Il 24 ottobre del 2000 i Linkin Park pubblicavano il loro album d'esordio intitolato "Hybrid Theory" (leggi qui la recensione): nitroglicerina pura. C'era dentro di tutto e tutto funzionava che era una meraviglia. I pesanti riff di chitarra si mescolavano alla perfezione con le rime hip-hop. Senza dimenticare l'elemento essenziale che contraddistingue ogni canzone che ambisce ad essere ricordata: il ritornello.
La band californiana sapeva come scrivere un ritornello e in nessuna canzone più di "In the End" fuoriesce questa capacità. La canzone venne pubblicata come quarto singolo dell'album "Hybrid Theory" il 9 ottobre 2001 e rimane, a distanza di tutti questi anni, il brano più conosciuto e rappresentativo del gruppo. Giusto per portare un esempio che si può considerare oggettivo, su Spotify le riproduzioni della canzone viaggiano verso i tre miliardi.
A proposito della canzone Mike Shinoda ha onestamente ammesso: "Non puoi dire 'Questo è ciò che sarà popolare' e poi realizzare quella cosa. Puoi dirlo solo a posteriori. Il fatto è che, sì, è stata una delle nostre canzoni più importanti, è stata la nostra canzone più importante per molto tempo."
Il gruppo si formò nel 1996, era composto dall'allora diciannovenne Mike Shinoda insieme al chitarrista Brad Delson e al batterista Rob Bourdon e si chiamava Xero. La band si rese presto conto che ciò di cui aveva bisogno era un cantante rock di grande impatto e potenza. Qui entra in scena Chester Bennington che quando sentì i pezzi degli Xero comprese immediatamente che di trippa per i gatti in quel posto ce ne era in abbondanza. Come ricordò nel 2002 parlando al magazine Rolling Stone: "Quando ho ricevuto quella cassetta, noi (Chester e la sua prima moglie, ndr) ci siamo guardati dicendo: 'Ecco qua, è quella giusta. Succederà, anche se ci vorranno cinque anni'".
Mike Shinoda ha ricordato in un'intervista del 2020 con MusicRadar come lavorasse fianco a fianco con Chester e come venne conquistato dalle sue enormi capacità vocali. "Era davvero straordinario in quel senso. Non lo sapevamo. Mi sembra che non ne conoscessimo nemmeno la portata quando ci siamo incontrati e abbiamo iniziato a scrivere insieme e a sperimentare come si sarebbe integrato nella band. Un minuto è Dave Gahan dei Depeche Mode e un minuto dopo è Layne Staley. In pratica veniva a casa mia e c'eravamo solo io e Chester oppure io, Chester e Brad. Era forse il '99, o il '98, lavoravamo su nuovo materiale e vedevamo in che direzione potevamo spingere la sua voce. All'epoca stava ancora sviluppando la sua identità di cantante."
Chester Bennington aveva avuto, a dir poco, una adolescenza turbolenta. Conobbe il tunnel della droga e, seppure ne fosse uscito, ne portava ancora profonde cicatrici, soprattutto mentali, che probabilmente sono state alla base del suo suicidio nel 2017. Chester incanalò questi traumi nei pezzi dei Linkin Park . In "One Step Closer" , in "Crawling" , oppure in "Papercut" . Anche se la canzone più importante di "Hybrid Theory" era, senza dubbio, "In the End" . Il brano prese forma durante le prove in un locale che la band prese in affitto a West Hollywood. Mike Shinoda ha raccontato così "In the end" a Rock Sound: "La canzone parla del fatto che c'è una strana lotta con la disperazione e la natura effimera del tempo e delle nostre vite. La cosa strana della canzone è che parla di queste cose e dice: 'Non ho risposte'. Perché di solito una canzone non parla di non avere risposte. Semplicemente gira in tondo, a livello di testo. Soprattutto da giovane, è proprio così che mi sentivo, è così che ci sentivamo tutti. Non sapevamo cosa pensare delle cose e, in un certo senso, è quello che succede ancora oggi. È una cosa universale e senza tempo." In un'altra intervista, con AltWire, disse: "A volte ho la sensazione che una canzone sia davvero speciale. Ho avuto questa sensazione con "In the End"".
Sempre Shinoda, sempre parlando di "In the end" raccontò a Rock Sound: "Penso che Rob Bourdon sia stato il primo a presentarsi alle prove il giorno dopo. Gliel'ho suonata ed era in delirio." "È la canzone che stavamo aspettando", avrebbe commentato il batterista dei Linkin Park dopo averla ascoltata.
Dopo una intervista del 2013 di Chester Bennington con Vmusic alcuni si fecero l'idea che il cantante dei Linkin Park odiasse "In the end" . Ecco cosa disse: "Non partecipo molto alla scelta dei singoli. L'ho imparato dopo aver realizzato "Hybrid Theory". Non sono mai stato un fan di "In the End" e, sinceramente, non volevo nemmeno che fosse sul disco. Quanto mi sono sbagliato?". In seguito Mike Shinoda chiarì all' Howard Stern Show che le cose non stavano proprio così. "Non la odiava. No, no, no, no. In realtà è un equivoco. Alcuni pensano che odiasse la canzone, ma gli piaceva. Amava solo la roba davvero pesante, e quindi quando la gente diceva: 'Questo dovrebbe essere un singolo', lui rispondeva: 'Uh, va bene. Va bene così'. Non è quello che avrebbe scelto lui."
In realtà già in quell'intervista con Vmusic Bennington ammise di avere avuto bisogno di un po' di tempo per apprezzare la canzone. "Ora adoro "In the End" e penso che sia una canzone fantastica. Ora capisco davvero quanto sia bella, solo che all'epoca era difficile per me capirlo." Comunque sia, i numeri nella loro indiscutibile verità raccontano che "Hybrid Theory" ha venduto oltre trenta milioni di copie in tutto il mondo ed è il disco d'esordio più venduto degli anni 2000. Direi che può bastare.