Rockol30

Jake La Furia: “Io non credo nel rap per i buoni”

L’uscita di “Fame” è l’occasione per parlare di rap, libertà, Dogo, X Factor e altro. L'intervista.
Jake La Furia: “Io non credo nel rap per i buoni”
Credits: Asia Michelazzo

Jake La Furia torna a casa: un’abitazione, rappresentata sulla cover, sfregiata da un graffito con scritto “Fame”, il titolo del suo nuovo album solista. Il quarto, arrivato dopo la reunion dei Club Dogo nel 2024 e la partecipazione come giudice all’ultima edizione di X Factor. Un disco rap, musicalmente compatto grazie al sound scolpito da Night Skinny, che è sia un back to the roots, ma anche uno sguardo dall’alto sulla scena rap, soprattutto quella di nuova generazione, possibile grazie alle diverse collaborazioni presenti nel progetto. 

“Fame” era il tuo nome d’arte agli esordi. Perché rispolverarlo?
Usavo questo nome quando facevo i graffiti. È stato il primo nome che ho utilizzato anche per fare rap, anche se poi lo cambiai quasi subito. Ho scelto questo titolo per rievocare un ritorno alle origini, anche nei suoni. È un disco boom bap. Nella cover c'è un imbrattamento dell’eleganza, un graffito su una casa, e secondo me è perfetto per raccontare l’atmosfera del disco.

Perché riavvolgere il nastro?
È un discorso da boomer, ti avverto: molta della musica di oggi non mi piace, mi ha rotto i coglioni. A me sembra che da dieci anni a questa parte si stia sentendo sempre la stessa musica. Talvolta cambiano i protagonisti, ma non il sound. La perdita del flow, del contenuto, del suono ha portato il rap a omologarsi. E quindi ho deciso di tornare indietro per differenziarmi. Guarda a me è capitato di ascoltare rap americano e di avere la sensazione, nello scorrere di una playlist, di risentire la stessa canzone per sessanta volte. Era tutto uguale. In America se togli Lloyd Banks e Benny the Butcher io oggi non saprei cosa ascoltare. Oh poi, i game changers mi piacciono sia chiaro, penso per esempio a Travis Scott, però ce n’è uno. Degli 800milioni di suoi cloni possiamo farne a meno. 

I game changers italiani chi sono?
Quelli che hanno cambiato le sonorità. Sono quelli che rimangono: la Dogo Gang, Fabri Fibra per la nostra generazione, poi è arrivato Sfera Ebbasta e adesso Baby Gang e Simba La Rue.

Quanto è stato importante lavorare con Night Skinny in questo album?
È stata una figura fondamentale. Lavorare con me è complicato (sorride, ndr). Io ho le idee molto chiare su quello che voglio fare e ho un brutto carattere. A questo giro sono andato da Skinny e gli ho detto: ti lascio libertà massima. Nella cura del suono e nelle pubbliche relazioni, nei feat quindi, ha avuto una gestione impeccabile. Ha colmato tutto quello che mi mancava. 

Avevate delle idee?
Il suono è venuto fuori piano piano, senza pianificazioni. Per me questo disco ha un suono perfetto se parliamo di rap fatto in una certa maniera.

In “Ferro del mestiere”, il tuo precedente disco solista, rappi: “Mi hanno chiesto le 64 barre però ho scelto di non farle. Questi vogliono la promo e l’arte, però poi non vogliono pagarle”. Alla fine le hai fatte a tuo modo in questo nuovo progetto?
Sì, me le sono fatte da solo. L’ho fatto per me. Ti dirò di più: proprio mentre stavamo lavorando al disco, mi hanno richiesto di fare il format 64barre e ho di nuovo rifiutato, perché volevo farle per conto mio in “Fame”.

Il contenuto del brano è forte: parli del politicamente corretto e a un certo punto spunta la voce di Tony Effe, al centro di varie polemiche alla fine dello scorso anno. Al linguaggio rap non si possono mettere filtri?
È un discorso più ampio. Il pezzo non riguarda solo il mondo rap. Nelle barre spiego che tutti sono a favore di tutto, nessuno vuole offendere o deludere nessuno, finché non subentra qualche cosa di problematico a livello personale. È facile essere “perfetti” quando non si è coinvolti. Io del politicamente corretto non sopporto l’ipocrisia. Allo stesso tempo dire che non si può dire più niente è diventato benaltrismo. Io credo che si dovrebbe fare una media: sono d’accordo che certi linguaggi e insulti indiscriminati non si possono più utilizzare, ma non si può dimenticare la libertà di espressione nella musica, nella stand up comedy o nella satira.

È imprescindibile?
Sì. Il rap viaggia e continuerà a viaggiare sui binari di un linguaggio corrosivo, “violento”. Io non credo nel rap per i buoni. E mi fa cagare l’idea di ascoltare un rap che non sia scomodo in qualche modo. Io ascolto solo gangsta rap praticamente, non me ne frega un cazzo del resto.

A un certo punto rappi “Io non ucciderò la musica in Liguria”. Siamo certi?
Il Festival di Sanremo non mi rappresenta. Quest’anno si è parlato tanto dei testi del rap, anche a fronte di questo lo ribadisco: “io no”. Non ci vado e penso che non ci andrò mai.

Cosa pensi invece del passo indietro di Emis Killa che si è ritirato?
Non so di cosa tu stia parlando (sorride, ndr).  

Il come verrà percepito questo disco, a livello di ascolti, ti interessa?
No, ma ai rompicoglioni intorno a me sì.

Ti fermerai un giorno?
Sai, credo di sì. Non voglio diventare come quelli che ho dovuto sconfiggere per arrivare fino a qui. Questo non vuol dire chiudere con la musica, però è innegabile che il rap sia legato a un’incazzatura giovane. Anche Jay-Z è lì che non fa più un cazzo e si gode i soldi (sorride, ndr). Bisogna fare un passo indietro prima di diventare delle macchiette.

In “Danza della pioggia” parli di rivoluzione, di violenza da parte del sistema, di libertà. È rap sociale?
Sì, perché nelle canzoni non si possono solo dire stronzate. Il mondo è alla deriva, non si può stare zitti. Per questo mi è venuta voglia di fare questo pezzo più politico e sociale.

È da un po’ di tempo che, però, batti su certi temi: “Mi fanno schifo, giovani ricchi stendono e tirano. Io faccio il tifo per i maranza che li rapinano. Lotta sociale, ferro e coltello dei delinquenti. Fra', sono come la falce e il martello di questi tempi”, rappi in “Containers” di Skinny.
Mi fa incazzare un botto il modo in cui viene descritta oggigiorno Milano, che sembra una favela. Non è così. Detto ciò, oggi le divisioni sono nette: c’è chi fa vedere i Rolex nelle storie Instagram e chi non ha da mangiare. In quella barra in qualche modo prendo le parti di chi delinque perché non ha nulla e attacca chi delinque per avere troppo. Il principio di Robin Hood.

Un ragionamento alla Fabrizio De André.
Non farci il titolo su questa cosa, eh? Però è vero, è così, con tutte le debite proporzioni. A me interessano le storie degli ultimi, dei perdenti, le storie di strada. Sono quelle più interessanti.

Questo è un disco di scambio generazionale?
È un album pieno di super giovani (Artie 5ive, Kid Yugi, Nerissima Serpe, Tony Boy, Papa V, ndr) che sanno rappare, se non fosse così non riuscirebbero a stare sulle tracce, a stare su quei beat. Tutti i ragazzi coinvolti sono forti e infatti stanno emergendo.

“Generazioni” è un pezzo profondo sulla tua famiglia?
Nello specifico parla di me, di mio figlio e di mio padre. È un pezzo generazionale che racconta di come alla fine si sia tutti predatori. Man mano che invecchio la maturità si fa sentire.

Da X Factor ne sei uscito alla grande, ma non ci credo che sia tutto filato liscio. Che cosa non ti è piaciuto?
Un sacco di roba, però il bilancio è stato più positivo, questo è evidente. Senz’altro la parte live è molto diversa dalle altre, subentra la competizione e alcune dinamiche cambiano. L’impatto sui social mi ha fatto davvero schifo….

Cioè?
Si sono create delle fazioni. Sui social le fanbase dei giudici e quelle dei concorrenti si scannano. Fortunatamente io continuo a crescere lontano dai social, non mi avranno mai.

Che cosa ti ha colpito della reunion dei Dogo?
La quantità della gente.

Dai, su, dammi una risposta sincera e non scontata.  
Te lo giuro: io non pensavo di fare dieci Forum. Non avevo dubbi sulla chimica tra noi e sulla musica: siamo andati in studio, non lavoravamo insieme da dieci anni, eppure dopo un giorno avevamo già tre pezzi. Abbiamo riso, scherzato insieme. Ma sulla gente invece non sapevamo davvero che impatto avremmo avuto…. Ed è stato bellissimo vedere così tante generazioni diverse sotto il palco. Poi ti dico, anche con i Dogo abbiamo riavvolto il nastro: siamo stati più vicini ai primi Dogo che agli ultimi a livello di musica.

È una parentesi che si riaprirà?
Senz’altro, ma non subito. Una cosa è certa: questa reunion ha messo le cose a posto tra di noi. 

La fotografia dell'articolo è pubblicata non integralmente. Link all'immagine originale

© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Policy uso immagini

Rockol

  • Utilizza solo immagini e fotografie rese disponibili a fini promozionali (“for press use”) da case discografiche, agenti di artisti e uffici stampa.
  • Usa le immagini per finalità di critica ed esercizio del diritto di cronaca, in modalità degradata conforme alle prescrizioni della legge sul diritto d'autore, utilizzate ad esclusivo corredo dei propri contenuti informativi.
  • Accetta solo fotografie non esclusive, destinate a utilizzo su testate e, in generale, quelle libere da diritti.
  • Pubblica immagini fotografiche dal vivo concesse in utilizzo da fotografi dei quali viene riportato il copyright.
  • È disponibile a corrispondere all'avente diritto un equo compenso in caso di pubblicazione di fotografie il cui autore sia, all'atto della pubblicazione, ignoto.

Segnalazioni

Vogliate segnalarci immediatamente la eventuali presenza di immagini non rientranti nelle fattispecie di cui sopra, per una nostra rapida valutazione e, ove confermato l’improprio utilizzo, per una immediata rimozione.