La diffidenza nei confronti dei dischi postumi, spesso mere operazioni commerciali, non è solo lecita, ma dovuta. Quando si parla però di Mac Miller, le certezze si sciolgono come neve al sole, soprattutto dopo la pubblicazione postuma di “Circles”, uscito nel 2020, a due anni dalla morte della voce di Pittsburgh, un capolavoro. “Balloonerism” è ancora una volta un disco postumo, capace di catturare la complessità esistenziale dell’artista, ma ha una storia completamente diversa. Non riguarda, infatti, “l’ultimo Mac Miller”, ma quello dei primi anni di carriera, già desideroso di rompere gli schemi e di disegnare un nuovo quadro per il rap contemporaneo. Miller ha registrato l'album tra il 2013 e il 2014, più o meno nello stesso periodo in cui è uscito il suo mixtape “Faces” e, anche per questo motivo, chiude una sorta di storia come suggerisce la copertina firmata da Alim Smith: da qualunque angolazione si guardi il volto di Mac, anche distorto, è comunque e sempre lui.
La chiusura di un cerchio
“Balloonerism” è esattamente questo: un disco crudo, psichedelico, incastonato tra rap e jazz, con sbalzi emotivi, non per tutti, nato prima del successo, con tanti riferimenti alla morte. Insomma, tutto ciò che rende tortuoso un cammino discografico e, infatti, nonostante le varie anticipazioni piratesche sul web di questi anni, il disco vede la luce solo nel 2025. Chiude un cerchio perché paradossalmente, pur essendo nato in un periodo diverso, si lega a “Circles” per purezza e intensità. “Balloonerism” e “Circles” sono i due estremi temporali che si toccano. Non che i suoi album più celebri, senz’altro più accessibili, non rappresentino Mac Miller, tutt’altro. Ma è ormai chiaro che stiamo parlando di un artista complesso, variegato, sfaccettato, la cui forza artistica risiede proprio nella sua impossibilità a essere del tutto etichettato. “Balloonerism”, chiuso nel cassetto, a tratti incompiuto, sfugge al tempo, e per questo anche alla morte. Un progetto fluido, di transizione, di ricerca, non perfetto e per questo interessante, vivido, alla faccia delle mega produzioni che snaturano e omologano tutto. È un Mac Miller che ha perso la sua innocenza, che lotta già con i demoni. E si aggrappa alla musica per non sprofondare, per respirare.
Una SZA debuttante
Il disco inizia con “Tambourine dream”, una breve intro dove emerge il lato fanciullesco e primordiale di Mac Miller, questa volta impegnato in una sorta di scoperta delle percussioni, un mondo che non abbandona mai. “DJ's Chord Organ" è una collaborazione con SZA, ai tempi una debuttante, ma che qui a Rockol notammo subito fin dal suo esordio: il pezzo evidenzia la natura sperimentale dell'album. Fonde neo-soul con sfumature psichedeliche, mostrando le voci complementari di Mac e SZA nella loro forma più cruda. "5 Dollar Pony Rides" e “Friendly Hallucinations" sono tracce straordinarie con linee di basso funky (la co-produzione è firmata da quel genietto di Thundercat), accordi morbidi, jazzy e intonazioni soul.
In dialogo con Rick Rubin
Specialmente nel singolo che ha anticipato l'album si può respirare la gioia di Miller quando lavorava in studio e dentro la musica, tenendo fuori tutti i fantasmi che lo tormentavano. "Shangri-La" e “Rick's Piano” sono dei bozzetti registrati nello studio di registrazione di Malibu del produttore Rick Rubin in cui i due discutono dei processi creativi. Rubin ha lavorato con Miller nel suo album del 2018 “Swimming” e lo ha anche supportato nei vari tentativi di recuperare la sobrietà. "Transformations" è un altro tipo di dialogo tra lui e il suo alter ego Delusional Thomas, come se stesse lottando con la sua stessa dualità: il pezzo, introspettivo, distorto, e con voci pesantemente effettate, è inquietante e brillante.
“Excelsior” e “Stoned” sono le tracce che musicalmente si avvicinano di più al flusso di pensiero tipico dell'aria losangelina (vedi Earl Sweatshirt) e raccontano quel preciso periodo di dipendenze di Mac. Sono i testi a essere particolarmente sorprendenti in “Ballonerism”, con continui riferimenti alla morte, testi che senz’altro spaventarono non poco i discografici. In “Manakins” Mac riflette sulla sensazione di essere intrappolato: “Siamo ciò in cui crediamo/Non esiste la libertà/Ma cosa possiamo fare?/Perché vedo la luce alla fine del tunnel/Mi sento come se stessi morendo/Sono morto”. Inquietanti preveggenze anche in “Funny Papers”: “Non pensavo che qualcuno fosse morto di venerdì”.
Tra vita e morte
Morbosità e vulnerabilità, Mac Miller si muove tra queste dimensioni. Uno dei versi più toccanti, "Se muoio giovane, promettimi che sorriderai al mio funerale", racchiude il paradosso dell'album che è tanto una celebrazione della vita e della musica quanto una meditazione sulla sua fragilità. La traccia di chiusura, "Tomorrow Will Never Know", è un'opera di 12 minuti che sembra la lettera d’addio di Mac su cui la sua voce – che in certi casi somiglia a quella di King Krule che aveva esordito in quegli anni - galleggia come un palloncino nel cielo, proprio come il disegno della copertina. Versi come “Cammini in questo mondo con la testa fuori dall'acqua…cercando di galleggiare” persistono a lungo dopo che la musica svanisce. Così come in “Circles”, lì era coinvolto un signor produttore come Jon Brion, anche “Baloonerism” è stato assemblato con cura, senza troppe sovrapproduzioni o manomissioni, evidentemente fedele alla versione di Mac Miller. Alcune slabbrature e certe lungaggini rendono il disco comunque coeso e autentico.