede Machine Gun Kelly riaffermarsi. Il cantante vuole lasciarsi alle spalle le critiche dei detrattori e la fama di chi sta antipatico, affrontate definitivamente in scena durante il "Mainstream sellout tour" del 2022 (qui il nostro racconto della data di Milano).

Non sempre questo percorso, però, convince: alcune tracce, come - per esempio - "Goddamn" e "Starman", sembrano più esercizi di stile che necessità artistica, come se la voglia di “essere tante cose” avesse preso il posto dell’urgenza di dire qualcosa di preciso. 

"Lost Americana" è un lavoro apprezzabile, in cui MGK rifiuta di farsi incasellare in un solo genere. Ma la sensazione è che, nel rifiuto delle etichette, si sia perso anche un po’ di fuoco creativo. Il viaggio è ricco di panorami, ma non tutti lasciano il segno.

Tracklist

01. outlaw overture (05:02)
02. cliché (02:56)
03. dont wait run fast (03:12)
04. goddamn (03:07)
05. vampire diaries (02:35)
06. miss sunshine (03:23)
07. sweet coraline (02:41)
08. indigo (03:10)
09. starman (03:37)
10. tell me whats up (03:52)
11. cant stay here (03:27)
12. treading water (03:42)
13. orpheus (04:34)

Vai alle recensioni di Rockol

rockol.it

Rockol.com s.r.l. - P.IVA: 12954150152
© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Privacy policy

Rock Online Italia è una testata registrata presso il Tribunale di Milano: Aut. n° 33 del 22 gennaio 1996