Su "La Stampa", Marinella Venegoni parla di Jimmy Rogers, «che fu membro della band di Muddy Waters e soprattutto il primo a usare la chitarra elettrica nel Chicago Blues. Da due anni l’autore di tante bellissime canzoni, che era vissuto sempre malaticcio, se n’è andato; ma l’industria aveva già pensato di onorarlo e ora il ricordo scoppia con iniziative che riportano in alto il nome del blues, genere ormai obsoleto perché legato ai sentimenti più profondi e alla semplicità, e anche perché recalcitra alquanto a farsi drogare con tecnologia e pasticche. La prima idea è stata dunque un disco, "Blues Blues Blues", registrato con Rogers ancora vivente, dove alcune rockstar ripercorrono in sua presenza un mondo da non dimenticare; la seconda è una "Jimmy Rogers Band", una sorta di supergruppo composto in gran parte di gente che aveva suonato con lui. E l’altra sera qui al Montreux Jazz Festival è stata festa grande, perché il manipolo si è allargato in un "super-super gruppo" di cui ha fatto parte una tantum una ulteriore manciata di superospiti, e tante vecchie glorie insieme forse non s’erano mai viste. C’era Van Morrison lo scontroso (...) c’erano poi Stephen Stills (accoppiato in eterno a Nash e qualche volta a Crosby), Chris Rea, il venerando Taj Mahal, il giovane virtuoso non vedente Jeff Healey. Presentava addirittura un tycoon della discografia, Ahmet Erteggun che ha messo insieme il progetto. Ne è uscita una serata memorabile, di caldissima atmosfera, con molta improvvisazione e allegria tesa, in una sorta di gara reciproca al migliore rendimento».
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